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Slaxx (2020): la notte dei Jeans viventi

«AHAH un film con i Jeans assassini che ridere! Voglio
vederlo tipo subito!» (cit. chiunque sul web davanti al trailer di questo
film)

Ci sono delle trame che si vendono da sole, ad esempio un
horror con dei Jeans che prendono vita e uccidono le persone. Quanti di voi non
vorrebbero vederlo un film così? Se siete lettrici e lettori abituali della
Bara Volante, in questo momento avete la mano alzata, abbassatela pure, non era
un sondaggio e poi il formicolio alla mano è fastidioso quando il sangue non
circola bene.

Mi sono approcciato a “Slaxx” con la leggerezza nel cuore di
chi è cresciuto con Larry Cohen e sa
che anche il soggetto più matto, può diventare una critica sociale ma anche un
titolo di culto. Ecco “Slaxx” non lo diventerà mai, anzi è un film che mi ha
fatto sentire più che mai l’assenza del grande Larry.

Perdonali Larry, non sanno quello che fanno.

In un campo sperimentale di cotone in Canada, una ragazzina
dai tratti e dagli abiti indiani, porta la sua cesta di fiocchi immacolati
raccolti con fatica, verso un enorme macchinario che mi ha fatto pensare a “The
Mangler – La macchina infernale” (1995) di Tobe Hooper in versione però
educata. Se avete visto più di tre horror nella vostra vita, avete già capito
tutta la trama di “Slaxx”.

Stacco, in una catena di negozi di vestiti super fighetti
chiamato CCC, la giovane protagonista di cui non ricordo nemmeno il nome tanto
non serve, esordisce al suo primo giorno di lavoro in questo negozio dallo
stile insopportabile alla Abercrombie, che per quello che mi riguarda era solo
il nome di un cane zombie in un corto di Tim Burton dedicato a Vincent Price,
Questo vi dice di come funziona il mio cervello, ma anche il mio guardaroba.

“Non trovi che Cassidy sia così cheap? Lo trovo molto Out”, “Come parla? Come parla? Le parole sono importanti!”

In questo negozio fighetto, pieno di commessi fighetti e
gestito da un capetto (fighetto), la protagonista è un pesce fuor d’acqua,
quindi pensa bene di fare amicizia con la quota minoranze etniche del film, una
ragazza anche lei di origine indiana, con cui la protagonista fa subito una figuraccia per via della musica di Bollywood che sta ascoltando in cuffia. Sono
passati due minuti e già spero che i Jeans uccidano tutti indistintamente, sul serio, tutti.

Lo spunto della trama è ovviamente la nuova linea ultra alla
moda, super sostenibile, equa e solidale, ma soprattutto altamente inclusiva.
Un paio di Jeans. Cioè il vostro capo di vestiario del futuro sarebbero dei
Jeans? Ma non l’avete visto Il mondo secondo Jeff Goldblum? I Jeans per essere prodotti richiedono ettolitri di
acqua, sono il capo di vestiario storicamente più popolare perché legato alla
tradizione dei lavoratori, ma anche quello più ecologicamente dispendioso. Si,
ma non quelli della CCC, perché questi nuovi Jeans sono in grado di adattarsi
alla forma del corpo, eliminando lo stress della cintura, delle prese in giro
sul corpo insomma, sono la soluzione a tutti i mali dell’umanità, almeno quelli
più citati sui Social-Cosi.

Ho visto più sangue in certe svendite che in questo film.

Avete già capito tutta la trama no? Il commento potrebbe
terminare qui, i Jeans prendono vita nella notte prima della grande
inaugurazione della nuova linea e i commessi chiusi dentro per mantenere il
segreto e preparare gli scaffali in vista dell’invasione di compratori (in
stile, uscita del nuovo i-Telefono) già prevista per il mattino dopo, la notte
dei Jeans viventi. Sulla carta tutto bellissimo, purtroppo solo sulla carta.

Già perché la regista Elza Kephart, più che dallo spirito
sovversivo di Larry Cohen, si fa possedere da quello anemico degli horror anni
’90 e metà delle morti nelsuo film avviene fuori scena. Sul serio cosa può esserci di più
doloroso in un horror, che non mostrare gli omicidi? Siamo qui per quello
cavolo! Sarebbe come guardare un porno per i dialoghi tra l’idraulico e la
bionda, interrogandosi su quale tipologia di chiave a pappagallo sia necessaria
per risolvere il fastidioso problema di perdite alla tubatura dannazione!

“Non ci posso credere che Cassidy abbia scritto davvero questa frase”

Ho detto la metà delle morti, perché per fortuna Elza
Kephart ci concede di vedere qualcuno dei suoi odiosi protagonisti uccisi in
favore di macchina da presa, il che rende tutto ancora più frustante, perché
allora cara Elza, lo vedi che quando vuoi hai capito come far funzionare una
storia così? Peccato che “Slaxx” abbia una durata di 77 minuti dichiarati, ma percepiti
sembrano comunque 177.

Una storiella stiracchiata, buona giusto per un
cortometraggio, che diventa una banalissima critica al capitalismo scritta con
il pennarellone a punta grossa, didascalica oltre i limiti accettabili in cui
l’umorismo, consiste nel vedere un paio di Jeans che grazie ad un operatore con
tuta verde, prontamente cancellata al computer (perché ci hanno tenuto a svelare
anche questo “trucco” durante i titoli di coda, se ne sentiva proprio il
bisogno), che ballano sulle note di un pezzo di Bollywood. AHAHA che rider… NO!

“Volendo potrei trovarle un perfetto paio di scarpe da abbinare, ma non mi uccida…”

Lo sforzo di trasformare una storiellina di denuncia banale
come un post qualunquista sul vostro Social-coso preferito, in un film che per
puzza raggiunge i 77 minuti di durata, è paragonabile a quando qualcuno cerca
di infilarsi nei Jeans dopo le feste di Natale: fastidioso, imbarazzante, fa
ridere due minuti ma poi diventa tedioso. Insomma tutti rimandati a casa a
studiare la filmografia di Larry Cohen! Filare via, veloci, circolare!

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