Da diverso tempo mi ero messo in testa di scrivere qualcosa su questo film, calendario alla mano, i primi quarant’anni di “Silverado” sono l’occasione ideale per portare sulla Bara un film molto importante, per l’affetto che nutro per questo titolo che era tra le VHS consumate durante la mia infanzia, ma anche per il ruolo chiave che ha giocato nel ritorno in sella del Rock ‘n’ Roll di tutti i generi cinematografici, il Western.
Per altro, per gli ossessivi compulsivi come il sottoscritto, iniziare il 2025 con “Silverado” è una tappa obbligata, perché è un ottimo punto di partenza per tutti i titoli che nei prossimi paragrafi verranno citati, tutta roba da Bara in arrivo nel corso dell’anno, perché “Silverado”, secondo la leggenda, nasce da una scommessa.
«Facile fare i soldi con quella roba che scrivi tu di solito Larry, prova a farli con un Western dopo quel gran casino combinato da Cimino», non sono le parole esatta, ma il succo del discorso sì, a pronunciarle Clint Eastwood a Larry, inteso come Lawrence Kasdan, che caldo come una stufa arrivava dal successo di beh, “Brivido caldo” e Il grande freddo. Non so esattamente quanto avessero bevuto quei due alla festa, ma i due registi non sono andati a casa senza una stretta di mano e un’ideale accordo, quello di firmare un Western a testa in grado di fare soldi nell’anno 1985, a cinque anni dal sanguinoso disastro de I cancelli del cielo. Se volete sapere cosa ha combinato Eastwood, lo ritroverete a breve su queste Bare, per oggi, parliamo del lato Kasdan della scommessa, ovvero “Silverado”.
Lawrence Kasdan va ricordato, è il signore che nella stessa vita ha contribuito a sceneggiare due classici con un fenomenale ritmo da battaglia come L’Impero colpisce ancora e I predatori dell’arca perduta, di base due film d’avventura esattamente come “Silverado” che se mi è concesso un giovanilismo un po’ anacronistico per la mia età, è un Western da presa bene, nel senso che ad esclusione dei nativi, Kasdan ha scritto un film che contiene tutti gli elementi classici del DNA del genere, realizzato con il 50% di facce provenienti dai film di Kasdan e con l’altro 50% di quelle giuste, il meglio su piazza che l’anno 1985 avesse da offrire.
Pronti via, quella clamorosa faccia da Western di Scott Glenn deve guardarsi dall’attacco di una banda di criminali senza volto che gli sparano addosso, siamo al primo minuto di film e l’azione è già cominciata, termina solo quando Emmett, il personaggio impersonato da Glenn, stende tutti a revolverate ed esce fuori dal suo capanno, permettendo a Kasdan di allargare l’inquadratura citando volutamente la scena iconica di “Sentieri selvaggi” (1956).
Il passo successivo è l’incontro con uno spiantato pistolero che è stato ripulito dei suoi averi, si tratta di uno dei pretoriani di Kasdan, ovvero Kevin Kline, nei (pochi, inizialmente) panni di Paden, che fa amicizia con Emmett con un sorriso, una battuta e viene salvato dalla morte nel deserto ricordando in qualche modo Il buono, il brutto, il cattivo.
Da qui in poi, diventa un arruolamento di carismatici pistoleri alla moda de I Magnifici sette, anche se i protagonisti sono solo in quattro, che però finiscono per fare un po’ di “Cavalcarono insieme” (1961) per raddrizzare i torti contro uno sceriffo che in città fa il bello e il cattivo tempo e che proprio per questo, deve essere fatto a forma di Brian Dennehy, perché Rambo non sarà un Western ma ribadisco, il meglio che il 1985 poteva offrire, e per quel ruolo poteva esserci solo Dennehy.
Da che parte cominciamo? Da quanto risulta stiloso il Paden di Kevin Kline? Uno che è alle prese con una sorta di lunga (ri)vestizione dell’eroe, visto che prima tratta per una pistola, poi si riprende sella e cavallo e poi su, fino a riconquistarsi il cappello borchiato che ha impiegato tre anni a prendere la forma della sua testa e a guadagnarsi una posizione (il finale «Forse ce la faresti a fare l’agricoltore», «Ce l’ho già un lavoro» è leggendario), che a ben guardarla potrebbe ricordare un po’ “Sfida infernale” (1946) visto che Paden è diviso tra il suo rapporto con la donna del saloon Stella (Un ruolo bellissimo e sfaccettato per Linda Hunt) e la sua amicizia con lo sceriffo.
