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Steppenwolf (2024): sentieri selvaggi e anche kazaki

Voi che sicuramente siete più altolocati e meno pane e salame di me, se pensate al cinema kazako sarete in grado di snocciolare nomi e titoli, io personalmente d’istinto, mi viene in mente Borat.

Se poi nel programma dell’ultimo ToHorror ti trovi davanti ad un film definito una storia “On the road”, a metà tra il Western e Mad Max, per di più con un titolo che rimanda palesemente ad Hermann Hesse capisci che qui le strade possibili possono essere due: una mattonata pretenziosa che l’autore della sinossi ha saputo venderti benissimo oppure ehi, frena la mula, che qui abbiamo qualcosa per le mani. Insomma, salto nel vuoto, il mio ideale Euro me lo sono giocato sull’ultima fatica di Adilkhan Yerzhanov (salute!) e per una volta mi ritrovo con due Euro ideali in tasca, visto che il suo “Steppenwolf” è stato premiato come miglior film del festival, a ragione oserei dire, la manciata di denti usati per votare ha trovato riscontro anche nel resto del pubblico. Sì, perché al ToHorror si vota con i denti… Letteralmente!

Bello il Kazakistan, ma non ci vivrei.

Ma ora, a parte tutta la questione vincitori e vinti, in un programma che mai come quest’anno è stato pieno di titoli dal bello al molto bello bellissimo, “Steppenwolf” è stato il titolo senza elementi comici della trama migliore della rassegna, molto più banalmente, un film con dentro così tanta roba nelle mie corde che non poteva non piacermi, perché Hesse nella citazione d’apertura, l’ambientazione post-apocalittica anche e indubbiamente abbiamo anche dose abbondanti di Western, il tutto utilizzato molto bene con l’aggiunta di un sacco di altre robette in puro stile Bara Volante.

Anche la posa degli eroi e delle eroine della Bara.

Partiamo dalla faccenda Mad Max, quanti ci hanno provato a rifarsi a George Miller fallendo miseramente? Troppi, per Adilkhan Yerzhanov l’ambientazione riprende idealmente quella del capolavoro di Miller anche un po’ per tornaconto certo, ma dimostrando di averne fatto propria la lezione. Dai dialoghi non abbiamo riferimenti temporali, è chiaro che cinque anni prima degli eventi narrati le prigioni funzionavano ancora, quindi quello che troviamo davanti è un futuro in cui tutto è ormai andato, ma si trovano ancora munizioni e benzina, perché quello che vediamo sullo sfondo è un Kazakistan talmente devastato che per quello che ne so, potrebbe essere l’odierno Kazakistan, brullo, violento e popolato di personaggini che lèvati, ma lèvati proprio.

Diventa presto evidente che a Adilkhan Yerzhanov l’elemento post-apocalittico interessa il giusto, gli torna molto buono per evitare di dover gestire cavalli sul set e poter mettere in mano ai suoi personaggi degli AK-47 invece che dei fucili Winchester, perché di base “Steppenwolf” è proprio questo, un Western, è chiarissimo dall’inquadratura iniziale, quella che vede la sagoma della protagonista Tamara (Anna Starchenko) sulla soglia della porta in una citazione palese a “Sentieri selvaggi” (1956) di John Ford, ripetuta poi in chiusura prima dei titoli di coda, insomma, come elaborare bene tutti i riferimenti giusti.

«Brava, ora ci manca solo un chiodo e un quadro»

Questa volta non ci sono ragazze da cercare ma una madre, Tamara alla ricerca del figlio che da quanto ho vagamente intuito potrebbe chiamarsi qualcosa tipo Tinka, visto che ne bofonchia il nome ossessivamente per più di metà del film. Non è chiaro se la donna abbia avuto qualche tremendo trauma o una qualche forma di ritardo, mormora, si lanciai in strani gesti delle mani e malgrado la sua condizione semi autistica è fermamente intenzionata a ritrovare il figlio scomparso in una situazione in cui per sopravvivere, devi diventare un lupo della steppa, se non proprio una iena come il protagonista maschile.

Proprio qui “Steppenwolf” si gioca una carta notevole, il personaggio rigorosamente senza nome – come da tradizione Western – interpretato da Berik Aytzhanov entra in scena come se fosse il cattivo della storia, la lunga sequenza iniziale ci presenza quello che resta del corpo di polizia del Kazakistan, intento a tenere insieme un sistema che sta crollando con tutti i modi, non per forza leciti, tipo la tortura e l’utilizzo alternativo di ventilatori con le pale in metallo. Non si capisce se il personaggio di Berik Aytzhanov sia davvero un poliziotto, o semplicemente un consulente alle torture particolarmente zelante nel suo lavoro, occhiali da sole fuori contesto per gli schizzi di sangue compresi.

Un tranquillo mercoledì qualunque in Kazakistan.

Sappiamo solo che come Mad Max è uno particolarmente bravo a sopravvivere, che non si fa problemi ad ammazzare chiunque per restare vivo e arrivare al suo obbiettivo, che tangenzialmente coincide con quello di Tamara, visto che come scopriremo durante il viaggio di questi due particolari “cercatori” (per parafrasare ancora John Ford) bisogna trovare un tipo viscidissimo di nome Taha. Il nostro protagonista senza nome, sembra mosso prima dalla voglia di restare in vita, poi dai soldi poi da altro che capiremo in corso d’opera, di suo sembra un incrocio tra Negan di “The Walking Dead” e la versione kazaka di Jonathan “Two takes” Frakes, una merda d’uomo che ogni tanto improvvisa un balletto, quando non è impegnato a sparare alle spalle a chiunque per tornaconto. Se John Carpenter aveva già diretto un perfetto Western senza cavalli perché non aveva il budget per poterseli permettere, Adilkhan Yerzhanov ci regala sua interpretazione dell’anti-eroe Carpenteriano, che di eroico ha veramente ben poco.

Negan T. Ryker, detto Iena.

Quello che funziona di “Steppenwolf” è essenzialmente tutto, tutti i bei riferimenti che vi ho citato da mescolare insieme sono un gran casino, non solo Adilkhan Yerzhanov trova il modo di bilanciarli bene, ma anche di dar loro una sua interpretazione ancora più nera e disperata, ogni volta che il film potrebbe inciampare e cadere, trova sempre il modo di funzionare alla grande anche abbracciando scelte sulla carta sbagliate. Quando a viaggio molto inoltrato, il personaggio di Berik Aytzhanov si lancia in un monologo in terza persona che è chiaramente il passato del suo pistolero senza nome ho pensato, eccolo! Ora cade nel cliché del duro dal cuore d’oro, invece niente, Adilkhan Yerzhanov manda a segno anche questa e ci prepara per il gran finale.

Una lunga sequenza notturna fotografata (come tutto il film) alla grande che mi ha fatto pensare a quella di apertura di Non è un Paese per vecchi, scusate se è poco. Inoltre parliamoci chiaramente, Anna Starchenko e Berik Aytzhanov offrono due prove di recitazione incredibile, entrambi hanno per le mani due personaggi per cui scadere nell’interpretazione macchiettistica è realmente un attimo, tra il bofonchiare di una e gli atteggiamenti da bastardo dell’altro, il rischio di trasformare le colonne portanti della storia in due cliché semoventi è davvero altissimo, invece entrambe le prove sono comiche quando la trama (carica di umorismo nero) lo richiede, drammatici quando serve e intensi per tutto il resto del tempo.

E Sacha Baron Cohen… MUTO!

Sul serio, “Steppenwolf” aveva mille modi per fallire miseramente risultando pretenzioso, invece azzecca l’unico modo per far funzionare al meglio tutto, storia, personaggi, riferimenti, per altro, il modo più difficile in assoluto, quindi tanto di cappello a Adilkhan Yerzhanov, non riuscirò mai a pronunciare il suo nome ma ha sfornato il tipo di film così tanto in stile con la roba che piace a questa Bara, che non lo credevo possibile, altro che Borat!

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