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Starship Troopers (1997): e se stessimo facendo il tifo per i cattivi?

La guerra contro gli aracnidi è alle porte, tutti dobbiamo fare la nostra parte per sconfiggere quegli schifosi insetti, volete saperne di più? Cliccate sul nuovo capitolo della rubrica… Sollevare un Paul Verhoeven!

Una delle ragioni che mi ha spinto ad iniziare una rubrica sul grande regista olandese sono stati anche un paio di compleanni di un paio dei suoi film che amo molto, il primo lo abbiamo festeggiato come si deve, perché i primi trent’anni di Robocop non sono certo roba da poco, ma vogliamo sottovalutare i primi vent’anni di un altro cult di Verhoeven come “Starship Troopers”? Uscito negli Stati Uniti il 7 novembre del 1997, beh, non sono nemmeno troppo in ritardo, dai!

Dopo il disastro apocalittico di Showgirls, chiunque sarebbe uscito con le ossa rotte, citofonare alla carriera di Elizabeth Berkley per maggiori dettagli (volete saperne di più?), ma il nostro Polveròn ha la pelle spessa, anni passati a sollevare polveroni lo hanno rinforzato e, come abbiamo visto in questa rubrica, non è certo mai stato un tipo timido, quindi dopo un tonfo del genere il nostro cosa fa? Sceglie un soggetto facile facile, qualcosa all’insegna dei toni bassi per riguadagnarsi la fiducia del pubblico? Ma va! Verhoeven sceglie di adattare per il grande schermo un libro famoso, amato e (ovviamente) molto controverso, “Fanteria dello spazio” pubblicato nel 1959 Robert A. Heinlein. Quando distribuivano la timidezza Verhoeven aveva decisamente altro da fare.

«Insetti giganti che fanno Grrr!» , «Paul hai preso di nuovo il caffè in uno di quei bar che avete in olanda per caso?»

Per tutta la sua carriera Verhoeven è stato accusato di fascismo, incredibile per uno cresciuto in un Paese proprio durante l’occupazione Nazista, ma per il contenuto forte dei suoi film Polveròn è stato accusato quando non era affatto logico farlo, quando la sua satira non è stata capita e persino quando ha chiesto a Sharon Stone di accavallare le gambe!

Sapete chi è stato accusato di fascismo ed eccesso di patriottismo? Proprio il romanzo di Robert A. Heinlein che lo stesso Verhoeven ha candidamente ammesso di non aver mai terminato di leggere, rimesso sul comodino dopo alcuni capitoli proprio perché considerato troppo di estrema destra per i gusti del regista (storia vera!), tanto che il compito di adattare il libro per il grande schermo è stato affidato con molta gioia da Verhoeven al fidato Edward Neumeier e me lo immagino mentre se la ridacchia affidando al co-creatore di Robocop la patata bollente.

Quando d’estate vi danno noia le zanzare, ricordatevi della fanteria mobile.

Il grande Michael Ironside, nuovamente chiamato sul set da Verhoeven una volta ha pure provato a chiedergli come mai abbia deciso di dirigere un libro così di destra, la risposta del regista dice molto della sua idea di cinema, le sue intenzioni erano quelle di mostrare al cinema una perfetta utopia fascista, una società in cui tutti sono alti, biondi e con gli occhi azzurri, dove le cicatrici di guerra sono in bella mostra e nelle scuole vengono insegnati i valori della sopraffazione, della violenza e dell’interventismo, una società dove tutti sono super armati, eppure prendono lo stesso calci nel culo da un branco di insetti. La parola che state cercando è: Satira.

«Il primo che mi chiede di dargli una mano agli esami lo boccio, ok?»

Ovviamente, alla sua uscita “Starship Troopers – Fanteria dello spazio” indovinate un po’? Viene accusato di essere un’apologia sul fascismo, chi lo avrebbe mai detto. Forse anche per queste ragioni, o per la lunga ombra di Showgirls, il film è un flop, costato 100 milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde riesce ad andare in pari giusto con l’home video, motivo per cui esistono due seguiti usciti DTV, inaugurando così un’altra tendenza Verhoveriana, ovvero quella di iniziare dei franchise i cui seguiti non sono proprio tutti pesche e crema.