Per completare il quartetto dei protagonisti, come detto Kasdan pesca dai suoi pretoriani e dai più fighi del 1985, se avete visto il film il prossimo passaggio vi sarà chiaro, nel caso non conosceste “Silverado”, oltre a consigliarvelo caldamente, non vi rovinerò nulla dicendovi che ogni volta che sento Kevin Costner rispondere alla domanda «Dove sei stato?» dicendo «A fare il morto!», nulla mi toglie dalla testa il fatto che potrebbe essere un mezzo riferimento al ruolo precedente di Costner ne Il grande freddo di Kasdan, la cui parte (da morto) è rimasta sul pavimento della sala di montaggio, per nostra fortuna, anche se con una prova ancora acerba, con il suo Jake qui il KEV ci regala una notevole faccia da schiaffi, che fa parte di quella trilogia di titoli, usciti tutti uno a breve distanza dall’altro (insomma, tutti compleanni da Bara per il 2025) che hanno contribuito a rendere Costner IL DIVO che sarebbe stato di lì a pochi anni.
Con chi concludiamo? Con uno dei miei preferiti, siamo abituati a pensare a Danny “Brakko” Glover come quello anziano di Arma Letale (che comunque era un film d’azione) ma il nostro è stato un credibile eroe Action anche in Predator 2, qui per godersi un goccio in un saloon razzista deve far falere la stazza («Non è un incontro pari», «E chi lo dice?»), per poi doversela vedere con lo sceriffo dall’accento più buffo del West, visto che ad impersonarlo è un altro dei miei preferiti, John Cleese.
Questi quattro scappati di casa si uniranno ad una carovana diretta a Silverado in cerca di migliori fortune, finiranno per raddrizzare torti tutti imputabili allo sceriffo Brian Dennehy che altrove, risulterebbero quel tipo di casualità normali nella vita reale ma vietate al cinema o in una buona sceneggiatura, che però Kasdan sa scrivere così bene per cui è normale che tutti i torti nella vita dei protagonisti, dal padre di Mal Danny Glover cacciato dalla sua terra a sua sorella che “vive in città” con quel viscidone del giocatore di poker professionista (impersonato da un altro pretoriano di Kasdnan, un mito come Jeff Goldblum), nei famigerati sei gradi di separazione, risulta che il responsabile è sempre lo sceriffo, quindi vorrei dire che da qui in poi il film si scrive da solo, ma in realtà è stato Kasdan a scriverlo alla grande dando spessore, credibilità e dinamiche a tutti i personaggi, anche quelli apparentemente secondari. Vogliamo parlare di Jeff Fahey? Qui è un personaggio importante ma di contorno, attorno a cui altri film meno fortunati potrebbero costruire tutta la loro trama.
Il risultato finale è un film che riesce a celebrare il mito del West(ern) al cinema, sottolineato da una fanfara galvanizzante composta da Bruce Broughton che omaggia in modo grandioso tutto il genere, per altro aiutando il film a portarsi a casa trentatré milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti (al netto di una spesa di circa ventitré) e due premi Oscar, come miglior colonna sonora e il miglior sonoro. Ecco, forse l’unico difetto sono stati i tagli in fase di montaggio, che hanno sacrificato dosi abbondanti del bel personaggio impersonato da Rosanna Arquette.
Ma il vero lasciato di “Silverado” è stato usare la punta del suo stivale per tratteggiare una linea nella sabbia, una presa di posizione che certo, serviva a rendere onore al patto fatto con Eastwood (perché se Clint ti dice di fare un Western, tu fai un Western!), ma anche per ricordare al mondo che l’avventura e il fascino del Western sono immortali. Ho pochi dubbi sul fatto che questo “Western da presa bene” sia stato il primo notevole sasso che iniziando a rotolare nel 1985, ha dato il via alla valanga che di lì a poco avrebbe portato ad una nuova ondata di classici Western.
Se prendiamo ad esempio solo Kevin Costner, “Silverado” poteva sembrava una parentesi nella carriera di un attore che avrebbe fatto dei film sportivi una specialità, in sella, non di cavalli ma di biciclette in “Il Vincitore (1985) e poi sul diamante del Baseball per film come “Bull Durham” (1988) e “L’uomo dei sogni” (1989). In realtà come ancora oggi è chiarissimo a tutti, la direzione per il KEV era quella, puntare ad Ovest, senza “Silverado” è chiaro che Costner non si sarebbe convinto a mettere le corna a terra e a riportare in voga il Western revisionista da solo, in pieni anni ’90, ma questa è un’altra storia.
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