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Star Trek – la serie classica (1966-1969): per arrivare là dove nessun Nerd è mai giunto prima

Non ci credo, io non ci credo a questa sporca guerra che imperversa da anni tra Trekkie e fan di Guerre Stellari. Non ci credo perché è una faida che abbiamo ereditato dagli americani e non credo che sia così sentita anche qui da noi, in uno strambo Paese a forma di scarpa che da sempre ama la fantascienza.

Credo invece al principio esposto da Tarantino (Trekkie dichiarato che ogni tanto minaccia un film che per fortuna non arriverà mai), per cui nella vita ti possono piacere Elvis e i Beatles, ma ne puoi amare per davvero solo uno, nel mio caso il mio cuoricino penderà sempre dal lato della saga creata da George Lucas, ma in quanto Nerd della vecchia scuola ho sempre avuto un fascino per il mondo creato da Gene Roddenberry.

Il vecchio Eugenio, papà e testardo creatore della serie al lavoro.

Come tutti, da bambino guardavo in televisione gli episodi della serie classica e quelli di “The Next Generation”, che per un periodo ricordo, venivano trasmessi quasi ad orari contemporanei, la prima sulla Rai e la seconda su Italia 1 (storia vera). Ovviamente le puntate si guardavano così come venivano trasmesse, spesso completamente a caso, quindi non posso dire di averle viste per davvero anche se ho sempre avuto una grande passione per i film dedicati a Star Trek, avevo tutte le mie belle VHS registrate dai vari passaggi televisivi che guardavo e riguardavo a profusione.

In queste settimane ho accumulato post dedicati a lunghe serie, tutte quelle che ho visto in questi mesi di pandemia, quindi è giunto il momento di mettere a frutto la lunga (lunghissima!) maratona di recupero dell’opera (abbastanza) omnia di Star Trek, sarà una cavalcata che ci accompagnerà a lungo, è il momento per questa Bara di partire per un viaggio che ci porterà là dove nessun Nerd è mai giunto prima.

Il sottotitolo della rubrica è merito di Dratt, grazie!

Gene Roddenberry ha sognato la fantascienza fin da bambino, diventato aviatore nell’aeronautica degli Stati Uniti, dopo la seconda guerra mondiale il vecchio Gene aveva in testa una storia ispirata ai classici telefilm Western sullo stile di “Carovane verso il West”, con un convoglio spaziale in viaggio per il cosmo. Peccato che nei primi anni ’60 la fantascienza sul piccolo schermo fosse rivolta solo al pubblico dei bambini. Durante la sua gavetta come sceneggiatore di parecchie serie televisive, in un episodio di “West Point” da lui sceneggiato, notò subito uno spilungone nato a Vulcano Boston di nome Leonard Nimoy, con quegli zigomi che bucavano lo schermo sarebbe stato un alieno perfetto, tanto che Nimoy finì per battere la concorrenza di Martin Landau, che in compensò finì anche lui a recitare in un’altra mitica serie, “Spazio 1999”.

«Spock, crede che la premessa di Cassidy durerà ancora molto?», «È capace di andare avanti per ore, lo trovo molto illogico»

Roddenberry aveva le idee chiare e la testa molto dura, il suo viaggio tra le stelle (così abbiamo spiegato anche il titolo della serie), avrebbe dovuto avere protagonisti multietnici, per rappresentare un futuro dove l’umanità ha trovato il modo di superare buona parte delle proprie divergenze interne, un futuro multiculturale, ben poco orientato alla religione (malgrado le pressioni dei produttori, Roddenberry si rifiutò di avere un prete a bordo della sua Enterprise, storia vera) e a ben guardare anche vegano, visto che i personaggi non mangiano vero cibo, ma solo alimenti e bevande generate da un replicatore. Insomma un’idea di futuro molto progressista e anche difficile da vendere al pubblico medio americano degli anni ’60, infatti “Star Trek” è stata una delle pochissime serie tv ad avere due episodi pilota, “Lo zoo di Talos” (The Cage) e “Oltre la galassia” (Where no man has gone before), ma se volete sapere tutto di tutti gli episodi della serie classica, passare a trovare SamSimon che ha fatto un lavoro incredibile sul suo blog.

