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Spider (2002): La ragnatela ingarbugliata della memoria

Siamo riusciti a
passare dalla mosca, al ragno,
ridendo e scherzando, finiamo sempre parlare di metamorfosi Kafkiane anche in
questo nuovo capito della rubrica… Il mio secondo Canadese preferito!

Avete mai avuto
un rompicoglioni che cercava in tutti i modi di costringervi a fare qualcosa,
tipo l’amico che vuole uscire a fare la vita mondana, quando voi avete già in
testa un fitto programma di divano e maratone su Netflix? Sono certo che per
vostra sfortuna vi è capitato sicuramente, è successo anche a Cronenberg e
nella parte dello spacca palle troviamo Ralph Fiennes, non proprio la pizza con
i fichi. Nella mia testa questa scena si svolge con Cronenberg in versione Homer
Simpson e Fiennes in quella di Ned Flanders “Salve salvino vicino”, “Non
rompere Flanders!”, “Certo certosino!”.

Fiennes voleva a
tutti i costi interpretare Dennis Cleg, detto Spider, il protagonista del
romanzo omonimo di Patrick McGrath e per la regia voleva Cronenberg a tutti i
costi. Anche McGrath era dello stesso avviso, tanto che incontrato il Canadese,
riuscì ad allungargli una copia del suo libro, dicendogli: “Ralph Fiennes
vorrebbe tanto interpretare il protagonista”.


“Allora Ralph tu ti metti laggiù, dove passano quelle macchine a gran velocità ok?”.

Invece di farsi
venire una crisi isterica e correre a strangolare Fiennes, Cronenberg fa quello
che bisognerebbe sempre fare con i libri, leggerli e senza mezzi termini, va
giù di testa per la storia. Per sua stessa ammissione “Spider” tocca della
corde (di ragnatela) personali del regista, scherzandoci sopra Davide Birra
dice di riuscire ad immedesimarsi molto nel personaggio, anche se le loro
storie personali, sono diverse: “Io non sono mai andato in prigione” dice David
nei contenuti speciali del DVD.

Pur di portare la
storia al cinema Cronenberg si auto riduce lo stipendio e fa sua la storia,
“Spider” è il classico esempio di film della ideale seconda parte di carriera
del regista, il romanzo originale di Patrick McGrath contiene anche alcune
scene oniriche piuttosto crude, Cronenberg sceglie coscientemente di ignorale
e viene da pensare che se avesse conosciuto il romanzo prima, esteticamente
sarebbe stato molto più sanguinolento.


Boris Ralph the spider… Creepy, crawly, creepy, crawly.

La seconda metà
di carriera di Davide Birra, è caratterizzata da tanti adattamenti di romanzi, la
scrittura è sempre stata una parte fondamentale dell’arte di Cronenberg (che
prima di scoprire il cinema sognava di fare lo scrittore) e l’adattamento di
“Spider” per lo schermo incarna le due anime del regista: il romanzo di McGrath,
di fatto, è la trascrizione del diario di Dennis Cleg. Cronenberg, però, non
sceglie semplicemente di adottare l’espediente facile della voce narrante, ma
come abbiamo visto tante volte anche nel corso di questa rubrica, se Davide
Birra deve fare una cosa, la fa a modo suo.

Invece di
raccontarci il presente e i vari flashback del passato del personaggio,
Cronenberg ci porta letteralmente dentro queste visioni, accade spesso di
vedere sullo schermo l’adulto Dennis (Ralph Fiennes) e il piccolo Dennis (Bradley
Hall) nella stessa scena contemporaneamente, come se assistessero alla scena
per la prima volta insieme a noi spettatori, in un tentativo chiaro di
confondere, realtà, fantasie paranoiche del protagonista e i suoi ricordi
distorti, tenendo sempre a mente il principio di Videodrome, ovvero mettere sempre in discussione l’attendibilità di
quello che vediamo.


Il colpo segreto del malessere, questa volta gentilmente offerto da Edipo.

Visto il titolo e
la mia passione per le bestiole ad otto zampe, è troppo forte la tentazione di dire che “Spider” è un
film-ragnatela: il protagonista e lo spettatore devono letteralmente rimettere
insieme i pezzi della trova, dettaglio suggerito in due metafore (manifeste)
del film, la prima è il continuo ostinarsi del protagonista a completare il
puzzle sul tavolino della casa dove è ospite, a cui manca sempre un pezzo (al
puzzle non alla casa), fino a provocare la sua reazione isterica.

