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Street Fighter – Sfida finale (1994): Good Morning, Shadaloo!

1994, ho dieci anni o giù di lì, arrivo dalle mie belle ore passate a giocare a “Street Fighter II”, il picchiaduro che ha segnato una generazione, forse una generazione e mezza, mio padre però è di un’altra generazione. Gli va di sfiga per più di una ragione, la prima avere me come figlio, la seconda, l’unico cinema che passa “Street Fighter – Sfida finale”, Il FILMONE tratto dal videogioco dista da casa più o meno quanto Shadaloo, gli tocca accompagnarmi. Quindi per lui è stato più “Sfiga finale”.

102 minuti di ‘sta sono tosti per chiunque, pensate a mio padre che ha dovuto passarseli tutti con io che gli spiegavano roba utilissima, tipo perché Dhalsim, qui Dr. Dhalsim (si vede che ha studiato) ha le catene al collo e ai polsi, per evitare la sua caratteristica mossa di allungarsi, cosa che ovviamente nel film NON fa mai. Per qualche oscura ragione mio padre non mi strangola, avrebbe dovuto, anni dopo l’ho costretto a portarmi a vedere Spawn (storia vera).

Mio padre, quando ho finalmente preso la patente e potevo andare al cinema in autonomia.

“Street Fighter – Sfida finale” (ultima apparizione dell’inutile sottotitolo italiano su questa Bara) dovrebbe essere un caso di studio, ora viviamo nell’era in cui i film tratti da videogioco fanno tanti soldi, come ad esempio Super Mario, ma allora l’unico precedente era del 1993, ovvero quel clamoroso disastro al botteghino di beh… Super Mario. Ma la Capcom proprio non poteva tirarsi indietro, l’uscita del film era la pietra d’angolo sulla quale aveva basato la sua campagna militare per conquistare il Natale del 1994, il film doveva per forza uscire nel periodo più redditizio dell’anno, sostenuto da una linea di G.I.Joe ispirata ai personaggi di Street Fighter, perché anche la Hasbro non navigava in ottime acque. Insomma la Capcom di film non capiva nulla ma aveva il disperato bisogno di qualcuno che ci capisse, quindi si è rivolta ad un nome molto ma molto grosso, quello di Steven E. de Souza.

In un mondo ideale, sarebbe stata ValVerde.

Steven. E. De. Souza. Anzi andrebbe scritto così STEVEN E. DE SOUZA. Colui che nella stessa vita ha scritto tutti i film più grossi e fondamentali della storia dell’umanità, perdonatemi se sono stato un po’ riduttivo nel descrivere il suo lascito. Come regista al suo esordio invece cosa ha sfornato? “Street Fighter”. Debiti di gioco? Parenti rapiti e minacciati di tortura? Cosa ha spinto un gigante come lui a lanciarsi in questa operazione? Non esiste la formula matematica per il film perfetto, a volte non basta nemmeno la somma delle sue parti, anche se le parti sembrano tutti ottimi ingredienti, è capitato che produttori invadenti, registi con poca esperienza e set scapestrati abbiano prodotti titoli pacchiani ma di culto, ecco purtroppo “Street Fighter” di culto, intendo di culto per davvero, non lo è diventato mai, al massimo da oggi, possiamo dire che è diventato nei suoi trent’anni dalla sua uscita nelle sale un Bruttissimo di Rete Cassidy!

Mi sembra doveroso ricordare che gli intenti di questa non-rubrica sono sempre gli stessi: parlare di quei film che sono ciambelle riuscite senza il buco, ma con carattere da vendere, capaci di fare a loro modo la storia, non una celebrazione del brutto fine a sé stessa, ma un modo per ricordarci che anche una tragedia produttiva può contenere uno dei monologhi più galvanizzanti di sempre.

«Oh! Patti chiari amicizia lunga amici della Capcom, io il film ve lo scrivo e ve lo dirigo per Natale, ma devono esserci al massimo sette combattenti presi dal videogioco, non uno di più!», queste più o meno devono essere state le ultime parole (famose) di de Souza, cadute drammaticamente nel vuoto, perché in un attimo la Capcom è passata dai sette personaggi dell’accordo iniziale ad inserirne sedici, ve lo ripeto, sedici, più del doppio.

YOU WIN! (stike a Street Fighter pose)

La Capcom arrivò a pretendere di avere anche un tale di nome Sawada, impersonato dal facente funzione di Bruce Lee di turno Kenya Sawada, il tutto perché nel suo piano di conquista del Natale la Capcom aveva già pronto un videogioco con i personaggi ispirati al cast, vista la poca esperienza come regista di de Souza la faccenda è scappata di mano, disperato e non sapendo più dove stipare personaggi, per il prediletto della Capcom si è inventato un generico Capitano Sawada, poco più che una comparsa.