Questo è il motivo per cui quando ho iniziato la mia maratona di recupero pescando le puntate da Netflix, tutto bello carico davanti al primo episodio, mi sono ritrovato al comando dell’Enterprise il capitano… Pike! Ehi ma chi è questo tizio! Vogliamo T.J. Hooker svelti!

Tu non sei Kirk!!! (Cassidy corre a chiudersi in camera sua sbattendo la porta)

Il primo pilota trasmesso dalla NBC non raggiunse gli obbiettivi richiesti dal canale, che però aveva fiutato il potenziale della serie, anche se gli aggiustamenti in corsa non sono stati indolore per Roddenberry, che un po’ allibito si ritrovò per le mani una sorta di opuscolo pubblicitario distribuito dal canale, poche paginette con una veloce descrizione dei protagonisti, ma con orrore Gene scoprì che il suo preferito, il Vulcaniano Spock interpretato fin dal primo pilota da Leonard Nimoy, era stato ritoccato nelle foto, in modo da per sparire le orecchie a punta e le sopracciglia inarcate, perché secondo la produzione, l’aspetto “lucifierino” del personaggio avrebbe spaventato troppo la larga porzione di pubblico timorata di Dio (storia vera).

La prima apparizione ufficiale di due icone, in un tripudio di scacchi, giallo e pigiamini girocollo.

Grazie ad una capacità notevole di mettere le corna per terra, Roddenberry riuscì a portare Spock a bordo dell’Enterprise proprio come lo aveva immaginato, comprese le celebri orecchie che hanno reso il personaggio un’icona, al resto invece ci ha pensato lo stesso Leonard Nimoy. Il celebre saluto Vulcaniano con le dita a forma di “V” da sfoggiare insieme alla frase «Lunga vita e prosperità», pare siano un lascito delle mattine di Nimoy in sinagoga, una versione a mano singola di un gesto tipico della religione ebraica di norma eseguito con entrambe le mani. Per i capelli da Beatles spaziale invece, non ci sono vere spiegazioni, ma è risaputo che il padre di Nimoy, una vita passata nella sua bottega di barbiere a Boston, quando la serie esplose raggiungendo grande popolarità, tagliò i capelli “alla Spock” a diversi ragazzini esaltati, che non sapevano nemmeno che a creare il loro stile Vulcaniano era proprio il padre del loro personaggio del cuore (storia vera).

Mai giocare a “Sasso carta forbice” con il figlio del barbiere.

Affrontare “Star Trek” a quasi sessant’anni dal suo esordio è come descrivere il mare, non solo per vastità ma anche per il dettaglio (non secondario) per cui tutti, anche chi non ha mai visto nemmeno un minuto di un singolo episodio, conoscono il Capitano Kirk, Mr. Spock e il dottore Bones McCoy. Il saluto Vulcaniano, il nome Enterprise, il teletrasporto, per arrivare fino alla musica della leggendaria sigla composta da Alexander Courage, “Star Trek” è un caposaldo della cultura popolare occidentale. Anche se non ero completamente a digiuno della serie classica, è inevitabile che una serie del 1966 risulti invecchiata, i “pigiamini” dei protagonisti, alcuni effetti speciali piuttosto naif (come i mitici Triboli, un po’ gatti e un po’ Gremlins), alcune soluzioni viste oggi fanno inevitabilmente sorridere, ma il contenuto della serie la rende fantascienza di ottima qualità.

Kirk qualunque cosa, ma non dar loro da mangiare dopo
mezzanotte (data astrale)

Tra le penne che hanno contribuito a rendere grande questa serie, possiamo trovare puntate scritte da Robert Bloch, oppure come la bellissima Il duplicato, una meravigliosa “doppia” prova di William Shatner su un copione scritto da Richard Matheson, non proprio la pizza con i fichi. Se “Guerre Stellari” è una space opera che strizza l’occhio alla tradizione di Buck Rogers, “Star Trek” utilizza personaggi, situazioni e tutine per fare metafora dell’animo umano e dei dubbi Amletici che da sempre l’umanità si pone.

