Presso il vostro amichevole Cassidy di quartiere, Oliver Stone ha sempre goduto di parecchia stima, ora, sono abbastanza convinto che nessuno irromperà nell’ufficio di Oliviero gridandoli: «Oh c’è Cassidy che parla bene di te!», però ci tenevo a dirlo, spero che questa rubrica lo abbia messo in chiaro, quindi per l’ultimo venerdì, bentornati a… Like a Stone!
Stone è sempre stato un regista molto riconoscibile nello stile, una sicurezza come sceneggiatore, dato quasi per scontato per via degli Oscar portati a casa, tra le tante accuse al suo cinema (quando sei troppo politico per dirla alla Caparezza, di solito fioccano) una certa tendenza alla retorica, che è il modo facile per etichettare qualcosa di più complesso. Lo abbiamo visto anche nel corso della rubrica, Stone ha sempre creduto ai valori su cui si basano gli Stati Uniti, da giovane era un conservatore che è partito per il Vietnam come volontario, laggiù ha visto cose che gli hanno fatto sviluppare un senso critico dei confronti del suo Paese, insomma una persona con un cervello, non uno che pensa alla politica (e al cinema) come fanno in troppi, tipo in curva allo stadio.
Ironico che tra il suo Le belve e il suo nuovo lavoro, ultimo di fiction come regista in ordine di tempo, Stone si sia visto superato a destra proprio da un documentario, ovvero la sua seconda specialità a popolare la sua filmografia. “Citizenfour” uscito nel 2014, diretto da Laura Poitras e premiato con l’Oscar come miglior documentario, racconta la storia quasi in tempo reale della fuga dagli Stati Uniti di Edward Snowden e dello scandalo spionistico della NSA, iniziato sotto l’egida di uno dei presidenti del cuore (si far per dire…) di Stone, ovvero Dabliù e terminata durante l’amministrazione Obama. Quindi un regista che li critica entrambi è di destra o di sinistra? Domanda per gli sbandieratori da curva.
Dopo “Citizenfour” molti si sono chiesti che senso avesse un film come “Snowden”, un titolo per cui – come è facile intuire – Stone ha faticato a raccogliere fondi nel suo Paese e ha dovuto rivolgersi all’Europa, dopo una serie di viaggi in Russia, il suo film di pura fiction funziona, non da compendio, ma da bilanciato controaltare rispetto al documentario, aggiungendo tutte quelle parti che Laura Poitras, per ovvi limiti di formato non ha potuto raccontare. “Snowden” sembra fatto dal sarto per essere diretto da Oliviero Pietra, inizia con un allenamento militare, piazza due stoccate ai presidenti (il suo “amato” George Dabliù in particolare), facendo da ponte tra i documentari e i film ovvero le due anime della filmografia di Stone, ma soprattutto, è un titolo che parla di politica, politica estera, e policy, intesa come quella sulla privacy.
Il film scritto dallo stesso Stone è tratto da due libri, “The Snowden Files” di Luke Harding e “Time of the Octopus” di Anatoly Kucherena, entrambi raccontano del titolare Edward Snowden, super tecnico informatico ed ex agente della CIA, principale responsabile della rivelazione sul programma di intelligence del governo americano, che legittimava intercettazioni telefoniche per giustificare la sicurezza nazionale, e se c’è una cosa che i nostri (tormentati) tempi moderni ci hanno insegnato, è che le parole “sicurezza nazionale” rendono legittime un sacco di azioni, molte anche moralmente dubbie, per utilizzare un largo giro di parole.