Eppure, fin dalla prima volta che ho visto “Starship Troopers” l’ho amato tantissimo, penso di averlo visto al cinema, di sicuro insieme ad un mio amico abbiamo consumato la VHS, al pari di Tremors era il mio film imperdibile da vedere e rivedere, sono tentato di farne un Classido, ma sapete che c’è? Chissene, vai con il logo!

Cosa si può volete di più da un film quando sei un ragazzino degli anni ’90? 129 minuti minuti di azione frenetica! Dei marines dello spazio, che qui si chiamano Fanteria mobile, che sparano, sparano, sparano un quantitativo esagerato di proiettili come se avessero sbloccato l’opzione “Proiettili infiniti” in uno sparatutto, contro degli alieni a forma di aracnide schifosissimi nella forma, ma realizzati con il minimo di CGI possibile e con tantissimi effetti vecchia maniera del grande Phil Tippett.

Per un ragazzino dai gusti trucidi e iper violenti “Starship Troopers” ha il giusto livello di caciara e budella, di tette e di morte, sì, perché oltre ai letali Aracnidi da ammazzare nel cast il film si gioca una Denise Richards un attimo prima di fare il botto diventando una delle donne più sexy degli anni ’90 e un’altra donna che ai miei occhi riusciva comunque ad oscurarla, la bellissima Dina Meyer per cui avevo già perso la testa in un altro film, ma questa è un’altra storia.

Volete qualche altro cattivissimo Aracnide…
… Oppure preferite Dina in versione G.I. Joe?

Già allora mi erano chiari gli intenti satirici di Verhoeven, perché dai cavolo, sono palesi, eppure ogni volta che me lo rivedo questo film lo trovo migliore ed invecchiato alla grande, me lo sono riguardato qualche giorno fa per questa rubrica e ho realizzato che il pubblico del 1997 non poteva essere pronto per “Starship Troopers”, ora che siamo qui a festeggiare i suoi primi vent’anni, è chiaro che il pubblico a cui questo film si rivolge è quello di oggi, quello del 2017.

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In un film di fantascienza, costruire un mondo che allo spettatore risulti credibile, dettagliato e con una sua coerenza interna è fondamentale, qui Verhoeven ci riesce alla grande, sfruttando al meglio le pennellate satiriche di Edward Neumeier, il mondo in cui si muovono i personaggi di “Starship Troopers” è sud-americano centrico, Buenos Aires è una delle città più ricche e popolate del mondo, Ginevra la capitale del mondo e la popolazione si divide tra civili e cittadini, i cittadini possono votare, avere figli, hanno la possibilità di iniziare carriere politiche e da giornalisti, insomma hanno i diritti base a cui tutti noi abbiamo accesso, con la differenza che per poterne usufruire devono prima prestare servizio militare, aviazione, fanteria mobile, oppure nell’intelligence militare che, però, predilige la parte di popolazione dotata di poteri extra sensoriali.

Fin dal primo minuto è chiaro che questo mondo sia regolato da parametri paramilitari, gli insegnati a scuola sfoggiano tutti ferite di guerra, come Rasczak (il grande Michael Ironside) a cui manca un braccio, ma tanto aveva già dato visto che in Atto di forza li perdeva entrambi. Verhoven mette su un cast micidiale che nel 1997 era composto da tante giovani promesse, che vent’anni dopo, invece, sono il fiore all’occhiello del cinema di serie Z: Patrick Muldoon, ma soprattutto il mitico Casper Van Dien sono la pietra angolare su cui è fondata l’Asylum e anche Denise Richards non è proprio finita benissimo, ecco.

Casper: Ovvero come il cinema di serie Z ha trovato un nuovo eroe!

Eppure, nel 1997 risultano tutti perfetti per questa soap opera spaziale con divise fasciste, Verhoeven prende tutti attori “Belli belli in modo assurdo”, sembrano tutti modelli, tanto che sono palesemente troppo vecchi per essere studenti all’ultimo anno, ma poco importa, Denise Richards e, soprattutto, Dina Meyer sono da mordersi le nocche delle mani e ogni volta mi fanno pensare all’ingiustizia… Sì, perché io in classe due così non le avevo mica!

Nella mia classe erano tutti maschi, ingiustizia! Vessazione! Angheria!

Johnny Rico, il protagonista del film non poteva essere interpretato da altri se non da Casper Van Dien, perché, parliamoci chiaro, la satira nella satira di Verhoeven ruota anche intorno al fatto che il protagonista sia un “Servo della gleba” (citando gli Elii) che per quella cosa che tira più di un carro di buoi, nella fattispecie di Carmen Ibanez (la Richards) corre ad arruolarsi nella fanteria mobile, definita nel film come “Carne fresca per il tritacarne”, perché come dice lo stesso Rico, tenendo fede alla lotta tra classi sociali tipica dei film di Verhoeven, «La flotta pensi a volare la fanteria mobile a morire!». In questo senso il soldato senza gambe che tutto orgoglioso dice a Rico «La fanteria mobile mi ha reso l’uomo che sono oggi» serve a dirvi della satira del film, ma anche del livello di svegliezza di Rico che corre dietro ad una stronza indottrinato dalla società, quando ha a portata di mano Dizzy (Dina Meyer) che gli sbava dietro e se lo vorrebbe fare con tutte le scarpe!

Foto di Dina, foto di Dina come se non ci fosse un domani! Quando mi ricapita altrimenti!

Se, poi, pensate che sia strano che uno che si chiama Johnny Rico, nel romanzo originale Juan “Johnny” Rico, di origini filippine, nel film invece di Buenos Aires, non sia proprio il vostro classico argentino, visto che Casper Van Dien è biondo e con gli occhi azzurri, io vi ricordo quello che ha sottolineato in varie interviste anche Verhoeven, ovvero che l’Argentina è uno degli Stati in cui i Nazisti in fuga sono andati a nascondersi per fuggire alle loro colpe, può sembrarvi un dettaglio da poco, ma tenetemi l’icona aperta che più avanti ci torno.

«Tu! Sei un po’ troppo biondo per essere di Buenos Aires» , «Mio nonno si chiamava Friedrich signore!»

Forse in maniera meno palese rispetto a Robocop, “Starship Troopers” si conferma un film rivolto al pubblico di oggi perché anticipa molte delle trovate che per noi ormai sono consuetudine, la federazione, il cui logo è una grossa aquila stilizzata (altro giro, altra icona da lasciare aperta “Volete saperne di più?”) comunica utilizzando il “Federal Network”, un canale che trasmette porzioni di notizie che ci offrono uno spaccato della società, in prima serata vengono trasmesse esecuzioni pubbliche e mentre passano a rotazione pubblicità che sono veri e propri spot di arruolamento, una frecciona di mouse ci invita a cliccare per approfondire “Vuoi saperne di più?” diventa un tormentone ed è chiaro che il “Federal Network”, non sia altro che il nostro odierno modo di leggere le notizie (anche quelle finte oppure manipolate da chi comanda) su Internet, anticipando la nostra mania di condivisione e sensazionalismo a tutti i costi.

Se volete potete chiedermi l’amicizia su Federal Network.

Immagino che tutti ricordiate un triste giorno di settembre dell’anno 2001, ancora oggi qualcuno sostiene che l’attentato sia stato “Pilotato” (infelice scelta di parole lo so) dagli stessi Americani per giustificare le successive dodici e tredici guerre che hanno iniziato in Paesi del mondo che non sanno trovare sulla carta geografica, non è importante quale sia la vostra posizione in merito a questo fatto, parliamo piuttosto di un dettaglio che allora mi colpì molto, anche se a pensarci è davvero molto stupido, ma perdonatemi, ho il cervello più piccolo di quello di un Aracnide.

«Cassidy mi parla di essere colpiti, io cosa dovrei dire allora AAARRRGHHHH!»

Nei giorni successivi all’attentato, ci fu un aumento degli arruolamenti tra le fila dell’esercito americano, ma una notizia minore mi colpì molto, tanto che ancora la ricordo: molti tatuatori registrarono un aumento della richiesta di tatuaggi con bandiere a stelle e strisce e soprattutto la classica aquila calva simbolo degli USA, provate a pensare cosa mi è venuto in mente quando allora lessi questa notizia? Bravi, proprio alla scena in cui i protagonisti corrono a farsi tatuare l’aquila della federazione, un teschio e una frase cazzuta prima di partire per Klendathu, pianeta natale degli Aracnidi guarda caso quando? Proprio dopo la distruzione della città di Buenos Aires, avvenuta secondo il “Federal Network” per un meteorite lanciato da quei fottuti Mussulmani con l’asciugamano in test… Ah no, scusate, mi sono fatto prendere, volevo dire dagli Aracnidi!

Argentina America Fuck YEAH!

Dettaglio su cui, però, Verhoeven è volutamente fumoso, muovendosi, come al solito, in quella zona grigia che caratterizza le sue trame e i suoi personaggi, ad un certo punto nel film un giornalista prima di parla di un avamposto di Mormoni che si è installato nella zona degli Aracnidi e poi in maniera ancora più chiara, ma frettolosa (come solo le notizie in rete possono essere), per bocca di un giornalista arrivano le parole «Sembra che gli insetti siano stati provocati da un’intrusione umana nel loro territorio e che vivi e lascia vivere possa essere una politica adatta», la risposta che arriva per bocca di Rico un secondo dopo è chiarissima: «Voglio solo dire, sono di Buenos Aires e dico sterminiamoli!». Satira, volete saperne di più?

Persino il reparto costumi non le manda a dire, le divise grigio nere rimandano subito all’esercito Nazista, ma quello più palese di tutti è il personaggio di Neil Patrick Harris, il futuro Barney Stinson di “How i met your mother” che fa carriera nell’intelligence militare e a fine film entra in scena con una divisa nera da gerarca delle “SS” che si spiega da sola.

«Haaaaave you met Ted Heinrich Himmler?»

Come tutti i film della fase americana della carriera di Verhoeven, anche “Starship Troopers” sfrutta al meglio i canoni del genere a cui appartiene, ma preme a tavoletta sulla parodia, il film anticipa e mette alla berlina la politica interventista e colonialista degli Stati Uniti, soprattutto quella post 11 settembre, solo che lo fa nel 1997. Per 129 minuti “Starship Troopers” ci intrattiene alla grande con violenza, sesso, azione e mostri grossi ammazzati malamente (e umani uccisi peggio), ma in maniera sottile ci suggerisce un’idea subdola: e se la Federazione di cui la Fanteria Mobile è il braccio armato fosse gli invasori? Vuoi vedere che gli Aracnidi si stanno solo difendendo? Non staremo mica facendo il tifo per i cattivi? Paul Verhoeven non moralizza, non risponde, ma solleva dubbi e fa gran satira, diavolo di un Polveròn!

Per tutto il tempo si diverte a prenderci in giro, prende Casper Van Dien e lo fa frustare, non a caso da un nero, mentre Jake Busey, il figlio del grande Gary (lo si riconosce dai dentoni) durante la festa prende il violino e suona “Dixieland”, l’inno del esercito americano Confederato (quelli che hanno perso, quindi i CATTIVI) che negli Stati Uniti è considerato una canzone razzista e di estrema destra, tutti dettagli che emergono nelle varie visioni e ci restituiscono un film molto più affilato ed intelligente di quando una trama riassumibile con “Soldati sparano ad insetti giganti” potrebbe limitarsi a dire.

Fun fact: Jake Busey ha imparato a suonare il violino apposta per questo film, papà sarebbe orgoglioso.

In tutto questo non mancano personaggi mitici: Michael Ironside e Clancy Brown sono duri come chiodi da bara e potrebbero essere eroi in un film a loro dedicato, qui sono sullo schermo insieme e se lo mangiano, anche se hanno due parti minori.

«Visto? Se farete così Cassidy non potrà più scrivere caSSate»

La violenza non manca, ho sempre trovato geniale che i fucili della Fanteria Mobile riescano a sparare un numero esagerato di proiettili, ma risultino pateticamente inefficaci contro gli Aracnidi, infatti su Klendathu, come da tradizione l’esercito Americano delle Federazione parte spavaldo e convinto di vincere, ma viene preso a calci nelle palle per dirla come avrebbe fatto il soldato Hudson.

«Siete sull’ascensore per l’inferno, in discesa» (Cit.)

Gli Aracnidi sono fighissimi, Phil Tippett ha riciclato il loro design da un bozzetto dei Graboidi con le zampe del film Tremors 2 (storia vera!) ed è una storia di riciclaggi quella di “Starship Troopers” pensate che le divise della Fanteria Mobile, per mancanza di fondi sono stato utilizzate anche da Joss Whedon per il primo episodio della sua bellissima serie “Firefly”.

Proprio gli Aracnidi garantiscono la carnazza e il sangue che nei film di Verhoeven non mancano mai, infatti la conta dei morti di questo film è pazzesca, 256 sono i personaggi che vengono uccisi, escludendo la distruzione di Buenos Aires! Non manca nemmeno l’altro grande argomento fondamentale nei film di Verhoeven, sì, perché di fatto “Starship Troopers” ci mostra nuovamente gli effetti della guerra su di un gruppo di amici, proprio come accadeva in Soldato d’Orange e a questo punto della rubrica dovrebbe essere chiaro che la donna che porta lo sconvolgimento nella vita del protagonista, un classico dei film di Verhoeven, qui sia rappresentata da Denise Richards.

Soldati d’Orange dello spazio.
Ma sapete quale altro classico Verhoeveniano non manca qui? Gli spogliatoio misti! Quelli che in Robocop facevano una timida comparsata mentre in Showgirls, hanno rischiato di restare sul fondo, qui la camerata dei beh, camerati ha un ruolo fondamentale, con tanto di docce comuni in cui Verhoeven macchina da presa alla mano ha potuto rifarsi del fatto che la Richards si è rifiutata di fare scene di nudo (storia vera) altro motivo per preferire Dina Meyer!
«Non iniziamo a fare i furbacchioni con il vecchio trucco della saponetta, ok?»

Menzione speciale per l’alieno cervelluto, il capo degli Aracnidi da solo capace di turbare gli incubi anche dei più Freudiani tra di voi, ciccionissimo e dotato di mille occhi come un grosso ragno, al centro della faccia ha una… Una… Beh, diciamo un organo piuttosto riconoscibile che secerne secrezioni e dai cui esce un fallico artiglio con cui succhia via i cervelli, a distanza di anni continuo a pensare che un tale livello di schifezza capace di turbare le sicurezze sessuali degli spettatori non sia più stato eguagliato, diciamo che continuo a preferire le grazie della Meyer, ecco.

«Ma che schifo! Ma cos’è quella roba?! No no non voglio saperlo!» (Cit.)

Anche per Starship Troopers le musiche di Basil Poledouris sono semplicemente perfette, un tema paramilitare che esplode nella sua potenza quando serve, di solito quando Rico urla «Avanti, Leoni! Volete diventare degli eroi?» (Ma quanto mi gaso!!) e suonano davvero come la musica giusta per un film che ad un’occhiata distratta può sembrare un lunga pubblicità per l’arruolamento, mentre, invece, è un gran capolavoro di Verhoeven, invecchiato benissimo e sinistramente profetico, un altro aggiungerei. Tra sette giorni, ci vediamo qui con un altro capitolo della rubrica, cercate di non… Scomparire.

Visto? Verhoeven è riuscito a mettere delle scimmie anche qui!
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