Certo bisogna mettere in conto che siamo davanti ad un’opera figlia del suo tempo, motivo per cui ancora oggi quando qualcuno muove una critica di un certo tipo alle vecchie storie, la mia reazione è il più delle volte quella di sollevare un sopracciglio dicendo «Affascinante» (cit.) e sappiate che me la gioco con Nimoy quando si tratta di sopracciglia in posa (storia vera).

Tzè, questo so farlo anche io Leonardo, fammela più difficile la prossima volta.

Il capitano James T. Kirk è energico, predisposto al comando, decisionista e sciupafemmine, non passa un episodio senza che un guardia marina donna, popputa e in minigonna non arrivi a portare l’equivalente locale di una tazza di caffè ai protagonisti, ma soprattutto non esca di scena senza un’alzata di sopracciglia e uno sguardo tra maschietti, nemmeno di trattasse dello stereotipo di un’assistente di volo della Pan Am. Per fare un esempio, in un episodio compare la bellissima Barbara Bouchet, ma in generale non mancano puntate con belle aliene molto umane nelle forme e ben poco vestite nei costumi, quindi è chiaro che per quanto progressista, la serie classica di “Star Trek” sia comunque figlia del suo tempo anche perché parliamoci chiaro, la serie animata (a breve su queste Bare), ha messo in chiaro che la “T” tra James e Kirk sta per Tiberius, ma se volete sapere la mia, guardando la serie classica secondo me quella “T” stava per “Trapano”, perché Kirk non ne lascia passare una!

C’è solo un capitano! Un capitanoooooo! C’è solo un capitanoooooo!

Cadono tutte ai piedi del fascino di un William Shatner che recita per la storia, in tal senso l’episodio che mi ha colpito di più è quello del processo al capitano Kirk, dove persino l’avvocatessa dell’accusa, dopo una puntata passata a cercare di incriminarlo, nel finale capitola tra le sue braccia. Se pensavo che Tony Soprano e Jimmy McNulty nelle rispettive serie HBO fossero degli stracciamutande, era solo perché non avevo ancora visto in azione il capitano James “Trapano” Kirk!

Tornando seri (o presunti tali) per un momento, la forza di “Star Trek” sta in una trilogia di personaggi incredibilmente azzeccati e per certi versi complementari, William Shatner recitando alla grande sopra le righe rappresenta il alto più selvaggio, energico e maschile (in quanto “Trapano”), lo Spock di Leonard Nimoy è la logica, pragmatico, calcolatore ma non privo di sentimenti malgrado il suo sforzo di nascondere la sua metà umana, che lo rende un personaggio in grado di fare da testa di ponte con la sua razza ma anche tutte le altre, non esiste un problema di comunicazione che Spock non possa risolvere con pacata risolutezza.

Il mio personaggio preferito di tutta la serie classica. L’altro è solo Spock.

Il punto di equilibrio tra questi due opposti è il dottor Leonard “Bones” McCoy, interpretato alla perfezione dalla faccia da duro uscito dai serial Western di DeForest Kelley, un personaggio spesso sardonico, in eterno battibecco con l’algido Spock, uno che a volte sa mettere pace altre volte può spingere all’azione, insomma forse il più sfaccettato del trio che per ignoranza, ho sempre creduto si chiamasse “Bones” per via del fisico di Kelley (di norma è il soprannome appioppato dagli Yankee alle persone smilze), quando invece è solo il diminutivo di “Sawbones”, segaossa.

«Come tuo dottore, ti consiglio di darci un taglio con i carboidrati, quella blusa tira un po’ sulla pancia»

Kirk, Spock e Bones da soli incarnano tutta la gamma di emozioni umane, infatti a turno sono in grado di diventare il preferito del pubblico senza mai calpestarsi i piedi, anche se William Shatner chiese di avere il suo nome scritto con caratteri più grandi nella sigla ed inizialmente, non vide troppo di buon occhio la popolarità di Spock presso il grande pubblico, prima di intrecciare una lunga amicizia con Nimoy anche fuori dai set della serie (storia vera).