Nei panni di Snowden, troviamo Joseph Gordon-Levitt, che anche qui risponde presente con una buona prova di recitazione, siccome il ragazzo non ha mai fatto segreto di stare studiando per passare dall’altra parte della macchina da presa, qui ha avuto l’occasione di aggiungere anche Oliver Stone tra la rosa di registi che ha potuto vedere al lavoro su un set cinematografico. Il suo personaggio, è facile intuire perché abbia attirato l’attenzione di Stone, è un patriota, con tibie provate da zaini e addestramenti militari troppo pesanti, un Nerd che ha trovato il modo per servire il suo Paese usando il suo enorme talento informatico, un conservatore, che nella trincea della nuova guerra digitale, pur credendo ai valori degli Stati Uniti, li ha visti schiacciati e ha deciso di dire di no. Puro Stone al 100%, anche se questa volta non si combatte con un M16 in mano, ma con una tastiera, e non come fanno tanti leoni di “Infernet”.
“Snowden”, arrivato dopo “Citizenfour”, non corre il rischio di risultare ridondante, anche perché il tema era già stato trattato con un ritmo da thriller proprio in quel documentario, che per altro, aveva anche la capacità, del tutto non secondaria, di farti salire una buona dose di ansia nei confronti della tecnologia che utilizziamo a palate ogni giorno. Argomento quello della paranoia che Stone riporta in auge, forse anche meglio rispetto a “Citizenfour”, quindi mettente in conto che dopo questo film, ruoterete la web cam del vostro computer verso la parete, gli metterete sopra il nastro adesivo, oppure la lancerete fuori dalla finestra, vi avviso.
Il cast del film urla a pieni polmoni «2016!», ad esclusione del figlio di Clint Eastwood, che allora stavano cercando di lanciare infilandolo in ogni tipo di pellicola possibile e immaginare per ricordare al mondo la sua esistenza (anche come attore), l’infilata di facce note continua con Melissa Leo, Zachary Quinto e Tom Wilkinson nei panni dei tre giornalisti pronti a raggiungere Snowden nella sua stanza d’albergo e a correre contro il tempo insieme a lui, per far arrivare la notizia ai giornali prima che la CIA si presenti travestita da servizio in camera. In un riuscito cortocircuito, a Melissa Leo tocca il ruolo Laura Poitras, la regista di “Citizenfour”, ma altri due nomi noti ci ricordano che Stone qui non sta inseguendo nessuno, sta facendo il suo film, la storia di Edward Snowden non solo coincide con gli stessi ideali del nostro Oliviero, ma anche con le tematiche del suo cinema.
Rhys Ifans, uno che è più facile incrociare in qualche commedia che in un thriller come questo, ha il ruolo del mentore che per primo capisce al volo il talento di Snowden. Nicolas Cage invece ha il ruolo dell’eccentrico talentuoso, finito in uno scantinato della CIA nemmeno fosse “Spooky” Mulder e come sempre, ricordo agli sbandieratori e fautori del “Nick Cage inespressivo”, gustatevi la sua prova qui, pochi minuti, tutto carisma in quello che è chiaramente un ruolo chiave nel cinema di Stone, il padre buono, opposto a quello negativo di Ifans, un tema ricorrente in tutta la filmografia del regista.
In un ruolo semi ingrato, quello della fidanzata del protagonista, troviamo Shailene Woodley, che mi dicono essere famosissima per la serie “Divergent”, ma personalmente la ricordo solo per (NON) essere stata la Mary Jane dello Spider-Man sbagliato, quello di Marc Webb. La nomina di Shailene per il ruolo della storica fidanzata dell’Uomo Ragno ai tempi fu presa benissimo dai fan(atici), c’è ancora Leo Ortolani che se sente il nome della ragazza mette mano alla pistola! Posso dire la mia? Se riuscite a capire come mai un dialogo chiave del film venga recitato da Woodley con un cappello di lana alla Grande Puffo in casa, e sulla scelta (cinematografica) di schioccare un bacio al protagonista, invece di mandarlo a stendere per le sue idee da conservatore, a mio avviso il suo compito l’attrice lo svolge alla grande, anche recentemente l’abbiamo vista ricoprire ruoli simili uscendone molto bene, solo che viviamo in un’epoca in cui la maledetta cultura Nerd domina e divora tutto.
