Il discorso sarebbe lungo e ben più complesso, ma concedetemi di semplificare, il genere Slasher è diventato popolare presso il grande pubblico, in un punto a metà strada tra la Haddonfield di Halloween di John Carpenter, il capostipite del 1978 e la Elm Street di Wes Craven, con Nightmare – dal profondo della notte, i due titoli che hanno segnato in maniera indelebile il genere.
Nel mezzo il filone, chiamiamolo vacanziero, da campeggio ha trovato in Venerdì 13 il suo punto di origine, una serie di film dalla formula comprovata, per non dire proprio abusata, che di norma prevedeva adolescenti con gli ormoni che facevano le sgommate nei piazzali, trasformati in carne da macello dall’assassino moralizzatore di turno, il più delle volte un facente funzione di Jason Voorhees, lui da solo presente in dodici titoli, giusto per darvi un’idea di quanto sia affollato questo sottogenere.
Tra i titoli nati sulla scia del successo del film di Sean S. Cunningham, ci sono due titoli che allontanandosi quel tanto che basta dalla formula arci nota, hanno saputo diventare dei cult, uno è sicuramente The Burning, l’altro è proprio il titolo di oggi ovvero “Sleepaway Camp”, il fatto che entrambi siano ancora inediti in uno strambo Paese a forma di scarpa serve a capire, non tanto la poca popolarità dei campeggi estivi, quanto il fatto che riusciamo sempre a confermarci come la periferia del mondo.
“Sleepaway Camp”, scritto e diretto da Robert Hiltzik, è il classico film che andrebbe visto senza sapere nulla della sua trama, anzi giusto per provare ad invogliarvi lasciate che io vi dia due istruzioni per l’uso: girato con un budget di una confezione grande di Marshmallow e di un legnetto per arrostirli, “Sleepaway Camp” raduna insieme più cani di un canile, raramente troverete un film con più attori improvvisati di questo cast, per un livello medio di recitazione che varia dalla messa in scena di Cappuccetto Rosso recitata dai bambini delle elementari per arrivare, nei casi migliori, alla recita parrocchiale, perdonatemi se ho peccato di ottimismo.
I dialoghi il più delle volte sono farraginosi, in altri momenti vi faranno sanguinare le orecchie, per quanto riguarda montaggio e regia siamo dalle parti di “Lo Zen e l’arte di arrangiarsi”, insomma so cosa state pensando, perché diavolo dovrei guardare un film del genere? Per prima cosa perché dura 84 minuti e poi è il titolo che si è guadagnato l’etichetta di “Film con il colpo di scena più scioccante della storia degli Horror”, inoltre è il perfetto titolo da Bara Volante, perché voglio stupidamente credere che dopo tutti questi anni passati a leggere questo mio macabro Blog, abbiate imparato a distinguere tra i film brutti brutti, da quelli bruttini ma con un valore, come “Sleepaway Camp”. Quindi mollate tutto quello che state facendo (compreso leggere i miei deliri) e correte a vedervi il film, non osate gettare lo sguardo sul prossimo paragrafo senza aver visto l’esordio di Robert Hiltzik. Anzi vi aiuto, il film come detto non è mai uscito in uno strambo Paese a forma di scarpa, ma con un po’ di astuzia si trova facilmente, quindi buona caccia.
Avete visto il film? Ammazza se siete veloci, complimenti, però fatemi ribadire ancora una volta il concetto: da qui in poi SPOILER! Non azzardatevi a leggere se non avete già visto il film.
Robert Hiltzik ha dichiarato di aver scritto il suo film d’esordio buttando giù nero su bianco la scena iniziale e quella finale (intimamente legate), per poi unire i puntini successivamente, infatti “Sleepaway Camp” comincia nell’estate del 1975, con papà John Baker (Dan Tursi) che porta i figli Angela e Peter a fare un bel bagno al lago nei pressi del capo estivo Arawak, per colpa di un paio di giovanotti poco responsabili la famiglia viene travolta da un motoscafo in corsa e dalla tragedia si salva solo Angela, affidata alla stravagante dottoressa Martha (Desiree Gould), zia della bambina e personaggio leggerissimamente eccentrico, recitata nella stessa identica maniera.