A seconda del momento della vostra vita, tutti abbiamo sognato di essere uno di loro (se non tutti e tre)

Ci sarebbero un milione di dettagli da raccontare, ad esempio mi ha sempre fatto impazzire la divisa verde di Kirk, quella un po’ meno aderente che permetteva all’attore di mascherare le maniglie dell’amore e che mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo, siccome non sopporto i vestiti aderenti, l’idea di un futuro dove tutti sono vestiti con implacabili (per l’autostima) pigiamino, era davvero l’unica crudeltà nel mondo progressista creato da Gene Roddenberry.

Si perché ci saranno anche le guardia marina in minigonna, ma “Star Trek” coraggiosamente ha puntata su un cast di personaggi multi etnico: lo scozzese Montgomery Scott (James Doohan), l’orientale Hikaru Sulu (per altro interpretato da un attore dichiaratamente omosessuale come George Takei, anche se non è un tratto caratteristico del suo personaggio), l’afro americana Uhura (Nichelle Nichols) e addirittura un russo come Pavel Chekov (Walter Koenig), in un periodo in cui gli Stati Uniti guardavano ai Sovietici come la Federazione Unita dei Pianeti guarda ai Romulani, portare un russo tra le fila dei protagonisti non era di certo una scelta da poco.

Foto di gruppo, gli ufficiali davanti seduti grazie.

Ma “Star Trek” non si è limitata a questo, il primo bacio tra un uomo bianco e una donna di colore molti Yankee lo hanno visto guardando questa serie, più in generale poi la serie creata da Gene Roddenberry ha saputo creare un modello rimasto inalterato per decenni, complice forse una base di fan incredibilmente appassionata ma conservatrice (come tutti i fan), il modello di “Star Trek” è rimasto inalterato, pensateci un momento: la macchina da presa scossa in tutte le direzioni, il cast che come una squadra di nuoto sincronizzato dondola “Tutti avanti eeeehh! Tutti indietro ohhhh!”, per simulare un attacco subìto dalla nave stellare Enterprise, un piccolo trucco televisivo (anche piuttosto economico) rimasto inalterato in tutte le numerose serie di “Star Trek”.

Mi chiamo Gorn, famoso per una rissa con Kirk / Ti picchio un pò, ora due sberle ti dò.

Ma fosse solo, questo l’impatto cultura di una serie che ha dato il nome alla prima navicella della Nasa, oppure che ha saputo nel tempo portare al pubblico di tutto il mondo la fantascienza classica, attraverso personaggi diventati leggendari. Poche altre storie dell’immaginario hanno avuto un tale impatto sulla vita concreta delle persone, se ancora oggi le fiere di fumetto sono piene di “Cosplayer”, un po’ lo dobbiamo anche all’enorme passione dei Trekkie, che hanno iniziato a confezionare i loro semplici da realizzare (ma estremamente dettagliati) pigiamini a casa loro, ben prima che adulti vestiti da personaggi dell’immaginario fosse qualcosa di socialmente accettato e considerato normale, anche in questo è chiara la capacità di Star Trek di anticipare un futuro di integrazione, pace e prosperità che onestamente, non mi dispiacerebbe poter vivere un giorno, a patto di avere anche io una divisa verde come quella di Kirk, poi vuoi mettere la comodità di un teletrasporto per spostarsi? Ogni volta avrei il terrore di finire come Seth Brundle ma la mia pigrizia congenita ringrazierebbe.

«Ehi avete visto quella mosca?» , «Oh caz…»

Insomma se non avete mai visto “Star Trek”, vi assicuro che è ancora una grande esperienza affrontare le tre stagioni della serie classica, se invece avrete tempo e pazienza, sappiate che questa Bara ha appena cominciato la sua missione (quinquennale) diretta all’esplorazione di strani nuovi mondi, a tutti quanto voi, lunga vita e prosperità, quella di cui questa serie gode ancora dopo quasi sessant’anni.

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