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Silent Hill (2006): il cugino horror di Resident Evil

Il traghettatore infernale Quinto Moro vi accompagna in una gita di dispiacere alla “ridente” (stile Vincent Price) cittadina di Silent Hill.

«Lassù: una bara volante!» , «Oddio, siamo fottute!»
 

“Collina Silenziosa” versus “Residenza Cattiva” Per importanza, Silent Hill è la seconda saga che
ha portato l’horror del mondo videoludico. La più famosa e nazionalpopolare è Resident Evil, a cui Silent Hill deve molto. Com’è approdato Resident Evil al cinema lo sappiamo, quando però fu il turno di Silent Hill la musica sembrava diversa. Oppure no? Se RE si era trasformato in una caciara action sempre più lontana dalle origini, Silent Hill faceva delle atmosfere il suo punto di forza. Ma tanto per cambiare il film fece incazzare i puristi (o puritani), come ogni adattamento di qualsiasi cosa, benché di rispetto per il materiale originale e ce ne fosse a strafottere. Silent Hill non è l’horror del secolo, i difetti ci sono, ma il lavoro di Christophe Gans e Roger Avary, se non è il migliore possibile, poco ci manca. Per un film tratto da un videogioco fa la cosa migliore: non copia, non storpia e non si accartoccia in un fanservice sterile. Adatta per lo schermo. Chi critica la non fedeltà al materiale originale merita d’esser preso a calci in culo da Milla Jovovich (ma a qualcuno potrebbe anche
piacere).