Nell’estate del 1983, per Angela (Felissa Rose) è il momento di essere spedita dalla zia al campo estivo Arawak, insieme a suo cugino Ricky (Jonathan Tierston) ormai veterano dei campeggi, con il compito di vegliare sulla cuginetta, timida, riservata e alla sua prima uscita ufficiale nel mondo oltre la soglia di casa, dopo essere stata tenuta sotto una campana di vetro per via del suo trauma.
Da qui in poi il canone di questa tipologia di Horror richiede il suo tributo di sangue: Angela è la stramba, quella senza amici e quindi il bersaglio naturale dei bulli del campo estivo, ben rappresentati da Judy (Karen Fields), che la prende subito di mira proprio come fa il viscido cuoco del campeggio. Angela con quella sua aria da “Final girl” predestinata, deve farsi largo in questa selva dove ovviamente, i campeggiatori inizieranno a morire come mosche per mano di un assassino misterioso e se pensate di aver già capito il colpo di scena finale no, non lo avete capito a meno che non abbia già visto il film oppure… mi state leggendo senza averlo fatto? Beccati! Vi ho detto di guardare “Sleepaway Camp” prima di leggermi, questo è l’ultimo avvertimento!
Il film di Robert Hiltzik, senza quei suoi otto minuti finali, in grado di far ammutolire ancora oggi tutte le svolte dei film di M. Night Shyamalan tenendo una mano comodamente dietro la schiena (non è un’iperbole la mia), è l’horror che ho voluto giocarmi per il “Pride month”, avevo pensato a “Jennifer’s Body” (2009), ma poi me lo sono rivisto e devo dire che per quello che mi riguarda, la grande rivalutazione di cui è stato soggetto quel titolo è meritata per il tema trattato, ma non per la sua realizzazione che continua a convincermi davvero poco, quindi per fare pace con gli horror perfetti per il mese di giugno, ho preferito di gran lunga lanciarmi su “Sleepaway Camp”.
Solo nell’ultima, iconica e spaventosa inquadratura del film il colpo di scena ci chiede di rivalutare tutto quello che abbiamo visto per i primi 76 minuti, eppure Robert Hiltzik si è divertito a seminare indizi sull’identità di genere di Angela, ma quella svolta, oltre ad aver regalato una delle singole inquadrature più iconiche della storia del cinema horror (il primo piano sulla ringhiante Felissa Rose), ci permette di rivalutare tutta l’esperienza al campo estivo di Angela.
Per essere un film girato con un budget composto da risate e nastro americano, Robert Hiltzik fa una scelta brillante, abbassa ulteriormente l’età dei protagonisti, rispetto alla media degli Slasher con ragazzini destinati a diventare carne trita, gli ospiti del campo Arawak sono tredicenni alle prese con le loro prime pulsioni sessuali e la loro prima estate da quasi adulti, la già traumatizzata Angela, oltre ad essere una ragazza in un corpo maschile, più che ai già fastidiosi bulli, deve far fronte al ritrovarsi di colpo come bersaglio per l’interesse sessuale dei maschi, nel modo peggiore possibile per altro, visto che il viscido cuoco del campeggio tenta di violentarla nel magazzino della cucina e solo l’intervento tempestivo di Ricky evita il peggio.
Prima della svolta finale, l’assassino potrebbe tranquillamente essere uno dei campeggiatori o la stessa Angela, di cui però è impossibile intuire le motivazioni fino agli otto minuti finali, ma il film va rivalutato proprio alla luce di quel finale, perché come detto gli indizi non mancano, fateci caso.
