L’animazione si pone l’obbiettivo di utilizzare i disegni per raccontare una storia, la Pixar ormai è una macchina così ben oliata da poter davvero osare, se con Inside out erano riusciti a rappresentare le emozioni umane, con la loro ultima fatica intitolata “Soul” si sono spinti anche oltre, trasformando in immagini quello che non ha forma fisica, se non addirittura l’imponderabile, come la musica e l’anima entrambe ben rappresentate nel brillante gioco di parole del titolo.
Diretto da Pete Docter, ormai veterano di diverse regie Pixar, il film come sapete è uscito il giorno di Natale su Disney+, in questo disgraziato 2020 forse un destino migliore (o sarebbe meglio dire, meno peggio) di quanto accaduto al bello e ignorato Onward, inutile lamentarsi per la mancata uscita in sala, la qualità del film non vi farà rimpiangere troppo l’assenza delle poltroncine.
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Togliete i cartelloni dei film di Damien Chazelle, è arrivata la Pixar! |
La storia è quella di Joe Gardner (Jamie Foxx in originale e Neri Marcorè qui da noi, anche se le movenze delle dita del personaggio sui tasti del piano sono quelle del musicista Jon Batiste, che ha composto tutte le parti Jazz della colonna sonora), un insegnante di musica che ancora sogna di sfondare diventando un grande musicista. L’occasione arriva con l’ingaggio per suonare il pianoforte nel quartetto di Dorothea Williams (Angela Bassett), piccolo problema: poco prima della grande serata Joe ci lascia le penne e la sua anima si ritrova lungo una “scala per il paradiso”, per citare i Led Zeppelin, anche se suonavano un altro genere.
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…And she’s buying a stairway to Heaven (cit.) |
“Soul” ci porta in un (altro)mondo che ha l’obbiettivo di fornire una serie di regole a qualcosa che di solito esiste solo perché descritto da alcune religioni. Il recalcitrante Joe scivola fuori dall’ante-mondo per finire nel bucolico “Io seminario”, un mondo che ha la gamma di colori sfumati dell’arcobaleno, in cui le anime di alcuni “mentori” famosi e quotati, cercano di ispirare le nuove anime, spingendole a trovare lo loro scintilla, quella specialità che li renderà unici, prima del loro viaggio attraverso il “Terraportale”, nel loro esordio in quel gran casino che tutti chiamiamo vita. Insomma, raccontare l’aldilà ai bambini e il concetto di anima, senza ricadere nei Dogmi già imposti dalle religioni, quando distribuivano la timidezza, probabilmente i ragazzi della Pixar erano in riunione creativa per sviluppare questo film.
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Chissà se questo è l’omaggio della Pixar al grande Osvaldo Cavandoli? |
Per una serie di buffi scambi di persona (anzi di anima), Joe si ritrova a fare il mentore di numero 22 (Tina Fey, da noi Paola Cortellesi) una giovane anima che ha saputo mandare in crisi mentori come Jung, Madre Teresa, Abe Lincoln e Muhammad Ali, infatti alcuni degli scambi di 22 con questi celebri personaggi sono davvero spassosi. Cosa può insegnare un musicista mancato, riciclato maestro di musica ad una piccola peste come 22? I due opposti finiranno per collaborare perché “Soul” parla di questo, un’anima che non vuole rassegnarsi a morire e un’altra, che invece ha timore di cominciare a vivere. Ve l’ho già detto che la Pixar questa volta aveva puntata in alto vero?
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Innegabile che il design dei personaggi, ricordi molto Inside out, ma per il resto il film ha una sua anima (ah ah). |
“Soul” è un film bellissimo, un’opera quasi gemella di Inside out, che punta ad intrattenere i più piccoli con una bella e divertente corsa contro il tempo (per arrivare in tempo al concerto di Dorothea Williams) e una coppia di protagonisti dall’ottima chimica, in grado di fare scintille. Ma più del film precedente, “Soul” forse si rivolge agli adulti, con una trama più strutturata (per via delle “regole” che Joe cerca di raggirare) e un messaggio che ha tutto per ispirare i più giovani, ma forse può essere compreso meglio da chi nella vita, ha macinato qualche chilometro in più.
