Immaginate di essere Jan de Bont, direttore della fotografia di fiducia di Paul Verhoeven oltre che primo uomo a cui Polvèron ha telefonato non appena messo piede sul suolo americano (storia vera). Avete curato la fotografia per i più grandi, nomi come Donner, Schumacher e soprattutto John McTiernan, a cui siete appena subentrati, seconda scelta alla regia per un soggetto che di base è una sorta di “Die Hard sul Bus”, che poi è quello che chiunque si muova regolarmente con i mezzi pubblici fa ogni giorno nella sua vita.
State guidando con la vostra auto e vedete un cavalcavia in costruzione, incompleto, CLICK! Scatta qualcosa nella testa e una volta arrivati a destinazione agguantate un telefono per chiamare il vostro sceneggiatore Graham Yost, uno che per un po’ ha avuto la scintilla giusta per i film action e che aveva scritto il copione di quello che (almeno in italiano) Homer Simpon chiamava “l’autobus che doveva andare sempre speedito” più noto come “Speed”: «Graham, ho un’idea per una scena che dobbiamo per forza mettere nel film. Quel cazzo di autobus lo facciamo volare»
Ora, secondo voi, questa pagina, che da sempre (il 2015) s’impegna a far volare oggetti dalla forma e dall’utilizzo originario poco consono al volo, poteva perdersi il compleanno di un caposaldo del cinema d’azione americano come “Speed”, che proprio quest’anno spegne le sue prime trenta candeline? Mai nella vita! Anche perché è inutile girarci attorno, tanti criticano il decennio della musica Grunge, ma è stato quello in cui le videoteche erano piene di eroi marziali VERI e al cinema, i blockbuster, i titoli di punta, non prevedevano nessuno in pigiama colorato ma comunque personaggi e trame che vivevano e morivano (duri) sulle scene action. Mi mancano quei tempi? Forse, più che altro mi manca quell’idea di cinema, mi mancano i Classidy come “Speed”.
Un titolo che oggi è un classico, perché anche alla luce del successo di John Wick, oggi è più facile ricordarsi che Keanu Reeves avesse dei trascorsi molto illustri qui, ma parliamo di un soggetto nato dalla vecchia scuola, pensato proprio per McTiernan e con un passaggio cestistico, dietro la schiena senza guardare, finito all’olandese volante Jan de Bont, che come primo protagonista, l’eroico poliziotto mezzo matto Jack Traven (una volta dovremmo discutere del perché gli eroi dell’azione yankee si chiamano tutti John o Jack) aveva pensato Stephen Baldwin, che penso si stia ancora masticando i gomiti oggi per non aver accettato un soggetto che ammettiamolo, nessuno voleva, perché ai tempi era davvero considerato una variazione sul tema Die Hard. L’esatto opposto di come vengono approvati i nuovi progetti oggi, è cambiato il mondo del cinema in trent’anni.
A questo punto della storia, entra in pista un nome noto, anzi, oggi come oggi dovremmo dire famigerato, uno che era cresciuto nel mondo del fumetto e che si stava facendo strada ad Hollywood come “script doctor”, lo avrebbe fatto anche per Toy Story quindi sì, mi riferisco a Joss Whedon perché se “Speed” fila beh, come un autobus in corsa è merito di Jan de Bont, ma se i suoi dialoghi stanno al passo lo dobbiamo al papà di Buffy che ha saputo dare brio a passaggi che sono puro canone del genere.
Pensateci, il collega, amico e mentore del protagonista Jack Traven, ovvero il detective Harold “Harry” Temple interpretato da Jeff Daniels, non solo ricorda un po’ il personaggio di Gary Busey in Point Break, ma è allo stesso tempo motore per la trama e per l’indagine parallela. Anche perché lo ritroviamo intento a fare tutto quello che Jack, a bordo del bus non potrebbe, oltre che a risultare spalla comica e personaggio “motivazionale”, quello che ogni eroe deve avere per aumentare il livello della competizione con il cattivo, portandola su un piano personale.
Whedon sistema anche la protagonista femminile, dai! Whedon che sa scrivere un personaggio femminile? Chi l’avrebbe mai detto eh? Nei piani originali di Graham Yost, la “Lince scatenata” Annie Porter doveva essere più che altro una spalla comica, pensata per un’attrice come Ellen DeGeneres (storia vera). Il buon vecchio Joss ha trovato il modo di rendere coerente, efficace e anche sensato («… allora basiamola sul sesso») la storia d’amore, la sottotrama che storicamente, nei film d’azione fa impanature il ritmo costringendolo a rallentare, cosa che questo film non solo non può fare, ma si impone di non fare mai, come l’autobus al centro della sua trama.