L’altra è nel
flashback nel manicomio ospedale psichiatrico, dove Dennis ruba e poi
restituisce un pezzo di vetro rotto che il direttore rimette a suo posto,
ricomponendo il vetro della cella spaccato, di fatto una ragnatela di pezzi di
vetro. Serve che aggiunga che sono entrambi METAFORONI della mente spezzettata
del protagonista e della sua memoria che lui cerca di ricomporre? No vero? Ok,
andiamo avanti.


Direi che più chiaro e diretto di così, non è proprio possibile.

Come detto, la
scrittura è nuovamente centrale, basta dire che per lo strano taglio di
capelli, azzeccato per uno appena rilasciato da un ospedale psichiatrico,
Cronenberg ha dato al barbiere di Ralph Fiennes una foto di Samuel Beckett
(storia vera) e lo stesso taccuino, così ossessivamente compilato e occultato
da Spider, rimanda all’idea di scrittura come unico modo per mantenere la
ragione, per mettere nero su bianco i fatti, come faceva il protagonista de Il Pasto Nudo con i suoi rapporti, ma
anche l’impossibilità di farlo, davvero in quei geroglifici esiste un senso?
Dennis è in grado di comprenderlo davvero?

Oltre
all’occasione per tornare ancora una volta a parlare del suo amato Kafka,
raccontando la metamorfosi di un uomo-ragno e della sua mente ragnatela, Cronenberg
cerca di dare nuovamente forma a qualcosa che non è possibile vedere, dopo la telepatia e gli organi interni, questa volta tocca alla follia, cosa dico sempre a
questo punto? Diciamolo tutti insieme tanto ormai la sapete la frase: continuità
tematica soffocante. A fine rubrica mi farò una t-shirt con questa frase!
Per mostrarci la
follia, Cronenberg si affida totalmente alla psicologia, fin dai bellissimi
titoli di testa sulla note azzeccatissime del fidato Howard Shore, la carta da
parati (della cella di Spider?) grondante muffa, crea delle macchie che
sembrano quelle del test di Rorschach che a guardarle formano
immagini che ricordano una serie di insetti, oppure sono io che in quelle
macchie vedo degli insetti? Sento già le manine dei Freudiani alla lettura che
si sfregano, nel dubbio ciao Freudiani!


Mi dica, cosa vede in questi titoli di testa caro lettore?

Non ho mai
studiato psicologia, ma è un argomento che m’interessa, forse perché sono
pazzo non lo so, di sicuro interessa anche Cronenberg, anche se lui ci ha
sempre tenuto a precisare di non essere un Freudiano (anche se dalla presenza
di sesso nei suoi film non si direbbe), ma “Cronenberg” e “Freud” sono due nomi
che nel corso della rubrica torneranno a stare insieme nella stessa frase, per
il solito discorso che un ossessivo come Davide Birra, non molla mai un’idea
finché non l’ha sviscerata per benino, dovrò mettere anche questa frase sulla
t-shirt.

La storia di
“Spider” non è certo complessa: si tratta di un enorme complesso di Edipo mai
superato da parte del protagonista, il bambino Dennis, soprannominato Spider
dalla sua amorevole mamma, per via della sua passione per gli aracnidi e le
ragnatele fatte con lo spago, ha un rapporto viscerale con lei,
idealizzata in una figura angelica, in perfetto contrasto con il padre Bill
Cleg (un convincente Gabriel Byrne, credibile come papà di Ralph Fiennes, hanno
lo stesso nasone), classico sottoprodotto della periferia londinese degli anni
’50, un idraulico con la passione per le signore che passa le sere al Pub
locale, che diventa subito il rivale del figlio, qualunque laureando in
psicologia potrebbe spiegarvela meglio di me e di sicuro utilizzando meno
parole.


Identico, ha la stessa canappia di Ralph Fiennes, un aumento al direttore del casting grazie!

Liberato dal
manicomio per scarsità di fondi, Dennis “Spider” Cleg, è la versione
senza poteri paranormali di Michael Myers
che torna a casa, ormai adulto non ha mai davvero superato il suo trauma, Myers
si è legato alla maschera, Spider ai ragni, entrambi cercano la loro famiglia e,
a ben pensarci, entrambi hanno uno strambo rapporto con il sesso: tutti e due i
personaggi restano fermi a fissare altri che fanno sesso.

Il sesso, come
sempre scintilla per le rivoluzioni dei personaggi cronenberghiani, è proprio
quello che scatena la follia di Spider, la scoperta che mamma e papà lo fanno
e con reciproco gradimento, è un tradimento per il personaggio, a quel punto
nella mente di Dennis, sua madre viene scissa, da una parte la madre ideale,
dall’altra una matrigna con le sembianze guarda caso simili a quelle della
prostituta che mostra il seno al piccolo Spider nel Pub ad inizio film,
interpretata in maniera molto efficace dalla brava Miranda Richardson nel doppio
ruolo della nuova signora Cleg e della disgustosa (anche solo per i denti,
bleah!) Yvonne.
Qui da Edipo si
passa ad un’altra sindrome, quella di Capgras, in cui chi ne soffre crede che
qualcuno dei suoi cari, sia stato sostituito da una brutta copia, il dettaglio
diventa chiaro quando anche la signora che ospita Dennis in casa, inizia a
prendere le sembianze di Miranda Richardson, giusto perché sia chiaro che
l’ossessione di Spider non è certo terminata.


Una mammina premurosa e adorabile, roba da rimpiangere l’orfanotrofio.

La messa in scena
rigorosa di Cronenberg risulta anche più efficace di una trama comunque
stringata, il registra canadese trasforma la periferia londinese in una plumbea
cella fatta di squallidi vicoli ed enormi cisterne per l’acqua che oscurano il
cielo, gli unici colori li vediamo non a casa in un flashback di Dennis ai
lavori forzati insieme ai suoi compagni pazzarelli.

A contribuire a
questa atmosfera pesante anche un ottimo Ralph Fiennes, si capisce perché ha
rotto tanto i maroni per avere la parte, qui è davvero bravissimo in una prova
del tutto anti-Hollywoodiana, con la sua performance, il fratello talentuoso
della famiglia Fiennes (ciao Joseph!), ci regala una prova boffonchiata,
rallentata, la scena iniziale con cui regista e attore ci presentano il
personaggio dice già tutto. Tutti scendono dal treno scattanti e pronti a
correre verso le loro vite. Spider no, è lentissimo, goffo, srotola il suo
calzino porta oggetti con immane lentezza, basta questa scena per rappresentare
lo stato di alienazioni e la collocazione ai margini della nostra società di
chi è differente.
Ralph Fiennes, poi,
è un attore che ho sempre apprezzato, per me sarebbe lo Sherlock Holmes ideale,
eppure lui sceglie sempre ruoli da outsider con cui riempie lo schermo, penso
che con Dennis Cleg, sudaticcio sotto le sue quattro camicie, ha sfornato una
prova che ogni volta mi fa pensare a “quello delle pattumiere”, del bellissimo
romanzo di King “L’Ombra dello scorpione”.


“Hey tu, ma dici a me?” , “No sono le vocine nella tua testa Spidey!”.

Pur senza fornire
volutamente risposte chiare, “Spider” alla fine si risolve come un giallo e
questo è un difetto presente anche nel libro, per tutto il tempo viene da
credere alla versione di Spider della storia, il finale rivela la
verità, a noi e al protagonista e rispetto ad altre opere, però, proprio la
forza di quella rivelazione, supera la prigione ossessiva in cui Cronenberg
riesce a rinchiudere tutti, personaggi e spettatori, per quasi tutta la durata
del film. Per questa ragione “Spider” non è tra i miei film preferiti del
Canadese, anche se ne riconosco ancora una volta l’unicità e la coerenza all’interno
della filmografia di cui fa parte.

Gli manca
l’ambiguità che ti costringe a riflettere di opere più efficaci come M. Butterfly o Crash, ma resta un buon tentativo di rendere visibile l’invisibile,
in questo caso la follia e, soprattutto, un film che asseconda la mia passione
per le Tag-Line dei film, quelle efficaci possono essere da sole delle
recensioni complete ai film, quella di “Spider” appartiene a questa categoria: “La
cosa peggiore che può accaderti non è perdere la ragione, ma ritrovarla”. 
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