Non so cosa potesse essere affrontare l’uscita in sala di questo film nel 2005, per qualcuno che prima di allora, non avesse mai sentito parlare di Basin City, la città del peccato dei fumetti di Frank Miller, però ricordo le reazioni, spesso scomposte, e anche quello che il film ha generato ormai vent’anni fa.
Di mio ho avuto l’enorme fortuna di essere un vecchio lettore di fumetti, dettaglio che non è mai stata una fortuna in nessuno degli universi possibili, ma per lo meno mi aveva già mentalmente preparato al contenuto del film di Rodriguez, quello a cui molti allora, in un “Infernet” già presente ma non ancora imperante, non potevano nemmeno veder arrivare. Il riassunto di tutto questo? Un commento americano letto sul TuTubo, sotto il primo trailer del film, quello con la colonna sonora strumentale di un pezzo dei The Servant, le parole erano queste: «La prima volta che ho avuto un orgasmo ancora da vestito». Il che se ci pensate, poteva essere stata scritta solo da un Nerd, uno di quelli senza ritorno.
Bisogna fare un doveroso passo indietro però, in quanto vecchio lettore me lo posso permettere, perché è tutta la vita che aspetto che Robert Rodriguez mantenga quella vecchia promessa di portare sul grande schermo Madman di Mike Allred, il cui primo ciclo di storie per altro, era in bianco e nero (storia vera). Conferma che il regista Tex-Mex è uno di noi, un lettore di fumetti giusti, tra cui appunto “Sin City”, edito dalla Dark Horse, che ha rappresentato a lungo l’apice dello stile di Frank Miller, libero dai vincoli anche del formato delle pagine (l’autore ha sempre odiato il classico formato da Comic Book americano, le tavole del suo 300 sono una conferma) nella sua città del peccato, Miller ha fatto confluire dentro tutte le sue passioni.
Tra cui il noir e l’hard boiled più duro e puro, infatti leggere “Sin City” (ho guardare il suo adattamento) resta un tuffo in questi generi letterari da cui Miller ha pescato detective torvi, criminali loschi, un esercito di femme fatale una più meravigliosa dell’altra, e tutti i topoi classici mescolati con le sue fissazioni, vicoli stretti in cui incanalare un numero maggiore di nemici, che riecheggiano le gesta dei suoi Spartani anche se bisogna dire le cose come stanno, tutto resta condito dai suoi notevoli trascorsi nel mondo dei super eroi.
I personaggi saltano giù dai palazzi, dalle trombe delle scale o dentro i lucernai atterrando in piedi come solo nei fumetti di superpigiami vediamo fare, infatti potremmo tranquillamente dire che Marv è un po’ il Superman, o se preferite il Batman di Sin City, l’anti-eroe filtrato dalla letteratura hard boiled che non va giù nemmeno se colpito ripetutamente, anche da milioni di volt («Ci diamo una mossa? Si fa notte qui»).
Il tutto filtrato dallo stile di Miller, che vuol dire ZERO umorismo, al massimo qualche tocco di acida satira, dialoghi affilati e didascalie che sono rasoiate in piena faccia, applicate ad un bianco e nero implacabile, i personaggi di Sin City emergono da buio, Miller scolpisce la pagina lavorando per contrasto, aggiungendo qualche tocco di colore, di solito rosso sangue, spesso giallo (bastardo), perché non l’ha inventata Miller questa mossa, nemmeno Spielberg, al massimo Kurosawa in “Anatomia di un rapimento” (1963) che guarda caso, era anche un noir. Questo post sarebbe stato più facile se avessi avuto il tempo di rimettere mano alla mia collezione di volumi di “Sin City”, mi sarebbe piaciuto scrivere di ognuno di essi perché li ho amati molto, hanno rappresentato l’ultima volta che Miller ha mosso la coda (prima di perdere completamente la testa), ma anche così parafrasando Marv, scrivere questo post è il patto con i miei muscoli da blogger, che mi fanno mille promesse di altrettanti dolori.
Eppure è obbligatorio un passo indietro fino al 1990, anno in cui Frank Miller se ne va da Hollywood sbattendo la porta, sbraitando: «Basta! Me ne vado per sempre dalla città del cinema e me ne farà una tutta mia, con blackjack e squillo di lusso!», scottato dopo che il costosissimo polpettone che aveva scritto come sceneggiatura di Robocop 2 gli era stato stagliuzzato e spezzettato. La promessa di Miller è durata un po’ più di dieci anni, a far cambiare idea al fumettista è stato Robert Rodriguez, fanatico del suo “Sin City”, che nei suoi Troublemaker Studios in Texas, con un trionfo di schermo verde e chroma key, girando con due attori scelti al volo come Marley Shelton e Josh Hartnett, mostrò a Miller una scena ispirata al fumetto, che non solo conquistò l’immaginario del vecchio Frank, ma finì dritta sparata nel prologo di un film in cui Miller finì non solo per supervisionare tutto, ma fece il salto (auto)convincendosi di essere a sua volta un co-regista, questa storia vera basta per affrontare “Sin City”? No, alziamo la posta in gioco.
Robert “Amico di tutti” Rodriguez, forte dell’aver composto qualche canzone per Kill Bill a titolo di amicizia per Tarantino con un contratto simbolico di un dollaro, ha potuto reclamare il favore (per lo stesso importo) dall’amico Quentin, accreditato come “special guest director” di un solo segmento, quello in cui Dwight (Clive Owen) è impegnato in un dialogo immaginario con il cadavere di Jackie Boy (Benicio del Toro), ed è dal 2005 che ancora nessuno è davvero riuscito a convincermi che quella scena, non fosse l’omaggio, la citazione, o comunque l’interpretazione tarantiniana del viaggio con la testa sul sedile del passeggero, già portato in scena da Sam Peckinpah.