Sistemate le somiglianze con “Die Hard”, a quel punto il copione era il più caldo di Hollywood, il titolo che volevano tutti, altro che Stephen Baldwin! A quel punto Jan de Bont poteva chiudere il cerchio proprio con Point Break e prendersi direttamente Keanu Reeves, ancora in quella sua fase della carriera dove sfoggiava ancora una mimica facciale di cui ha capito di poter fare a meno dopo il 1999. Allo stesso modo, Sandra Bullock, campionessa dei film romanticoni anti-Bara, nel giro di due anni manda a segno il suo secondo ruolo tosto conquistandosi il cuore anche di tutti i fanatici dell’azione dopo Demolition Man. A questo punto, bisognava solo farlo correre questo autobus, ma per questo, avevamo già un Jan de Bont caldo come una stufa.
Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, bravissimi. Bene quelli di “Speed” non solo sono già indiavolati, ma per essere una trama che ruota tutta attorno ad un bus con una bomba a bordo che non può scendere sotto le cinquanta miglia all’ora per non esplodere trucidando gli ostaggi a bordo, tutti fanno milioni di dollari di danni nel tentativo di fermarlo la trama è piuttosto variegata, abbiamo un inizio con l’ascensore minato, prove generali dell’attentato principale, che qui rappresenta il prologo, la scena di riscaldamento che serve a presentare i personaggi, ma che qualunque altro film, avrebbe dato via delle dita di una mano (scusa Dennis!) pur di averla come scena madre.
In un attimo ci viene introdotto il modus operandi clinico ma atipico del cattivo, oltre alla coppia di Strambi sbirri protagonisti, ma se Jeff Daniels nello stesso anno diventava celebre per essere “Scemo” in una nota commedia, qui rappresenta quello pragmatico della coppia, opposto alla “matta” (la “Wild card” se preferite gli anglicismi a tutti i costi) di Jack Traven, che mastica gomme, introduce la tattica dello sparare all’ostaggio e in generale è più scemo di beh, “+scemo”, «Magari non sarai una cima ma hai un paio di palle, che ti fumano» gli diranno nel corso della trama.
Ovviamente staremmo qui a parlare della fuffa se non avessimo un avversario degno, Dennis Hopper sbaraglia la concorrenza (rappresentata da Christopher Walken), quando la lotta si sposta sul piano fisico, tiene botta solo perché lui è un bulldog incazzato contro un ciocco di legno come Keeanu (che in questo film, non va Keeanu Keeanu… Brrrr!), ma trova comunque il modo di andare sopra le righe sì, ma non così tanto come è capace di fare Hooper, quindi la giusta misura, anche lui perfettamente allineato al ritmo di un film che gente, se gli autobus andassero tutti a tavoletta come in “Speed”, avrei risparmiato un sacco di utili ore di tempo vita nella tratta casa/lavoro. Però voi pendolari avreste meno tempo per leggere la Bara Volante, quindi la faccenda va soppesata.
“Speed” parte già a cannone, sostenuto da una colonna sonora trascinante firmata da Mark Mancina e impreziosita sui titoli di coda dal pezzo omonimo cantato da Billy Idiol apposta per il film. Se dovessi spiegare a qualcuno cosa vuol dire per un film d’azione, sviluppare la storia e i rapporti tra i personaggi, utilizzando l’azione stessa, “Speed” sarebbe un ottimo esempio per far capire a tanti che una scenetta di lotta, sparatoria o inseguimento buttata per puzza nella trama, non fa di un film un action. Pensate alla storia d’amore tra Jack e Annie, oppure a quella di amicizia sempre tra Jack ed Harry, avviene tutto di corsa in un film che è la quinta essenza del principio di zio Hitch: fai sempre succedere qualcosa sullo schermo.
Ed è proprio quello che accade qui, Jan de Bont dopo il clamoroso inizio in ascensore, si gioca la prima esplosione di un bus (per uno che partiva in orario cazzo!) per mettere in chiaro la posta in gioco, poi proprio alla Hitchcock, ci tiene sul filo mostrandoci Annie che il bus quasi lo perde e la bomba, che non si attiva mai fino al momento in cui lo fa, dando per davvero il via ad un film che a quel punto, non solo stava già correndo (e anche forte) ma che da qui in poi aumenta il passo, lanciando costantemente addosso ai protagonisti problemi da risolvere: il passeggino («Lattine», «Cosa?», «Erano lattine!») il ragazzo “latino” che a bordo del Bus quando vede il distintivo di Jack tira fuori il ferro pensando che lo sbirro fosse saltato a bordo per lui, fino ad ogni genere di difficoltà, la curva brutta fatta su due ruote oppure beh, il momento più fantascientifico del film certo, ma quanto risulta cinematografico il salto del cavalcavia incompleto? Vi rendete conto che per un certo periodo, il cinema americano “per tutti” non solo era questo, ma aveva non uno, ma due olandesi tosti, oltre a Polvèron anche il suo amico Jan de Bont che a questo livelli purtroppo, non è mai più tornato, anche se confesso la mia insana passione per il suo “Twister” (1996).