Dico sempre che il cinema per gli americani, forse è il vero posto in cui riescono ad elaborare la loro storia anche recente, “Snowden” è un thriller diretto con mano ferma, lo si vede specialmente nelle scene in cui la suspense aumenta, ma soprattutto è ben scritto, basta sentire come filano i dialoghi, una delle vere specialità di Oliver Stone. Inoltre è una pellicola in grado di portare l’attenzione su temi grossi, è giusto rinunciare ad un po’ della nostra privacy online, per essere al sicuro da un possibile attacco terroristico? Fin dai Ninja utilizzati nel Giappone feudale, durante una guerra, chi è in grado di avere informazioni sul proprio avversario, ha un vantaggio tattico invidiabile, e per quanto io vada giù di testa per il ninjutsu, il mondo cambia, la tecnologia si evolve, ma la guerra resta sempre la stessa, Stone lo sa bene, dopo averla combattuta ha dedicato la sua carriera a metterci in guardia da essa e dagli uomini che hanno interessi a scatenarla.
Il nuovo fronte di battaglia è quello dell’informatica, più il protagonista scopre cose, più la sua (e la nostra) paranoia aumenta, costringendosi anche a riflettere, quindi da questo punto di vista “Snowden” è fatto dal sarto per sfoggiare la scritta “Directed by Oliver Stone”.
Con la sua durata di 134 minuti, “Snowden” sfoggia un ritmo efficace, rallenta solo per dare spessore alle dinamiche abbracciando non solo i documentari (il protagonista, personaggio di fiction con il volto di Giuseppe Gordone-Levitt che accetta l’aiuto dei tre giornalisti), ma tutta la causa di Snowden, qualcuno potrà accusare di moralismo stone per quel finale, ma come sempre con questo tipo di accuse, si tratta di una frettolosa etichetta, appiccata lì per coprire le vere motivazioni del regista.
Non c’è poi grossa differenza tra il giovane Snowden e il vecchio Oliviero Pietra, due soldati e due patrioti in guerra si riconoscono, quindi il regista chiude il cerchio e il monologo finale del protagonista, vede il passaggio di testimone tra Joseph Gordon-Levitt e il vero Edward Snowden, anche se poi la storia del personaggio (e quindi del film) continua sui titoli di coda, sulle note di The Veil di Peter Gabriel (nel cui video musicale compare anche lo stesso Snowden), una trovata che mi piace sempre quella di utilizzare i titoli di coda per continuare la trama, non voglio scomodare Miyazaki che lo fa spesso, ma devo ricordavi che un altro titolo con messaggio faceva lo stesso nel 2008, per altro sempre sulle note di un pezzo di Peter Gabriel, mi riferisco a “Wall-e”.
“Snowden” è un film che pare quasi voler fornire un servizio al pubblico, ovvero quello di tenerlo aggiornato sui fatti reali e su un argomento non facile, anche se mi farà guardare con sospetto allo schermo aperto del vostro portatile, vi ritroverete a pensare: in fondo ho sempre fatto bene a ruotare la web cam in direzione della parete, anche quando il mio computer è spento. Pensavo di essere paranoico, ma in questi complicati tempi moderni, la paranoia è il nuovo patriottismo, oppure più semplicemente, abbiamo sempre bisogno di pensatori liberi, anche dalle etichette, che ci ricordino di vegliare quis custodiet ipsos custodes? O per me che sono Nerd alla Snowden, who will watch the watchmen?
Capolinea gente! Questa rubrica è arrivata alla sua conclusione, sono abbastanza convinto che nessuno irromperà nell’ufficio di Oliviero gridandoli: «Oh c’è Cassidy che ha fatto uno rubrica su di te!», ma ci tenevo molto e ora posso dirlo: missione compiuta. Qualche venerdì libero e poi il palinsesto della Bara tornerà ad ospitare una nuova monografia.
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