La Capcom ci teneva tanto a fare di lui il vostro combattente preferito.

Eppure “Street Fighter” ha alle sue spalle almeno un piano, più struttura e svolte di tanti altri titoli più blasonati, è brutto, lo era trent’anni fa e il tempo non è stato buono con lui, ma considerato tutti quei personaggi ammonticchiati insieme, per lo meno ha un ritmo indiavolato, l’unico che puoi abbracciare quando hai mille mila personaggi da introdurre e dovresti anche portare avanti uno straccio di storia che nei piani originali, abdicava il classico e banale torneo, che sarebbe stata la soluzione più facile considerando il materiale di partenza. Nella testa del suo autore, il film avrebbe dovuto essere una sorta di I 3 dell’Operazione drago con più attenzione alla parte Bondiana virata verso il pubblico di riferimento (i piccoli Cassidy dell’anno 1994), solo che di colpo i suoi tre sono diventati sedici, e le complicazioni erano appena cominciate per de Souza.

Wes Studi fuori posto, resta comunque più tosto e stiloso di chiunque.

Altro paletto della Capcom, in un cast di attori Yankee o comunque almeno americani di seconda generazione (anche se di vero americano nel cast qui ne abbiamo solo uno, lo spaesato e fuori cast Wes Studi nei panni di Sagat), l’americanissimo Colonnello William F. Guile dovrà essere interpretato dal pesantissimo accento belga di Jean-Claude Van Damme nel suo ruolo più pop, quello dove non fa spaccate, ma almeno sfoggia alcuni momenti comici, davanti alla macchina da presa, perché su cosa combinava dietro, sul set, ne parleremo più avanti, lasciatemi l’icona aperta.

La bandiera del Belgio non avrebbe fatto lo stesso effetto.

Ora, pregate per il vostro amichevole Cassidy di quartiere, perché se per de Souza è stata una Cambogia (o una Shadaloo?) io ora tutto questo enorme casino dovrò provare a riassumerlo, mi lancio! In “Street Fighter” abbiamo nativi americani che interpretano Thailandesi, abbiamo una pop star australiana bellissima e alta un metro come Kylie Minogue che interpreta il Luogotenente Cammy White con i pantaloni, quindi privandoci dell’unico elemento che tutti ricordano di Cammy. Abbiamo l’eterna Ming-Na Wen, colei che non invecchia mai, per lo meno sensata nei panni di Chun-Li Zang, la giornalista/ninja/guerriera che è da sola tre personaggi in uno.

Questa è la faccia da «Che cavolo stai dicendo Willis?»

Il pugile Balrog (Grand L. Bush) e il campione di sumo Edmond Honda che nel frattempo è diventato Hawaiano (Peter Navy Tuiasosopo) vengono spostati in ala come parte della troupe di giornalisti di Chun-Li Zang, il che fa pensare che più che un curriculum, in quell’emittente televisiva selezionino il personale usando un sacco da boxe. Thunder Hawk (Gregg Rainwater) viene spostato tra le fila dei caschi blu delle Nazioni Unite, ad un certo punto sfoggia i suoi simboli da nativo americano così, tanto per, se fosse stato calabrese nel videogioco forse de Souza gli avrebbe fatto lanciare del peperoncino, in compenso, i vari personaggi vengono divisi tra le due fazioni, i “Blu” di Guile si prendono il già citato Sawada e fanno di Charlie Carlos Blanka un caso di studio.

Il povero Robert Mammone dovrebbe essere l’amico da salvare, la motivazione del protagonista Guile, diventa il principale esperimento del folle Bison e l’attore, si ritrova costretto a recitare pittato di verde e con un’orrida parrucca in testa, roba che lo rende immediatamente la versione acquistata su Wish dell’Hulk di Lou Ferrigno, un personaggio che sulla carta sarebbe drammaticissimo (quando Guile tira fuori la pistola per “aiutarlo”, vogliamo parlarle?) ma che conciato in quel modo non è credibile come mostro nemmeno per sbaglio.

Un programma sugli errori della chirurgia estetica e passa tutto.