«Ferma! C’è un mucchio di nerd incazzati da quella parte» 
Too old to rock’n’roll, too young to die
All’uscita del film, di Silent Hill sapevo poco o
nulla, feci giusto in tempo a giocare al 3° capitolo della saga, sufficiente a incuriosirmi, oltre agli osanna che accolsero il film all’uscita. Si perché
mentre gli aficionados scrollavano il capo, c’era una parte di “stampa specializzata” pronta ad urlare al miracolo. Ebbene sì, io non dimentico. I
primi 2000 erano anni di vacche magre sul fronte horror e ci si accontentava di molto meno di così. Sul finire dei ’90 erano stati gli horror nipponici (e loro remake yankee) a tenere banco, perciò Silent Hill era l’ibrido perfetto: americanissimo nella produzione e negli interpreti, vendibile per la fama del gioco pregno del fascino giappo tutto demoni e spiriti vendicativa. A livello di trama horror poi, Silent Hill poteva giocare a tutto campo: dall’horror psicologico al paranormale, con creature cicciate fuori dagli incubi dei personaggi in un gargantuesco metaforone del dolore che si trasforma in orrore e punizione. Un intreccio dei piani della realtà che il film sfrutta in modo pigro, ma funzionale alla trama.
“Intreccio pigro” di A. Gillespie, 9 anni.
Tante belle facce, ma i mostri sono meglio
La protagonista è Radha Mitchel, qui all’ultimo
“grande” ruolo da protagonista nel cinema mainstream, cui tocca la parte da mamma premurosa e in egual misura imbecille (poi ci torniamo). C’è poi la sbirra Laurie Holden, con uno dei pochi personaggi clonati in aspetto e nome dal primo videogioco, ma resa come la più
stronza sulla piazza per metà film. La sceneggiatura cerca di salvarle la faccia nel finale, ma non è che alla sua faccia vada benissimo… A essere sinceri, la sensazione è di un cast abbandonato a se stesso, come se gli avessero detto “queste sono le battute”, e giù di tanti “buona la prima”. Tutti sembrano dare molto meno di quanto sono capaci di fare, ad eccezione di Deborah Kara Unger, con poco spazio ma
sfruttato bene. La piccola Sharon ha il volto e gli occhioni di Jodelle Ferland, che dopo Tideland si è confermata con una prova mica da ridere, il suo faccino ci mette un niente a passare da innocente a inquietante, specie quando appare sfatta e cenciosa, roba che Samara lèvati, ma
lèvati proprio. Non capita spesso di vedere bambini danzare sotto una pioggia di sangue tra squartamenti e urla. Peccato che per quasi tutto il film sia in secondo piano, e l’orrore di Silent Hill ci venga mostrato con gli occhi dei soli adulti.
Lo spigoloso Sean Bean è il papà di Sharon, tirato
dentro a fare minutaggio perché nella prima stesura (bocciata) della sceneggiatura “non c’erano uomini” (storia vera, per uno dei pochi film che ha dovuto istituire le “quote azzurre” al posto di quelle rosa). Però non si capisce perché questo papà preoccupato, unico personaggio che si comporta in modo sensato a momenti passa per uno stronzo. Ma va bè, a Sean è andata di lusso se in un film con demoni e mostri Non muore.
!SPOILER: in questo film Sean Bean sopravvive all’ultima scena! (tranquilli, sta solo dormendo)
Viva la mamma. Ma anche no.
Radha “mamma dell’anno” Mitchel, per risolvere i
traumi della figlia consulta uno specialista un sito internet. Al che decide di portare la bimba in vacanza fino a Silent Hill, così da farla guarire dai traumi smarrirla appena arrivata in città e crearle traumi peggiori. Più in generale, gli esempi materni (e matriarcali) presenti nel film non sono certo ideali. Tra cielo che trasuda cenere e mostri deformi, Silent Hill è un posto di merda con un oscuro passato, i cui segreti si rivelano lentamente fino allo spiegone che precede il gran finale. Di carne al fuoco c’è n’è tanta (letteralmente). E’ un perfetto esempio di quanto buono può essere un soggetto e quanto pasticciata una sceneggiatura. Ma hey! L’ha scritta Roger Avary! Il Premio Oscar alla sceneggiatura per Pulp Fiction! E ‘stigazzi? Prese
dal videogioco le idee migliori e messe insieme in un racconto coerente, a fare acqua sono le azioni dei personaggi. Vedi il comportamento vessatorio della sbirra di Laurie Holden, o l’idiozia da cui è affetta (tipo malattia incurabile) la nostra mamma dell’anno che dopo aver cercato la figlia per metà film, appena incontra una bambina identica a sua figlia, capisce al volo che non si tratta di lei. Mamma dell’anno no, ma Jessica Fletcher lèvati.
Cose strane a Silent Hill
La parte interessante di Silent Hill è il “sottomondo”, per dirla alla Stranger Things. Il primo approccio con la spettrale cittadina è
intrigante, ti fa venir voglia di capire e scoprire che cazzo sta succedendo. Visivamente, le transizioni dalla realtà diurna a quella demoniaca sono ben riuscite, con una CGI discreta. Le scenografie sono curate, gli ambienti sporchi e abbandonati. I demoni funzionano, inquietanti e
minacciosi anche se di morti ammazzati se ne vedono pochi, almeno sino al finale che è una discreta festa di sangue. Però… però manca di quel sano gusto per lo splatter spinto, quello che ti fa vedere da vicino le budella mentre schizzano
via dai corpi. Lo squartamento è in grandangolo, spettacolarizzato senza l’accanimento truculento di un’inquadratura ravvicinata. Il film si gioca abbastanza male Pyramid Head, il mostro più iconico della serie di giochi (che pure Resident Evil finì per scopiazzare nei suoi film, vedi “Afterlife”), funzionano meglio tutti gli altri
demoni, dal tarantolato Colin che sembra uscito da Hellraiser, ai demoni senza braccia e le infermiere. Oltre al design, con ottimi costumi e trucco, i dèmoni funzionano grazie al talento delle comparse, vere ballerine che si contorcono in
movenze bizzarre e disarticolate. [Tutta roba che arriva da Allucinazione perversa, vera ispirazione del videogioco, nota Cassidiana]
«Let’s sway – sway through the crowd to an empty space» (Cit.)

Christophe Gans ce la mette tutta a mostrare Silent Hill nel modo migliore possibile, ma si ferma alla confezione: tecnicamente poco da dire, le atmosfere sono ottime, e la colonna sonora originale del gioco (ottima) spicca nei momenti giusti. I venti minuti finali la buttano in caciara sanguinosa che dopo lo spiegone-flashback ci sta, e porta ad una conclusione
non banale e malinconica, che promette un sequel ma basta a se stessa. Questa però è un’altra storia. Oh, io a ‘sto film gli ho voluto bene. E’ un raro adattamento dignitoso da videogioco a film, che rende giustizia alle atmosfere pur raccontando una storia diversa, al netto di qualche errore di grammatica.

Un saluto da Pyramid Head.
Grazie a Quinto Moro per averci portati tutti a Silent Hill, vi ricordo qualcuno dei suoi lavori, che potete trovare comodamente QUI.
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