Una passione, come quella per la musica di Joe, che può trasformarsi in un’ossessione ma anche la necessità di emergere, arrivare ad essere il migliore, uno scopo nobile che potrebbe convivere con un obbiettivo forse più scontato ma non meno complesso da ottenere, quello di apprezzare la vita in tutti i suoi momenti, anche quelli più piccoli ed effimeri e proprio per questo preziosi. A livello di “messaggio” il nuovo film Pixar punta in alto, ma anche questa volta hanno saputo portare a casa il risultato, specialmente grazie ad un finale in crescendo (anche di pathos) che sembra davvero un’improvvisazione jazzistica.
“Soul” si avvale di un’animazione più variegata del gelato all’amarena, le parti del film ambientate nel mondo reale, se non fosse per protagonisti disegnati, sembrerebbero delle fotografie del Queens, un quartiere di New York che al cinema abbiamo visto tante volte, ma per via della sua natura proletaria e multi culturale, penso che vedremo sempre più spesso nei film. La bottega del barbiere, il negozio di sartoria della madre di Joe, sono luoghi tipici della cultura nera americana che qui vengono raccontati con enorme rispetto e senza scadere mai nel cliché.
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Tim Story… MUTO! |
Quando poi la storia si sposta in un mondo ultraterreno, i colori diventano più onirici, il montaggio sonoro è impreziosito da piccole scelte che rendono davvero alieno questo aldilà, ad esempio quando i personaggi cadono non si sente mai un tonfo, oppure quando le anime attraversano la luce al fondo della scala, si sente un sinistro “Bzzzz!” in stile fulmina insetti… Brrrr. La musica da questo punto di vista contribuisce davvero molto alla buona riuscita finale, ed è normale (ma non scontato) in un film che si intitola “Soul”.
Se Jon Batiste si occupa brillantemente di portare il calore della musica Jazz nella trama, per l’aldilà ci pensano i due “darkettoni” Trent Reznor e Atticus Ross ormai stabili al cinema, anche se l’accoppiata composta dal cantante dei Nine Inch Nails e la Pixar è più improbabile di quella composta da Joe e 22. Tuttavia Reznor e Ross utilizzando della musica elettronica onorica ma sottilmente sinistra, sono stati davvero bravi a rendere in musica la colonna sonora dell’altro mondo.
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Il jazz, troppi assoli (cit.) |
“Soul” riesce a raccontare alla perfezione sensazioni che abbiamo provato tutti, come quando il trasporto creativo ti trascina in uno stato di trance ad esempio, un concetto che nella versione doppiata del film è stata tradotta come la “bolla”, quando in originale il concetto di essere “in the zone” secondo me è molto più efficace, anche perché si utilizza spesso anche nel campo degli sport, in particolare quelli americani e qui ve lo dico, la gag sui New York Knicks della NBA, perseguitati da anni da ventidue, mi ha fatto scoppiare a ridere, perché la squadra del cuore di Spike Lee è una tragedia su parquet ormai da una vita (storia vera).
Una menzione speciale la meritano i “mistici” tra cui lo spassoso figlio dei fiori Spargivento (Graham Norton), che si muove navigando a colpi di canzoni di Bob Dylan, solo una delle tante brillanti invenzioni di un film dal gran ritmo, che come in un pezzo Jazz sa rallentare per diventare più intimista, oppure incantarti con un ritmo dinamico, insomma un vero spettacolo musicale, per occhi e orecchie.
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«Speriamo che Spike Lee non si offenda per la battuta sulla sua squadra» |
Insomma “Soul” è un film davvero molto bello, un ottimo regalo di Natale da parte della Pixar che ha sfornato un altro titolo incredibile, in grado di rendere per immagini concetti che tutti conosciamo, anche se spesso scivolano via dalla punta delle dita, complicati da spiegare a parole, figuriamoci da immaginare, disegnare, animare e rendere in musica. Tanto di cappello (ovviamente da Jazzista) a Pete Docter e alla Pixar che una buona metà di questo film, lo hanno prodotto facendo del “telelavoro” da casa (storia vera) e anche per questa ragione, non poteva esserci film di Natale più indicato per questo strambo e contorto 2020.