Quando il tenero Paul (Christopher Collet), comincia a dimostrare dell’interesse per Angela, per altro contraccambiato, la protagonista è costretta a viversi il suo primo amore in un corpo che per ovvie ragioni, non le concederà mai di andare oltre il primo bacetto, infatti nel tentativo di depistarci (ma anche di aggiungere strati di lettura alla storia), Robert Hiltzik in maniera brillante fa scappare Angela dall’approccio di Paul, subito dopo la scena del flashback sul padre di Angela che mette in chiaro chi fosse l’uomo che disperato, ha assistito alla morte di John Baker, ma ora, un po’ di storia del genere Slasher.
L’ambiguità di genere è un elemento che esiste all’interno dello Slasher fin dalle sue origini, ben prima che Michael a Laurie si rivelassero fratello e sorella, avevamo già Norman Bates in Psycho a mescolare le carte in tal senso, quindi che ogni deviazione dai binari dell’eteronormatività fosse equiparata agli assassini degli Slasher è quasi una tradizione, con cui è nato un sottogenere punitivo e per anni erroneamente etichettato come misogino. Perché se da una parte “Sleepaway Camp” potrebbe essere tacciato di transfobia, in realtà sarebbe una lettura frettolosa, perché a ben guardare è chiaro che Angela, traumatizzata dalla morte violenta del padre, sia un modo per sottolineare come costringere qualcuno in un genere che non sente proprio, possa portare a reazioni violente, specialmente quando si diventa oggetto di attenzioni sessuali del tutto non richieste, quindi pur restando perfettamente all’interno dei canoni dello Slasher, “Sleepaway Camp” è giustamente diventato il perfetto titolo per il “Pride month”.
Anche perché tratta l’argomento con una certa raffinatezza che da un film così grezzo, girato con il budget di un sacchetto di patatine e recitato il più delle volte da volenterosi dilettanti, non ti aspetteresti minimamente, senza per questo tirar via la mano su sangue, ammazzamenti e trucchi prostetici rigorosamente vecchia scuola, ancora piuttosto efficaci, anche solo nel rendere credibile gli otto famigerati minuti finali.
In “Sleepaway Camp” abbiamo utilizzi alternativi del pentolone da cucina, nidi di vespe lanciati come bombe a mano, serpenti che escono dalla bocca dei cadaveri, un ragguardevole numero di mutilazioni e colpi di coltello, insomma tutto il cucuzzaro Slasher che non può mancare in un horror da campo estivo con assassino a piede libero. Niente male per un titolo che alla sua uscita portò a casa undici milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, prendendo a calci anche titoli più blasonati come “Amityville 3D” (storia vera), due parole sui seguiti? Sotto che sono lanciato!
Proprio il successo del film portò a due seguiti diretti da Michael A. Simpson ovvero “Sleepaway Camp II: Unhappy Campers” (1988) e “Sleepaway Camp III: Teenage Wasteland” (1989), in cui il personaggio di Angela però è stato un po’ snaturato a mio avviso, nel senso che in questi due seguiti la nostra torna al campo estivo dopo un’operazione di cambio di sesso, interpretata da Pamela Springsteen, che non è un omonima, ma è proprio la sorella minore di Bruce (storia vera). In questi film Angela si allinea alla natura moralizzatrice degli assassini degli Slasher, ma con una spiccata predilezione per la provocazione, infatti la critica alla politica bacchettona del presidente Ronald Reagan è davvero palese, rendendo questi seguiti piuttosto divertenti, bisogna dirlo.
Per veder tornare Robert Hiltzik e Felissa Rose abbiamo dovuto aspettare il 2002 e “Return to Sleepaway Camp”, un titolo che ignorava tutti i seguiti (prima che diventasse una moda farlo) ma distribuito solo nel 2008 per via di una serie di problemi legati ai diritti di sfruttamento, insomma se conoscete Angela Baker sapete che si merita il suo stato di icona, quindi ci tenevo molto a questa sortita al campo estivo, non poteva mancare su questa Bara.
Sepolto in precedenza martedì 28 giugno 2022
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