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Spider-Man (2002): il vostro amichevole Spider-Sam di quartiere

Facendo un giro molto molto lungo, a luglio Spider-Man, come il cane Lassie, tornerà nella casa (delle idee) che lo ha generato, il suo esordio in Civil War era solo la prova generale per il prossimo “Spider-Man: Homecoming” e, siccome da un grande potere derivano grandi responsabilità, io sento la responsabilità di ripercorrere le tappe di questo ritorno, in una rubrichello pieno di ragnatele che ho deciso di battezzare… Torna a casa Spidey!

Inutile girarci attorno: crescendo a colpi di fumetti Marvel, ho sviluppato un amore viscerare per gli eroi della Casa delle idee, ma nessuno è come l’Uomo Ragno, perché ancora lo chiamo così, dai tempi dei cartoni animati dedicati al personaggio che seguivo da bambino e dal titolo italiano del fumetto che oggi si chiama “Amazing Spider-Man” come la storica serie dedicata al personaggio (che, però, esordì sull’antologica “Amazing Fantasy 15” del settembre 1962, creata da Stan “the man” Lee e i disegni di Steve Ditko), ma per me continua a essere l’Uomo Ragno, quindi sappiate che lo chiamerò così molto spesso.

«Sono il vostro amichevole Uomo Ragno di quartiere, da oggi senza bisogno di sfogliare le pagine»

Sono convinto che alcuni personaggi dell’immaginario siano perfetti, talmente azzeccati nella loro concezione da poter resistere uguali a se stessi nei decenni. Ora, a costo di sembrare David Carradine in “Kill Bill vol. 2”, devo dirvi che Spider-Man è un gran personaggio perché oltre ad un look fighissimo, ha anche il modo più stiloso di muoversi per la città, inoltre la sua poetica è perfetta, il motto dello Zio Ben “Da un grande potere derivano grandi responsabilità” fa di lui un personaggio pulito, ma anche l’eterno infelice, potrà anche salvare la città mille volte di fila, ma ogni giorno si ricorderà di quell’unica volta in cui suo Zio è morto per colpa del suo egoismo. Una figura tragica, malgrado il costume colorato e la battute con cui prende allegramente per i fondelli gli avversari.

Sì, decisamente un personaggio perfetto che dal 1962 affascina tante persone, tra cui James Cameron, il primo che provò in maniera concreta a portarlo al cinema, prima che il suo progetto andasse a picco (capito? James Cameron, andare a pic… Ok, la smetto) insieme ai diritti di sfruttamento della Carolco e al lunghissimo processo durato più di dieci anni che ne seguì, ma questa è un’altra storia… Che pensate che non ve la racconterò? Occhio perché potrei tornare come uno dei super cattivi dell’Uomo Ragno Buahahah ah ah ah!

«Vedo già il titolo: “Idiota parla dello Spider-Man di Cameron!” voglio 250 parole per Lunedì»

Nell’aprile del 1999, la Sony (quindi Columbia Pictures) forte di una squadra di avvocati che a confronto “Law and Order” non gli lava nemmeno il vetro della macchina, vince la causa e diventa titolare dei diritti di sfruttamento del personaggio al cinema, la Marvel Comics, che detiene la proprietà del personaggio, non era ancora il colosso che oggi può permettersi dieci film milionari tutti intrecciati tra loro con gemme, maghi figli dei fiorialberi parlanti, ma girava ancora con il cappello in mano, bussando a tutti gli studios per vendere i suoi personaggi.

Piazzare il loro personaggio di punta alla Sony, è stata l’apertura di pedone per la conquista della scacchiera, un contratto che faceva felici tutti allora, anche perchè la Marvel di allora era alla ricerca di registi blasonati per dare credibilità ai suoi personaggi al cinema.

Ok, quindi a chi lo facciamo dirigere il film? Al solito Tim Burton che ha già fatto Batman e (metà) film su Superman? Naaa meglio Chris Columbus! Insomma, alla fine sono tutti d’accordo, l’uomo giusto è David Fincher che, però, dichiara che accetterà solo se potrà portare in scena la storia con cui il fumetto americano ha perso per sempre la sua verginità, ovvero “La notte in cui morì Gwen Stacy”. I capoccia della Sony in coro rispondono: “No grazie, preferiamo pensare ai bambini” e telefonano a Sam Raimi.

Un come al solito elegantissimo Sam Raimi, impegnato a ehm… lanciare sassi sul set. Ah la magia del cinema!

Già… Sam Raimi! Il ragazzetto tutto buone maniere che ha rivoluzionato per sempre l’Horror con la trilogia grondante mito e sangue di Evil Dead. Perché c’è una cosa che nessuno dice mai di Sam Raimi, ovvero che tutti i film su commissione che ha accettato, li ha sempre diretti come un vero professionista e senza perdere mai le caratteristiche estremamente riconoscibili del suo cinema. La Sony deve aver pensato che se uno è passato dal capolavoro La Casa 2 a “Gioco d’amore” (1999, uno dei pochi film romantici con Kevin Costner che merita di essere visto), ormai deve essere “Praticamente innocuo” per citare Douglas Adams, peccato che nel mezzo ci sia stato anche Darkman, tenetemi l’icona aperta su questo titolo, tornerà buono più avanti.

Ed è qui che Sam Raimi li ha fottuti tutti. Sì, perché non era solo una cosa che diceva durante le interviste per passare per il regista giusto, no, nella sua casa d’infanzia Raimi aveva davvero un disegno dell’uomo ragno sulla parete dietro al suo letto, fatto fare dai genitori ad un decoratore, per assecondare l’insana passione del piccolo Sam per il ragno (storia vera), oltre a beh, robetta, circa 25.000 fumetti tra roba della EC Comics e, ovviamente, “The Amazing Spider-Man”. Anche se sono convinto che se mai mi mettessi a contare i miei, me la potrei quasi giocare, occhio Sam che ti lancio la sfida uno di questi giorni.

«Si certo Cassidy, ora me lo segno tra le cose importanti, insieme a comprare il latte»

Spider-Sam Raimi ha le idee chiarissime, da lettore sa che i ragazzi vogliono volteggiare sulla città con l’Uomo Ragno e non molla un centimetro nemmeno sul cast del film, fanno provini per il ruolo di Peter Parker gente come Jay Rodan, James Franco (tenuto a bordo per manifesto talento, ma nel ruolo del rivale Harry Osborn), Chris Klein, Wes Bentley e il futuro Joker Heath Ledger. Raimi sempre educatissimo li visiona tutti e poi dice: “Voglio Tobey Maguire perché ne “Le regole della casa del sidro” era bravissimo” (storia vera).

Tobey “Con quella faccia un po’ così” Maguire, uno che candidamente arriva ad ammettere di non aver mai letto nemmeno mezza vignetta di un fumetto, figuriamoci di Spider-Man, ma trova la sceneggiatura a sua detta “Interessante” e accetta la parte e, malgrado una buona fetta del pianeta (non senza argomentazioni sensate) lo consideri uno che è stato morso da un pesce lesso radioattivo, per la parte è semplicemente perfetto.

Con quella faccia un po’così, quell’espressione un po’così, che abbiamo noi prima d’andare a Hollywood (quasi-cit.)

Franco, Bentley, Ledger (ciao “BIP” mannaggia quanto manchi…), sono tutti oggettivamente dei fighi, qui ci vuole un Nerd, nel senso vero e non modaiolo contemporaneo del termine, uno che si esalta per la scienza che non vive di pallone, non parla di figone, non indossa vesti buone, quindi è fuori da ogni discussione (Cit.), in questo Tobey Maguire pare uscito dalle tavole di Steve Ditko, sembra un giovane vecchio che quando si spreme una lacrima fa facce imbarazzanti, proprio come Peter Parker quando ci ammorba con l’attacco di magone prima di ripartire con ritrovate motivazioni, ma il tempo a chi ha dato ragione? A Sam Raimi, ovvio.

Da una grande miopia deriva una grande sfiga sociale.

Se uno che arriva dai film seri come Maguire è a bordo, allora deve essere un progetto grosso, Kirsten Dunst accetta di tingersi rossa per interpretare Mary Jane Watson solo perché nel cast c’è Maguire (storia vera) e, ammettiamolo tigrotti, con lei nel ruolo hanno davvero fatto centro, perché non avrà la fossetta imposta da John Romita Sr (Inchini! Riverenze!) per la parte, ma ha tutto il resto per la parte della fidanzatina dei sogni e della damigella in pericolo, per un film che comincia con “Tutte le storie iniziano con una ragazza…” lei è quella giusta.

Dritto sparato tra i migliori baci cinematografici, mica male per uno che dirige Horror.

La sceneggiatura viene affidata a David Koepp che in carriera ha avuto bassi notevoli e alti che potreste ricordare come i vostri film della vita, qui è una di quelle volte in cui aveva gli interruttori e i bottoncini del cervello accesi. Partendo dalla sceneggiatura originale di James Cameron, Koepp cambia i cattivi, ridotti al solo (green) Goblin in accordo con Sam Raimi, per non mettere troppa carne al fuoco (storia vera).

Anche se avrei pagato soldi buoni per vedere Nicolas Cage nei panni di Norman Osborn, a lui viene preferito Willem Dafoe che fa modificare varie volte il costume di Green Goblin per avere più libertà di movimento e, una volta conquistata la comodità, decide di fare lui stesso quasi tutti i suoi stunt, per mantenere il linguaggio del corpo del personaggio anche durante le scene d’azione, il sindacato stuntmen non l’avrà presa benissimo, ma il risultato sullo schermo è notevole, bravo Willem Dafoooooe!(Cit.)

«Il mio piano criminale è lasciare tutti gli stuntmen senza lavoro!»

Sembrerebbe una marcia trionfale, la Sony punta tutto sul concetto dell’eroe di New York e chiede a Raimi di dirigere un teaser apposta (non come quelli di oggi, 30 secondi di niente) in cui uno Spidey mai mostrato, ferma una rapina in banca, intrappolando l’elicottero dei rapinatori in una ragnatela tesa tra le due Torri Gemelle, salvo poi una brutta mattina di settembre del 2001, la Grande Mela viene colpita come nemmeno nei piani dei super cattivi dei fumetti Marvel è mai accaduto, una di quelle volte in cui qualcuno degli eroi di carta avrebbe davvero fatto comodo nella vita vera.

Nella lente destra, il ricordo di tempi migliori (o almeno meno peggio)

Il film esce negli Stati Uniti nel maggio del 2002, è uno dei primi blockbuster ambientati a New York dopo l’attentato, incassa, bah uno sproperio, resta nella storia come il titolo che ha raggiunto i cento milioni di ex presidenti defunti stampati su carta verde più velocemente, qui da noi nel Paese scarpiformide arriva a giugno dello stesso anno, io ho 18 anni, mi mancano pochi giorni alla fine delle superiori e ho preso da poco la patente, guido una vecchia gloria che non è la Old’s Mobile Delta 88 di Sam Raimi (che qui fa il suo cameo, è la macchina di Zio Ben), ma è a suo modo una “The Classic”.

Signore, signori l’immancabile cameo della mitica “The Classic”!

Chi prende la macchina per andare al cinema? Ragà tranquilli, passo a prendervi. Sfiga, piove come se avessi fatto adirare il Dio Thor, recupero tutti gli amici, guido fino al cinema sotto una pioggia torrenziale, parcheggio, scendo, splende il sole (storia vera). Mi guardo tutto il film in estasi, il sogno del piccolo lettore di Spidey che c’è in me si realizza, un film sull’Uomo Ragno, uno vero non come quello degli anni ’70 con Nicholas Hammond (che fa un cameo qui, si intravede nella parata), ricordo distintamente che quando Norman Osborn dice a Peter che il diploma è la fine di una cosa e l’inizio di un’altra, uno dei miei soci dice “E’ vero!”, il film giusto per quattro Nerd ben più sfigati di Peter Parker che si barcamenavano tra i banchi di scuola.

Esco dal cinema, ho le farfalle i ragni nello stomaco splende il sole, metto in moto l’auto, ricomincia a diluviare (storia vera!), ma poco importa, ho appena visto il film che aspettavo da sempre, era l’alba dell’Era dei super eroi al cinema, ma m’importava molto di più un’altra verità: se consideriamo la trilogia di Evil Dead come un film solo, avevo appena visto il mio terzo film preferito di uno dei miei registi preferiti, a distanza di tempo la classifica è ancora invariata, per il titolo numero due, magari una di queste volte ne parliamo, sarebbe pure ora.

Ho tenuto questa immagine come fondo schermo sul computer per mesi (storia vera)

Non so più quante volte ho visto “Spider-Man” in VHS (originale) prima e in DVD (originale) poi, ero preoccupato del fatto che rivedendolo oggi in cui i Super al cinema sono la normalità, risultasse vecchio in modo imbarazzante. Niente di più falso: il film è pervaso da un eroismo talmente puro e classico che è impossibile non volergli bene, persino la risposta a quella mattinata brutta di settembre, che qui è riassunta nella scena in cui nei “Knickerbocker” lanciano roba contro Goblin gridandogli: “Se te la prendi con New York, te la prendi con tutti quanti”, è talmente sincera e di pancia che mi tira dentro, quindi è perdonata in automatico.

David Koepp fa un lavoro didascalico, ma chiaro, anche perché oggi il pubblico è pronto a Super eroi che chiacchierano con il pubblico, ma nel 2002 bisognava ancora sdoganare il genere, quindi “Spider-Man” è la classica storia sulle origini, una fantasia adolescenziale in cui uno sfigato passa da zero ad eroe e salva la ragazza dal cattivo, il tutto costellato dal “Cammino dell’eroe” che è solitario, tenendo a mente l’eterno senso di colpa di Peter Parker.

Lo schema deve essere semplice anche nel mostrare lo scontro tra buono (buonissimo) e cattivo (cattivissimo) che qui intrecciano una relazione tipo Luke e Darth Vader, con Goblin che cerca di portare Spider-Man al lato oscuro del super eroismo e quando dico che è didascalico parlo di scene tipo quando il Goblin Padano interrompe la preghiera di Zia May, poi la intima di finirla e se la ride di gusto sulle parole “Liberaci dal male”, concetto espresso in stampatello, ma talmente dritto che ogni volta a quel bastardo color caccola gli grido “Lasciala stare Goblin!” agitando il pugno verso lo schermo nemmeno fossi stato disegnato da Gil Kane.

«Non è così che si da un cinque alto»

A rivederlo oggi “Spider-Man” sembra provenire da un altro decennio cosa che in effetti è vera, ma quello che voglio dire è che risulta figo e datato in parti uguali, ma è un datato positivo, naif come se fosse l’equivalente cinematografico di leggere le prime storie di Spidey, quelle dei primi numeri disegnati ancora da Steve Ditko, schiacciando “Play” sembra di stare scorrendo le pagine de “L’Uomo Ragno Classic”, un effetto che con il tempo non potrà che migliorare.

Sono proprio le prime storie di Spidey quella che Sam Raimi conosce meglio e omaggio in questo film, i siparietti comici con J. Jonah Jameson (un magnifico J. K. Simmons, attore feticcio di Raimi) fanno ridere come nei fumetti e ogni volta che Willem Dafoe ghigna diabolico consapevole del segreto di Peter Parker, riempie lo schermo, anche senza (per fortuna!) la terrificante pettinatura “A righe” di Osborn è spaventoso allo stesso modo, per non parlare della scena del ponte, con MJ al posto della povera Gwen e finale (per fortuna) differente.

Come far perdere diversi battiti cardiaci agli appassionati del fumetto.

Anche il finale, in cui il costume di Spider-Man va in pezzi come la camicia di Ash Williams e il nostro ne prende un sacco e una sporta, in una specie di versione in piccolo per ragazzi de La Casa, viene portata in scena la morto di Goblin trafitto dal suo aliante che completa l’arco narrativo e il cammino dell’eroe di Peter (“Ho già avuto un padre si chiamava Ben Parker” ogni volta mi esalto un casino!), non senza ironia, perché per tutto il film lo stile di Sam Raimi è tutto da vedere e sempre riconoscibile.

Gli effetti speciali di John Dykstra utilizzati per creare le movenze ragnesce dell’Uomo Ragno in volo sono digitali e invecchiate così così, ma sono talmente poche che ancora funzionano e, soprattutto, immerse in un sacco di effetti speciali vecchia maniera e movimenti vorticosi di MDP tipici del cinema di Sam Raimi.

Il modo più stiloso per muoversi nel traffico cittadino.

Il montage con cui Peter si allena e disegna il suo costume (le mani e il talento sono quelle di Phil Jimenez), i piccoli tocchi horror, come il consiglio di amministrazione della Oscorp trasformato in scheletrini da Goblin, per non parlare di alcuni passaggi della regia, il modo in cui un ancora impacciato Spidey, inseguendo il ladro che ha ucciso Zio Ben, evita con un salto un cavalcavia, è lo stesso dell’inseguimento del bendato Dr. Westlake all’elicottero di Durant in Darkman, anche il finale, con la voce narrante dell’eroe che ribadisce la sua solitaria missione e ribadendo il suo nuovo nome (“Chi sono io? Sono Spider-Man” / “Io sono Darkman”) è davvero lo stesso.

I’m everyone, and no one. Everywhere and nowhere. Call me… Darkman (or Spider-Man)

Spider-Sam Raimi si porta dietro la sua squadra, oltre a J. K. Simmons e Rosemary Harris, arriva anche il fidato compositore Danny Elfman che qui firma quello che, a mio avviso, è una delle sue colonne sonore più riuscite, nei panni di una Punk (“Uno con otto mani eccitante”) c’è Lucy “Xena” Lawless e dove c’è Sam Raimi non possono mancare suo fratello Ted (l’assistente di J.J.J.) e il suo amico d’infanzia. Infatti è proprio Bruce Campbell ad inventare il nome Spider-Man (“Il ragno umano? Non hai trovato niente di meglio?”) nella scena del wrestling, quella il “Pavido Parker” deve resistere tre minuti in uno “Steel cage match” contro Randy “Macho Man” Savage… “Tre minuti di giochiniiii!”, no sul serio, lo so tutto a memoria, mettetemi alla prova.

«Non lo sopporto più con queste citazioni, passami la mia motosega»

L’idea di riempire la casa di Norman Osborn di maschere è ancora oggi geniale, fa capire che il personaggio conosce il valore di una maschera spaventosa durante un rituale o uno scontro, il fatto che la maschera del Goblin lasci in vista gli occhi e la bocca dell’attore è un vantaggio, perché Willem Dafoe, esperto in personaggi luciferini, qui regala una prova immensa, cambia faccia, espressione e voce con una teatralità esagerata perfetta per “Mad Doctor” reso pazzo dal suo stesso esperimento, la scena del monologo allo specchio anticipa la schizofrenia di Gollum di diversi anni, con quel gusto per il dramma tipico dei cattivi Marvel… “Il cuore Osborn prima di tutto lo attacchiamo al cuore”, no sul serio, lo so tutto!

Strano che ti facciano fare sempre il cattivo Willem, con una faccetta così tenera.

Insomma, “Spider-Man” è un film così solido da aver dato vita, insieme al primo X-Men, a quello che ancora oggi è il sotto genere più in voga dei nostri giorni e, allo stesso tempo, la prova di un filmaker estremamente coerente e a sua agio con la materia in questione, Sam Raimi ha un grande potere ed è stato all’altezza delle grandi responsabilità.

Sepolto in precedenza martedì 4 aprile 2017

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