Tra le fila dei “rossi” di Bison invece abbiamo Dee Jay (spalla comica che non mena Miguel A. Núñez Jr.) e l’ottimo Zangief di Andrew Bryniarski (altra spalla comica, che però per lo meno un po’ mena), nel mezzo, i gemelli diversi Ken Masters (Damian Chapa) e Ryu Hoshi (Byron Mann) che infiltrati, passano da “Blu” a “Rossi” per esigenze narrative e in tutto questo, l’unico vero combattente in una gabbia a fare i tornei di lotta è Vega (Jay Tavare), quindi l’unico Street Fighter.

Fiuuu! Ho dimenticato qualcuno? Di sicuro visto che sono un milione, e poi lasciatemi stendere un velo pietoso sul Dr. Dhalsim, ho già ammorbato fin troppo mio padre con questo personaggio. Passiamo ai pesi massimi.

Ma la Gif su Zangief si chiama Zangif?

Immaginatevi de Souza, che digerisce l’idea dell’accento Belga di JCVD pensando, «Beh, per lo meno uno che sa menare in un film d’azione, ce l’ho», dall’altra, per il ruolo del cattivissimo Generale Bison, viene scelto Raúl Juliá, che aveva già ampiamente dimostrato di essere, non solo un grandissimo attore, ma anche di saper maneggiare alla grande i ruoli Pop, problema: Van Damme si presenta sul set all’apice della sua dipendenza da cocaina, ad ogni piè sospinto scompariva dal set per andare a fare festaccia e a ballare il mambo degli orsi con Kylie Minogue, con cui aveva intrecciato una relazione delle molle da materasso tipo, chiamalo scemo eh? Però avete presente i mal di testa per il povero de Souza, che in ogni caso aveva un problema ancora più grosso e serio da gestire, dannatamente serio.

Can’t get you out of my rocket (quasi-cit.)

Raúl Juliá sul set arriva come un uomo che da tre anni stava lottando con il cancro allo stomaco che gli era stato diagnosticato nel 1991, il mantello, il cappello vistoso e le spalline tipo protezioni da giocatore di Football per farlo sembrare più grosso non nascondono un viso scavato dalla malattia, questo non solo costringe a cambiare tutti i piani di lavorazione, cancellando i tanti corpo a corpo di Bison previsti, puntando tutto sull’univo combattimento finale, tutto sommato più fantascientifico che altro. Le condizioni di Juliá costringono anche gli stuntmen ad inventarsi giorno per giorno le sequenza di lotta, letteralmente con chi si era presentato al lavoro quel giorno. Va detto che de Souza a cui l’intelligenza e una battutaccia non sono mancate mai, ha ben riassunto così: «Passavo le giornate ad assicurarmi che Raúl Juliá prendesse le medicine e che Van Damme non le prendesse.»

A questo aggiungiamoci i piani bellicosi di de Souza, che avendo rinunciato all’idea del torneo, ambienta il film non nella sua solita ValVerde (non glielo avranno concesso, ma sarebbe stato bellissimo!) ma nell’immaginaria Shadaloo, e se ve lo state chiedendo, quella voce alla radio che ulula «Good Morning, Shadaloooooooo!» facendo l’imitazione di Robin Williams in “Good Morning, Vietnam” (1987) è il vero Adrian Cronauer, ovvero il DJ impersonato da Williams nel celebre film (storia vera).

«Hadouken!», «A soreta!»

Ma la fissa di de Souza per la costruzione di un mondo dettagliato per fare da sfondo alla storia non si ferma qui, nella sua testa l’autore voleva che in un film che è già una discreta Babele di popoli, tutti parlassero Esperanto, la lingua ufficiale di Shadaloo, dettaglio che si nota dai cartelli stradali, scritti proprio nella lingua sviluppata da Ludwik Lejzer Zamenhof. Basta così? Macchè! Non capendoci nulla di film, alla Capcom è venuta leggermente la strizza quando hanno letto nel copione che metà dei personaggi erano in forze alle Nazioni Unite, non è che ci faranno poi causa? Vano il tentativo di de Souza di spiegare loro che FBI e CIA non vengono contattate ogni volta che qualcuno le utilizza in un film, il nostro si è visto costretto ad assecondare i finanziatori e trasformare l’esercito in qualcosa che sta a metà tra i caschi blu e i G.I.Joe, ovvero le Nazioni Alleate, facendo ridipingere la scritta su tutti gli elmetti usati come costumi di scena (storia vera).

Real American Hero, G.I.Joe (se l’avete letta cantando, siete tra i giusti)

Quasi un miracolo che non solo il film sia arrivato a fine produzione, ma che sia costato solo trentacinque milioni di fogli verdi senza facce di Bison stampate sopra, malgrado l’espediente narrativo più pigro del mondo (il servizio giornalistico iniziale) per aggiornare gli spettatori della situazione, e i quarantadue personaggi gettati nella mischia nei primi dieci minuti di film, “Street Fighter” riesce nell’impresa di deluderti immediatamente come spettatore, e poi di coccolarti con la sua giocosa idiozia per tutto il resto del tempo.

Vedere Van Damme che fa irruzione con un carro armato un minuto prima, qualche aspettativa te la crea, ma poi nella sua sfida diretta (nel senso di, in diretta tv) a Bison cosa fa? Potrebbe seppellirlo con una delle “Frasi maschie” che a de Souza scorrevano naturali invece? Il gesto dell’ombrello come se fosse Alberto Sordi. FACCIAPALMO!

Il medico per la vostra visita oculistica annuale qui alla Bara.

Anche perché poi nel corso del film, le frasi ad effetto, anche incredibilmente sceme ma memorabili non mancano, come ad esempio «Finirai per disidratarti» dopo l’ennesimo sputo in faccia di Chun-Li, oppure la tamarissima «Siamo dell’ufficio riscossioni Bison, il tuo culo è scaduto da sei mesi, devi pagare», tutta roba che ci ricorda che sommerso da troppi personaggi, questa fiera di cosplayer di “Street Fighter” sarebbe comunque un film di de Souza, giocoso quanto volete ma con del DNA buono, un esempio? Guile che stando al suo ruolo, rimette in riga Chun-Li dicendole «Questa guerra non è per la sua vendetta personale…», ma poi esce di scena e non sentito da nessuno, pensa all’amico Blanka e completa la frase «… è per la mia». Esiste un universo parallelo dove Steven E. de Souza ha avuto carta bianca per girare il suo film è quello “Street Fighter” è un culto, uno vero.

Lassù, tra i grandi monologhi che nessuno (tranne questa Bara) cita mai.

Ma noi viviamo nella realtà dove al massimo è uno (S)cult per pochi pazzi come me, perché con le musiche convintissime di Graeme Revell, alla fine questo film è una lunga puntata di G.I.Joe sotto effetto di sostanze e quando un giorno su questa Bara vedrete spuntare il post che preparo da anni, quello suoi migliori monologhi motivazionali della storia del cinema, che però non siano sempre quelli citati sempre, allora vedrete anche spuntare il satirico e incazzato monologo del Colonnello Guile, facente funzione di Duke di turno, che se ne esce con il suo: Bison verrà premiato per i suoi crimini, ma noi possiamo tornare a casa, ideali come la pace la giustizia vengono calpestati, ma noi, possiamo tornare a casa. Ecco qui lo dico e qui non lo nego, il suo beh io a casa non ci torno, nel corso degli anni l’ho visto e rivisto (gasandomi ogni volta) più del necessario ed è il motivo per cui penso che questo Bruttissimo sia un film assolutamente criticabile, ma impossibile da odiare, non con un Raúl Juliá che lancia il cuore oltre l’ostacolo in quel modo. Porzione di post tutta per lui in arrivo sul binario quattro!

Prendere sotto braccio tutti e dimostrare come si fa: Raúl Juliá.

Recitare come se fosse l’ultima occasione per farlo, anche se il film è poca cosa, anche se il ruolo è al limite del risibile, Raúl Juliá tira fuori da Bison tutto l’umorismo di uno che invoca la “Pax Bisonica” e fa stampare Bisondollari con la sua faccia, e anche quando la trama gli chiede di svolazzare lanciando fulmini dalle mani, lui recita come un uomo in missione, Bison? Enrico V? Stessa cosa, ci vuole un grande attore per giocarsi quella «Beheld Satan as he fell from Heaven like lightning!» recitata con quella convinzione in un film come questo, doveroso che poi la dedica prima dei titoli di coda sia tutta per lui, quel “For Raul. Vaia con Dios” è un dovere morale, il fatto che ci sia una scena dopo i titoli di coda, che ruota attorno ad un possibile ritorno di Bison beh, riassume non solo la mancanza di delicatezza, ma tutto il cortocircuito di trovate giuste e sbagliate che convivono tutte insieme all’interno di “Street Fighter”.

Improvvisamente sappiamo tutti leggere il labiale, grazie Raúl, ci manchi un sacco.

Fiuu! Erano anni che sognavo di scrivere qualcosa su questo film, il suo compleanno era l’occasione migliore in assoluto, anche se questa volta Steven E. de Souza mi ha fatto sudare sono sempre felice di riportarlo su questa Bara, ed ora scusatemi, vado a lanciare indietro una granata afferrata con i denti contro i soldati di Bison. Good Morning, Shadaloooooo!

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