“Speed” ha tutti i canoni del poliziesco, la coppia in odore di “Buddie Movie”, il capo che urla ma che qui passa anche all’azione, per altro interpretato dallo scienziato della Cyberdine System. A ben pensarci “Speed” ha anche il suo Ellis, qui un po’ meno odioso e un po’ più spalla comica, rappresentato dal turista in visita alla città. Inoltre il film di Jan de Bont ha anche una storia d’amore che invece di azzoppare la trama la aiuta ad aumentare le posta in gioco e ha nei piccoli dettagli svolte importanti. Inizia con un dialogo su una pensione di merda e un brutto orologio d’oro? Lo fa per metterci al pari con informazioni che torneranno utili più avanti, ma il tutto, correndo, ritmo, ritmo e ancora ritmo è la parola chiave tuonata fin dal titolo, mai così efficace, esplicativo e anche breve, perché qui tempo da perdere non lo abbiamo.
Sono anni che puntualmente me lo rivedo ed è un film che per assurdo, non invecchia, perché va talmente veloce che non lascia al pubblico nemmeno il tempo di rendersi conto che nel frattempo, dal 1994 il nostro mondo è stato stravolto almeno due o tre volte. Quando Jack sfrutta una sorta di cellulare, a noi spettatori dell’anno 2024 sempre del tutto normale, così come il conto dei danni e del budget della città speso per contenere le azioni dell’attentatore, che hanno come effetto un quantitativo di distruzione (ma non di morte) totalmente immotivato nella realtà. Ma per nostra fortuna questa non è la realtà è “Speed”, talmente intelligente da capire che quando l’autobus, deviato su una linea (narrativa) morta, viene fatto girare a vuoto, ha perso la centralità nella sua storia, e quindi che si fa? Gli si organizza il più cinematografico dei funerali vichinghi, sacrificando un aereo di linea (vuoto) per un ciocco e un botto clamorosi finali! No sul serio, tenetevelo stretto il realismo se l’alternativa è una bomba dal ritmo indemoniato come “Speed”.
Cosa vi dico sempre dei film che hanno scene ambientate in metropolitana? “Speed” è così brillante da capire che per tenere vivo l’interesse, come pendolari dell’azione dobbiamo cambiare mezzo e quindi sposta le dinamiche su rotaia, per regalarci un’altra scena spaccatutto clamorosa, un’inaugurazione di una nuova fermata della metro che non si dimentica.
Jan de Bont gioca con gli autobus come prima di lui aveva osato fare solo Sua Maestà, il Re della collina Walter Hill e lo fa con un esordio, che per capacità di gestire uomini e mezzi (da far esplodere) se la gioca solamente con un altro titolo nella stessa categoria di peso, Con Air. Considerando l’andamento delle carriere dell’Olandese e di Simon West, dovremmo tutti chiederci che cazzarola sia andato storto nell’ingranaggio molto ben oliato di quella Hollywood, e no, non è una strizzata d’occhio al seguito, lì semplicemente Jan de Bont se la sentiva così calda da pensare di potercela fare anche solo con Sandrona Bullock e beh, una nave.
“Speed” è un vero gioiello, se vi interessano i premi Oscar, questo ne ha portati a casa due nella sua corsa, un classico che con il passare degli anni, non ha fatto altro che confermare il suo stato, Jan de Bont ha messo in moto la folle corsa del suo autobus nel 1994 e da allora non si è ancora fermato, in popolarità, in numero di volte in cui mi viene voglia di rivederlo e poi puntualmente, rivederlo, ancora a breve distanza, anche se mi tocca dire a me stesso: «Ma lo hai rivisto la scorsa settimana» (storia vera), insomma, non era assolutamente possibile per questa Bara lasciare indietro questo monumentale compleanno, ed ora, se ho calcolato bene e siete pendolari, il vostro Bus dovrebbe essere arrivato, buon viaggio e auguri “Speed”.
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing