Quest’anno il Natale arriva in anticipo, il migliore degli addobbi possibili da esporre è l’ultima fatica del Maestro John Woo, che non ha nemmeno atteso che la rubrica della Bara a lui dedicata fosse finita per davvero per girare un nuovo film, una vera sorpresa natalizia, quindi con grande gioia, vi presento il nuovo capitolo della rubrica… Who’s better, Woo’s best!
Quando ho letto la notizia che “Silent Night” era stato, non annunciato, ma bensì già girato, me la sono tenuta per me perché non era scontato trovasse una distribuzione, figuriamoci una italiana, dove il film uscirà il 30 novembre, quindi domani nelle nostre sale, in anticipo rispetto all’uscita americana. Ma siccome la Plaion mi ha offerto la possibilità di vederlo in anteprima (grazie di cuore!) e l’embargo ormai è decaduto, posso aggiungere questo ultimo capitolo alla rubrica, leggete pure tranquilli perché non ci sono SPOILER, niente che non fosse già chiaro dalla sinossi.
Cosa vi dicevo riguardo a Manhunt? Un regista di Hong Kong, che dirige con soldi cinesi il remake di un classico giapponese, andandolo a girare proprio in Giappone, non sapremmo mai cosa è successo per davvero, quello che accade dietro la grande muraglia, resta laggiù, ma era chiaro che qualcosa deve essere accaduto tra il genietto di Hong Kong e il Grande Impero che lo aveva riaccolto a braccia aperte per poi riportarlo subito nei ranghi del loro cinema di propaganda. Però devo essere onesto, tutto mi sarei aspettato tranne che un clamoroso ritorno negli Stati Uniti per John Woo, a vent’anni di distanza dalla sua ultima fatica a stelle e strisce, ovvero Paycheck, eppure era chiaro, se non ora, quando?
Non tanto per l’età del regista, classe 1946 che anche tornato negli Stati Uniti, sforna un film che alcuni suoi colleghi trentenni si sognerebbero la notte di fare, quando più che altro per il momento storico. La 87North Productions di Chad Stahelski e David Leitch viene regolarmente impiegato nelle produzioni Hollywoodiane per trasformare (o provarci) attori decisamente NON marziali in armi da combattimento per il grande schermo, anche in film con titoli originali simili a quello di oggi, tutto frutto dell’ottima risposta di pubblico ma dobbiamo essere onesti, esisterebbe il John di Reeves senza il nostro di John, inteso come Woo? Ok, messa già così la frase suona un po’ come «Chi gioca in prima base?» (cit.) ma ci siamo capiti no?
Nella sua fase americana Woo ha potuto dirigere un solo film senza bastoni tra le ruote di vario tipo, guarda caso, gli è venuto fuori un capolavoro, ora che in tanti, anche attori senza una vera base di preparazione fisica, si lanciano in ruoli d’azione, era il momento giusto per John Woo di tornare negli Stati Uniti al grido di: beh meglio tardi che mai!
Lo dico fuori dai denti, ho una predilezione per i film estremi, anzi la dico meglio, per i film che fanno scelte cinematografiche radicali, quelli che hanno il fegato di porsi un obbiettivo e di portarlo avanti fino ai titoli di coda. Vuoi fare un film con la macchina da presa fissa? Bene, fallo, ma non diventare timido a metà oppure quando le difficoltà insorgono. Ecco perché ho apprezzato “Silent Night” e per una volta, anche il ridondante sottotitolo italiano, che se non altro servirà almeno a distinguerlo dall’altro milione e mezzo di film con lo stesso titolo, anche se bisogna essere chiari, questo film si prende il merito della sua unicità da solo, questo è quello che è “Silent” per davvero, anche più di Bob.
Qualche comunicazione via radio, rumore di fondo o poco più, un «FUCK YOU!» pronunciato da imbavagliati (quindi incomprensibile) e un «Ah…» generato dal Laringofono che il protagonista getta subito via, arrabbiato per la sua condizione o forse perché la prima cosa che stava per dire sarebbe stato sicuramente «Ah… I AM YOUR FATHER» ma siccome è banale visto che è la prima cosa che dicono tutti usando il Laringofono, la questione finisce immediatamente. “Silent Night” non è un film muto solo perché il compositore Marco Beltrami ha fatto gli straordinari per rendere in musica le emozioni del protagonista e rielaborando in chiave spesso malinconica molti classici natalizi, al resto ci pensa il rumore degli spari e quelli, sono materia di John Woo.
Ve lo dico subito, giochiamo a carte scoperte, “Silent Night” è più riflessivo di quello che il suo trailer, con musiche prese in prestito da Trappola di Cristallo potrebbe far immaginare, quindi già so che molti si lamenteranno, ma in tutta onestà da John Woo non mi aspettavo niente di meno e lo metto nero su Bara, se “Silent Night” è un buon film è proprio grazie alla regia di John Woo, che accoglie quello che potrebbe essere un proto-Wick più silente, nel caldo abbraccio della sua filmografia dove ha ben più cittadinanza e ragione d’essere.
Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ormai lo sapete, sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, da questo punto di vista “Silent Night” potrebbe essere il titolo da usare come esempio per questa teoria, Beltrami rivede in chiave drammatica una musichina natalizia, Joel Kinnaman corre, affannato, sofferente e ci credo! Provate voi a correre nel caldo di Las Palomas, Nuovo Messico, con addosso un maglione brutto di Natale!
La macchina da presa è fissa sul suo viso, John Woo allarga l’inquadratura lentamente e ci mostra le mani dell’uomo sporche di sangue, ed è qui che l’inquadratura, che sembrava indugiare troppo ci coinvolge, il protagonista sta inseguendo a piedi due membri di gang rivali che si stanno sparando dalle loro auto in corsa, quindi si passa da un drammatico e reiterato primo piano ad una scena d’azione con muletti e spranghe utilizzate in modo violento, si passa dalla camera fissa al dinamismo con cui Woo inquadra la soggettiva delle pistole che sparano. Bisogna aspettare un attimo, calarsi nel dramma del personaggio, prima di poter vedere l’azione esplodere, diretta da uno dei Maestri del cinema Action, “Silent Night” è davvero tutto qui, il mondo si dividerà tra chi piagnucolerà «La trama è troppo sempliceeeeee!» e chi invece sa ad esempio, che qui alla Bara Volante i balletti di sangue di John Woo sono arte.
Il personaggio di Joel Kinnaman, che scopriremo nel corso del film chiamarsi Brian Godluck, viene colpito con un proiettile alla gola da Mr. Tatuaggi in faccia. Ricoverato in ospedale si salva per miracolo ma perde la voce, John Woo qui fa valere tutta la sua educazione Cattolica mostrandoci il martirio del protagonista ma poi mena il colpo più duro, al suo risveglio trova al suo capezzale la moglie Saya (Catalina Sandino Moreno), quando la donna rivolge la parola al marito, Woo inquadra la scena da fuori dalla finestra dell’ospedale, mentre Brian guarda un piccolo pappagallino che si è appoggiato sul davanzale. Questo non solo ci impedisce di sentire cosa dice la donna (mantenendo il film senza dialoghi), ma è un ottimo modo per utilizzare il linguaggio cinematografico per dirci (senza parlare) qualcosa su Brian, uno la cui mente è altrove, infatti gli interessa quasi di più il bigliettino lasciato dal detective Dennis Vassel (il rapper Kid Cudi) pittosto che la moglie, spunto che mi permette di arrivare ad un altro punto chiave.
“Silent Night” è un film tutto dal punto di vista maschile, lo è dall’inquadratura fissa iniziale sul primo piano di Joel Kinnaman, ma lo è anche la storia scritta da Robert Archer Lynn che ha essenzialmente due punti deboli, il primo la scena del parcheggio in cui i cattivi sbeffeggiano proprio il protagonista (che li ha incrociati per caso) lanciandogli addosso, cosa? Dello Slime verde? Vabbè, l’altro punto debole o per dirla meglio, l’altro elemento che espone il fianco alle critiche è la non caratterizzazione del personaggio di Saya.
Bisogna spettare circa quindici o venti minuti, perché dopo una serie di ellissi narrativi utilizzati alla grande per farci patteggiare con il dolore della perdita dei due genitori (ma più dal punto di vista di Brian), John Woo decida con un flashback di mostrarci cosa è accaduto prima del prologo, ovvero il colpo vagante sparato dalla gang di strada che ha ucciso Taylor, o come direbbero nei telegiornali, il piccolo Taylor, nel cortile di casa pochi giorni prima di Natale. In tutto questo la madre più che Saya è Santa, perché come accade spesso per le donne nella vita degli uomini, tra i due è lei quella salda (quindi è anche Salda), soffre per la perdita, è chiaro, ma la storia quasi non se ne cura, la vediamo andare al lavoro mentre il marito fa cose in garage, preoccuparsi per il suo stato (anche mentale) ma è sempre sullo sfondo ed io già lo so, che qualcuno su “Infernet” questo punto lo criticherà aspramente, ma ribadisco, bisogna capire l’intento e grazie a John Woo quello è chiarissimo, anche se nessuno parla nel film.
Non ve la meno sul fatto che il silenzio diventi l’incomunicabilità tra una coppia che ha perso un figlio in circostanze drammatiche, per quello ve la meneranno i critici stipendiati con occhiali e pipa, io preferisco sottolineare come per certi aspetti “Silent Night” incarni l’idea rabbiosa e pericolosa di farsi giustizia da soli, una roba che serpeggia nell’aria tra più persone di quelle che vorrei davvero conoscere. Brian Godluck si fissa un obbiettivo, un anno di tempo, per il primo Natale senza il figlio i suoi carnefici saranno tutti consegnati alla giustizia anzi, meglio morti. Tra le parti criticabili di “Silent Night” la sua etica di fondo, quella di chi crede che trazioni, Kettlebell da dieci chili e un po’ di sessioni al poligono, possano trasformare chiunque in Frank Castle, se poi ci mettiamo lo sguardo da invasato che recita Kinnaman al volante della sua “Muscle car” attrezzata per la caccia, ci sarebbe tutta una chiave di lettura “machista” che nel 2023 verrà usata come bersaglio per le freccette da chi non avrà voglia di soffermarsi un attimo. Ma io, pilota di Bara Volante, ho sempre voglia di approfondire un film, figuriamoci uno di John Woo!
John Woo è qui per l’azione, questo è chiaro, ma non dimentica l’introspezione, il (melo)dramma che da sempre è uno dei registri narrativi del suo cinema, uno di quelli che lui utilizza meglio. “Silent Night” è la storia di un’ossessione, una del tutto maschile, figlia del dolore del protagonista che Woo mette perfettamente in chiaro con una serie di scene non ricattatorie ma riuscite che fanno già effetto così, ma su chi è genitore lo faranno il triplo. Per questo la moglie è un personaggio che resta sullo sfondo anche quando fa l’unica scelta sensata in una situazione del genere, anche se Joel Kinnaman è parecchio sul modello ariano e Woo lo inquadra sudato mentre si allena (vecchia storia anche questa coerente con le sue ossessioni) non c’è razzismo a muovere il protagonista, che infatti ha una moglie “Latina” e collabora a suo modo con un polizotto di colore (un’altra stramba coppia di “Proiettili eroici” per Woo), ok i cattivi sono tutti “Latini” a loro volta e spesso descritti in modo esagerato, bulli che dominano le strade sulla falsa riga delle bande di Hill, ma sono bersagli mobili, incarnazioni del male con cui il protagonista combatte.
“Silent Night” è un melodramma al maschile, su un altro tipico eroe Whoviano, uno in cerca di un domani migliore, uno che risponderà sempre alle offese con le offese (cit.) ed è disposto a tutto per la sua causa, quindi continuità tematica a non finire, e spero non vi sfugga il fatto che sì, non ci saranno colombe in volo, ma il film è ambientato a Los Palomas, devo aggiungere altro?
Ci vogliono più o meno cinquanta minuti (percepiti la metà), tutti di ottima narrazione dal punto di vista visivo, prima che Brian entri in azione, dopo la sua lunga preparazione, un tempo infinito per coltivare la sua vendetta, quando lo fa, commette anche qualche errore da volenteroso principiante (il coltello piantato nel tavolo), ma John Woo di errori non ne fa, per lui “Silent Night” è l’occasione per mettere in chiaro quando sia sempre stato un grande narratore per immagini, ma soprattutto per dar voce all’azione, esibendosi in una serie di classici del cinema Action, tutti insieme.
Abbiamo il “Training montage”, per poi passare a tanti e variegati inseguimenti in auto, sparatorie dal finestrino, sgommate e chiocchi fortissimi (quello tra i due Pick-up è molto figo), il Natale di sangue di Woo è un altro balletto in cui il soggetto, volutamente archetipico, è la tela bianca mentre l’assenza di dialoghi la tecnica scelta per dipingere un’opera che altro non fa che mettere in chiaro che senza John Woo, il genere Action oggi sarebbe più povero, di contenuti, di trovate, anche di coinvolgimento, chissà come deve essersi sentito Kid Cudi quando ha realizzato: «Sto facendo del Guns Akimbo diretto da John Woo!»
Il crescendo di “Silent Night” va di pari passo con il talento visivo di Woo che alla sua ragguardevole età ancora le ammolla a molti suoi colleghi, in tale senso la scelta di Joel Kinnaman paga dei dividenti, lui che è sempre stato un po’ un Alexander Skarsgård da discout, qui prende le distanze dal collega e fa valere la fisicità del corpo e dell’interpretazione, nella mani di John Woo diventa un corpaccione perfetto per l’azione perché è fisicamente minaccioso e ben motivato dal suo dramma, quindi quando iniziano a volare le pallottole bisogna solo godersi il nuovo dipinto di John Woo, ecco, manca solo qualcuno che salta sparando con una Beretta in ogni mano, ma la “scalata alla pagoda” quella invece c’è.
La sequenza lungo le scale, tutta colpi ravvicinati e sparatorie a breve distanza è diretta da manuale da John Woo, ultra dinamica anche se è “solo” la sequenza che serve a raggiungere il prossimo “Boss di fine livello” sempre più grosso e cattivo, proprio per questo ribadisco, “Silent Night” sarebbe stato un film più banale, più canonico e anche meno intenso, invece John Woo, esperto di sparatorie e melodrammi, ha reso la materia parte della sua filmografia, nobilitandola come fanno i Maestri. Il film sarà nella nostre sale da domani, vi assicuro che ci sono modi peggiori per passare 104 minuti, e anche se domani è il 30 Novembre… Buon Natale a tutti! Tanto al Grinch ha già sparato John Woo.
Sepolto in precedenza mercoledì 29 novembre 2023
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing