Finalmente siamo giunti al capitolo finale della vera trilogia di Peter Jackson, quella prima della trilogia con gli Hobbit e gli Anelli, dicono che il meglio vada tenuto per il finale e direi che oggi terremo fede al proverbio.
Dopo il suo fulminante esordio con Bad Taste interamente girato in autonomia, ricoprendo tutti i ruoli davanti e dietro la macchina da presa, ma soprattutto dopo l’anarchica irriverenza di Meet the Feebles, non solo Jackson ha ancora una carriera, ma questa volta può contare addirittura su uno straccio di produzione, che per qualunque altro regista sarebbe la normalità ma per lui ai tempi, era una novità assoluta, il risultato è una meraviglia, beh certo nella misura in cui come spettatori, siete in grado di considerare il cattivo gusto girato con mano fermissima e condito da trovate che non esisto a definire geniali, qualcosa di sopraffino, anche perché da questo punto di vista “Braindead” è un gioiello (che su certi mercati si intitola anche “Dead alive”), ma affrontiamo subito l’elefante (zombie) in mezzo alla stanza.
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Il babysistter ideale per i vostri bambini: Pietro Di Giacomo. |
Da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa, il miglior doppiaggio del mondo ha deciso di maltrattare il film di Pietro Di Giacomo più di quanto sua madre non faccia con il protagonista Lionel, il titolo è stato stravolto da “Braindead” a “Splatters – Gli schizzacervelli”, non si sa perché, ma almeno anche in italiano ci prepara idealmente a quello che vedremo nel film, il problema sono proprio i dialoghi completamente stravolti, per qualche ragione si è voluto puntare sulla farsa sottolineando il tono già grottesco della storia di Jackson, con il risultato che i silenti non morti del suo film in italiano… parlano! Quindi il consiglio è quello solito, godetevi il film in originale, perché l’unica trovata davvero degna di nota del “miglior doppiaggio del mondo” è solo aver battezzato Padre McGruder (Stuart Devenie) con l’iconico titolo di Ninja di Dio, ma più avanti ci torneremo tranquilli.
A distanza di trent’anni dalla sua uscita “Braindead” è considerato giustamente un titolo di culto, probabilmente anche uno dei film più splatter mai realizzati, Peter Jackson nel 1992 è riuscito non solo a concludere la prima fase della sua carriera (quella votata all’Horror) con il botto, ma anche ad intercettare l’ultimo momento utile per mettere la ciliegina sulla torta di un sottogenere come quello dello splatter, che ha una gloriosa tradizione iniziata fin dagli anni ’60 e ’70 e che in quel periodo, con titoli come Re-Animator e Society, si stava giocando le ultime carte, le migliori. Anche Sam Raimi, il vero ispiratore della carriera di Jackson si stava muovendo verso una fase nuova della sua carriera, quindi “Braindead” è arrivato giusto in tempo per concludere la feste della frattaglie, delle budella esposte e del sangue finto a litri (quasi 300 quelli utilizzati in questo film, storia vera), anche solo per questo, per il suo ritmo indiavolato, per il numero esagerato di trovate, per quello che mi riguarda l’ultimo tocco di rosso che manca a questo film è il logo dei Classidy!
La storia di “Braindead” è la più vecchia del mondo: un ragazzo incontra una ragazza, ma prima deve liberarsi dell’influenza della sua castrante madre, il risultato è cinema allo stato puro, perché Jackson fa un lavoro estremamente citazionista, dove però rielabora tutti i modelli e più in generale, tutti i film che ha amato, in una storia lineare ma brillante, che inizia con un prologo che ci ricorda l’importanza dei cinque minuti iniziali di un film, quelli che ne determinato tutto l’andamento.
Sull’isola di Skull Island nel 1957 degli esploratori fuggono con una cassa, al suo interno la terribile scimmia ratto di Sumatra, il film non è nemmeno cominciato è già Jackson ci ha portato dentro il cinema che ama, perché “Braindead” rappresenta la prima sortita del regista sull’isola del teschio, anche se in linea di massima, non sarebbe stata l’ultima.
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Ve lo dico sempre che il cuore del vecchio PJ appartiene a Skull Island. |
La scimmia ratto è portatrice di morte, un suo morso ti infetta, ti uccide e poi ti resuscita sotto forma di zombie purulento assetato di sangue, questo Jackson lo mette in chiaro prima dei titoli di testa del film, poi in quello che potrebbe sembrare un inutile sfoggio di talento, ci porta nella cittadina dove vive il protagonista Lionel Cosgrove (Timothy Balme, una sorta di Anthony Perkins in chiave comica, anche lui con grossi problemi materni), la città sembra quella di Gremlins però immersa nella Nuova Zelanda della fine degli anni ’50, ricostruita da Jackson in un tripudio di modellini e tram ripresi da vicino, palestra di tutti i set futuri della Terra di Mezzo, realizzati spesso con la stessa (vecchia) tecnica.
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Smettila di giocare a fare King Kong, hai un film da dirigere! |
Lionel è succube di sua madre Vera (Elizabeth Moody) e quando la bella Paquita Maria Sanchez (Diana Peñalver) dopo essersi fatta leggere le carte gli mette gli occhi addosso, il nostro non può semplicemente godersi la storia d’amore con la ragazza, perché mammà trova sempre il modo di mettersi di traverso e qui bisogna sottolinearlo, “Braindead” potrà essere (un po’) più educato di Meet the Feebles, ma non le manda certo a dire, Jackson si scaglia contro tutti i temi sacri, la famiglia, la morale, la religione e persino il culto dei morti, il film sarà giocoso e disgustoso (nel senso migliore del termine) in parti uguali, ma l’anarchia del primo Jackson è sempre la stessa.
Per mettere insieme la coppietta, la madre invadente e la scimmia ratto di Sumatra ci vuole un giretto allo Zoo, dove se aguzzate la vista potrete notare il cameo dello scrittore di fantascienza Forrest J. Ackerman, impegnato a scattare alcune foto. In un tripudio di inquadrature con il grandangolo (per sottolineare il tono grottesco generale) mamma Vera viene morsa dalla scimmia animata a passo uno e si becca nell’ordine: un’infezione con ferita purulenta, la morte e la resurrezione, con pezzi di pelle, faccia e orecchie che si staccano, quindi se prima le giornate di Lionel ruotavano intorno ai desideri e gli ordini della madre, ora il ragazzo è impegnato a cercare di contenere i danni fatti da mammà.
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Di mamma ce n’è una sola (per fortuna!) |
Che ad esempio si divora il Pastore Tedesco di Paquita, che non a caso si chiama Pippin, perché Jackson ha sempre avuto la Terra di Mezzo nel cuore, ma soprattutto deve cercare di salvare la faccia con i benpensanti del club della morale di cui fa parte Vera. Ora io ve lo dico, raramente in un film troverete una scena più anarchica e disgustosa di quella della cena, il pudding con condimento extra non si dimentica.
Se volessimo concederci un momento di analisi alla trama volutamente goliardica, potremmo dire che “Braindead” è il romanzo di formazione di un bambinone come Lionel, vittima di una madre castrante certo, ma anche costretto ad affrontare tutte le fasi del lutto, sua madre è morta su questo non ci piove, ma è la negazione quella con cui Lionel si compromette e si invischia di più, per cercare di nascondere l’ovvio (a se stesso e alla comunità) ne combina una via l’altra, mentre l’infezione e il contagio zombie dilaga.
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Ogni film migliora con dentro una SIMMIA, figuriamoci con una scimmia ratto in stop motion. |
Ecco perché in un omaggio allo scantinato di La notte dei morti viventi, Lionel comincia ad accumulare i cadaveri rianimati in cantina, anzi a dirla tutta, la cena in cui il ragazzo cerca di sfamare tutti i ritornati, non proprio educatamente seduti a tavola, sembra quasi un omaggio alla scena della cena di Non aprite quella porta, ma con copula tra defunti aggiuntiva, perché l’umorismo nero (se non proprio nerissimo) del film la fa da padrone.
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Baci appassionati, forse anche troppo. |
Nel suo scagliarsi contro tutte le istituzioni, Jackson porta in scena il becchino con il suo siero, una sorta di neo nazista con la paranoia per una cospirazione ebraica, il cui assistente è interpretato dallo stesso Peter Jackson, che rende onore alla sua tradizione di apparire spesso anche da questo lato della macchina da presa.
Anche se la scena più surreale, in questo trionfo del non-sense resta l’aggressione notturna dei bulli nel cimitero, sequenza per cui Jackson ha avuto anche qualche pasticcio legale, avendo inquadrato senza volerlo il nome di una defunta su una lapide, provocando l’ira dei parenti (storia vera). Qui Lionel viene salvato dall’intervento di Padre McGruder, il Ninja di Dio che fa piazza pulita della banda di Greasers a colpi di Kung-Fu, vuoi non metterci anche un po’ di arti marziali in questo favoloso delirio? Giammai!
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Con una mano ti rompo con il potere di Dio ti spezzo. |
Forse abituato da sempre a dover ricoprire tutti i ruoli durante la fase di realizzazione di un film, Jackson questa volta ha potuto godersi anche i vantaggi di una produzione vera alle sue spalle, ecco perché dal budget originale del film, il nostro Pietro Di Giacomo è riuscito addirittura ad avanzare 45.000 dollari, come usarli? Aggiungiamo un altro po’ di follia al film! Da qui la delirante scena del neonato zombie, e del suo giretto al parco giochi, una sequenza che fin dalla prima volta che vidi il film, mi sembrava un po’ fuori posto (perché portarlo al parco invece di nasconderlo come tutti gli altri zombie?), ma più la guardo e più mi lascio trascinare dalla gioiosa e folle regia di Jackson, perché “Braindead” non fa paura mai, anzi non ha proprio intenzione di terrorizzare, al massimo di disgustare, cosa che per altro gli riesce benissimo.
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Voglia di paternità? Lui ve la farà passare subito. |
L’odioso personaggio dello zio Les (Ian Watkin) aumenta l’atmosfera da fumetto della EC Comics del film, dove chi si comporta male ed è sgradevole, finirà per morire malamente punito dai mostri, che nel film abbondando, perché nel romanzo di formazione di Lionel, trova spazio anche la rivelazione sul passato di suo padre, un momento chiave della sua maturazione che si traduce in azione durante la festa organizzata dal viscido zio, ed è qui che “Braindead” ingrana la quinta e parte sgasando verso il suo meritato stato di film di culto.
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Scena talmente iconica, da finire dritta in una delle tante locandine del film. |
Vi avevo già descritto questa sensazione nel post dedicato a Bad Taste, ma con “Braindead” il legame di parentela che corre dal Michigan e da Sam Raimi, per arrivare giù fino a Peter Jackson in Nuova Zelanda diventa palese, quando gli zombie prendono d’assalto la festa in casa di Lionel, il film diventa un assedio a cui i protagonisti su più fronti devono resistere, grazie al montaggio serrato la lunga sequenza non lascia un attimo di tregua al pubblico e il ritmo, il ritmo! Se ti soffermi troppo a ridere di una gag di umorismo nerissimo, rischi di perderti due o tre trovate splatter una più brillante dell’altra.
Il fratello Raimi disperso in Nuova Zelanda tiene sempre in movimento la macchina da presa, riempiendo questa fagiolata di sangue e budella in un continuo di trovate slapstick una meglio dell’altra, che non solo riescono a far ridere e disgustare in parti uguali, ma sono veri colpi di genio, per numero e trovate, ogni effetto speciale (rigorosamente artigianale) viene inquadrato nel modo migliore per risultare più efficace sul grande schermo. Il mio preferito resta la ragazza che urla di terrore in primo piano e BOOM! Un pugno le sfonda la testa da dietro uscendole dalla bocca, senza quasi che si noti il momento in cui Jackson è passato dall’attrice urlante al manichino con le sue sembianze utilizzato per la scena.
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Una festa piena di gente molto espansiva direi. |
La tensione è altissima, perché il ritmo resta serrato, le gag non mancano (come Lionel che cercare di correre ma scivola sul sangue) eppure la minaccia è concreta, quindi si sussulta quando Paquita viene morsa (ma da uno zombie con la dentiera), ma anche il viscidissimo zio si rivela una furia nel suo disperato tentativo di restare vivo. Da spettatori non si sa più dove girarsi a guardare, tra zombie con nani da giardino al posto della testa, lampadine che illuminano crani nemmeno fossimo nella versione splatter di un cartone dei Looney Tunes, l’assedio è anche nei confronti di noi spettatori, se “Braindead” è un gioiellino caustico, questa sequenza è la prima grande battaglia di Jackson, per certi versi anche la migliore, perché culmina con Lionel che finalmente diventa un uomo, novello Ash Williams imbraccia il tosa erba (quello che ad inizio film sua madre gli vietava di utilizzare) giocandosi anche la “frase maschia”: «Party is over!»
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A lezione di anatomia umana con Peter Jackson. |
Jackson in questo tripudio di corpi smembrati non lascia indietro nemmeno un centimetro di pelle, i suoi zombie continuano ad attaccarti anche quando sono smembrati, anche quando non sono più un corpo ma un sistema digerente umano completo, con tanto di ano scoreggiante, pronto ad inseguirti e a stritolarti come un serpente impazzito. Il giorno in cui distribuivano il buongusto Pietro Di Giacomo era nel suo scantinato a creare maschere e trucchi artigianali per i suoi film, in compenso quando distribuivano il talento visivo (e la follia) era il primo della fila.
Qui i 300 litri di sangue finto utilizzati per girare il film si vedono tutti fino all’ultima goccia, tutto finito? No perché Jackson ha ancora benzina e per completare il romanzo di formazione del suo eroe, ci vuole lo scontro decisivo con la mamma, il mostro di fine livello, in un finale sul tetto che sembra quello di Evil Dead 2 ma con trauma infantile da superare.
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GROOVY questa volta dalla Nuova Zelanda. |
Avete presente Peter Jackson che scherzava sull’essere stato partorito in una scena di Bad Taste? Stessa cosa, al grido di «Sigmund Freud, analyse this!» (cit.) Lionel rientra nel grembo materno solo per farsi strada a colpi di tosaerba, un adorabile delirio, una fagiolata come nel cinema horror se ne sono viste poche, l’apice, la festa finale che rende omaggio al meglio alla grande tradizione del filone splatter.
Peter Jackson avrà anche vinto un fottio di premi Oscar in carriera, ma dipendesse da me la metà glieli avrei dati solo per questo film, che da trent’anni è giustamente un culto totale e finalmente ha trovato il suo posto anche su questa Bara, forse una delle migliori commedie horror di sempre… auguri “Braindead”!