Inutile girarci attorno, dal punto di vista estetico sembra di guardare le tavole di Miller prendere vita, Rodriguez replica intere sequenze utilizzando i fumetti di “Sin City” come story board, da questo punto di vista il film è il trionfo dell’effetto “Ma è ugualeeeeeee!” che proprio con questo film ha iniziato ad imperversare, è anche vero però che di tanti titoli tratti da fumetti che abbiamo visto dal 2005 in poi, pochi sono stati fumettistici per davvero come questa regia a sei mani, i cui pregi e difetti sono tutti in bella vista, spiccano come il bianco dal nero.
Iniziato dai difetti, chi vorrebbe il noir puro come detto, potrebbe storcere il naso per le ovvie influenze dovute all’origine fumettistica dell’opera e ai trascorsi del suo autore, sull’abuso di violenza, preti corrotti, assassini pedofili, tutta roba su cui Miller preme a tavoletta il pedale dell’acceleratore e con cui non si patteggia, proprio come il tono serissimo dell’opera, senza concessioni umoristiche di sorta. Questo è Miller bellezza, e tu non ci puoi fare niente.
I pregi invece sono tutti gli altri, anche perché potendo scegliere per primo, Rodriguez ha pescato le primizie, i racconti più riusciti ed emblematici della produzione targata Dark Horse, quindi oltre al prologo (“Il cliente ha sempre ragione”) usato per convincere Miller, il film pesca da “Un duro addio” (che ho scoperto chiamarsi così dopo, per me era solo il primo folgorante volume di Sin City prima del nuovo titolo appioppato nelle ristampe) ma anche da “Quel giallo bastardo” e “Un’abbuffata di morte”, insomma il meglio del meglio.
L’idea ottima è stata quella di intrecciare storie e personaggi, mettendo in chiaro (su scuro) che Sin City è un posto vivo, dove però restarci può essere molto ma molto complicato. Al resto ci pensa un cast cinque stelle extra lusso, in cui a spiccare sono persino quelli rimasti fuori, Johnny Depp sostituito da Benicio del Toro, oppure Michael Douglas e Christopher Walken, prime scelte per il proto-Callaghan ma con l’angina, ovvero John Hartigan, assegnato secondo me in maniera molto più filologica ad uno noto per i ruoli da poliziotto tosto (e pretoriano di Tarantino) come il nostro Bruce Willis, in uno degli ultimi ruoli di lustro della sua gloriosa carriera, per altro, nello stesso anno, Bruno si sarebbe trovato due volte a sacrificarsi sullo schermo per il bene di qualcuno di più giovane, anche se della coppia di titoli di quell’anno, questo è decisamente quello più ricordato.
Anche se a torreggiare su tutti resta ovviamente Mickey Rourke, in un momento della carriera in cui lavorava quasi solo per Rodriguez, ben prima del suo ritorno di fiamma (brevissimo) con “The Wrestler”, per certi versi il suo Marv è filologicamente in linea con i precedenti lavori dell’attore, anche se ricordo l’intervista in cui l’attore, con enorme onestà intellettuale, confermava che questo suo ruolo “Pop” ben incarnato dalla faccia massacrata di Marv, fosse il modo in cui il mondo ormai lo vedeva, in effetti ha senso, ma sono sicuro si sia divertito ad impersonare questo moderno gladiatore, il più grosso bastardo di Sin City.
Scendere nel merito di tutte le singole trovate, vorrebbe dire riassumere i singoli fumetti da cui le scene sono tratte o trasformare il post in una telecronaca, perché potremmo stare qui a parlare dell’assassino di Elijah Wood, vestito con la stessa maglia di Charlie Brown, oppure finire a blaterare di scivolate su mani mozzate, di Shuriken dalla forza nazi e chi più ne ha più ne metta, magari potremmo farlo nei commenti, ci tengo solo ad aggiungere che per Jessica Alba, il ruolo di Nancy è diventato iconico pur rispettando la tradizione dell’attrice, il suo storico rifiuto a spogliarsi sul grande schermo, un patto che non hanno fatto ad esempio Rosario Dawson, qui splendida in abiti che di solito non si indossano in pubblico o ancora di più, la mia MVP personale della città di Basin City, ovvero Carla Gugino, apparizione breve ma indimenticabile.
Non riesco a dividere nella mia mente l’impatto di aver visto Sin City e i suoi personaggi al cinema per la prima volta nel 2005, dalla mia precedente esperienza di lettore, ma anche così la sensazione generale dell’adattamento fumettistico, che avrebbe messo fine (o meglio, segnato per sempre) tutti gli altri adattamenti fumettistici sembrava piuttosto forte, anche troppo, tanto da non poter durare come infatti è successo. Sono stati in pochi nella storia di Hollywood i registi con la libertà creativa di Rodriguez, che infatti questo film lo ha girato tutto in Texas nei suoi studi di registrazione, con un cast ancora poco avvezzo (non come oggi) allo schermo verde, che nel 2005 infranse gli indugi semplicemente calandosi nei ruoli totalmente.
Anche per questo “Sin City” è stato irreperibile, anche se oh se si sono impegnati a provare a ripeterlo! Ma di questo parleremo a stretto giro, visto che ormai dovreste saperlo, quando mi assegnano un lavoro, come Marv, lo porto fino in fondo, la settimana prossima, questa Bara si farà un altro giro nella città del peccato.
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