Prima del gran finale di questa rubrica a tema, mi sembrava giusto fare un’ultima deviazione, un capitolo speciale non si nega mai, benvenute e benvenuti a quello di… Coen, storia vera!
I due fratellini del Minnesota hanno una porzione della loro filmografia che li vede attivi solo come sceneggiatori, nel corso della rubrica abbiamo trattato tutti questi film in maniera più o meno approfondita, come Unbroken o Il ponte delle spie, mentre titoli tipo Lo spezzaossa e “Gambit” (2012) si meritavano giusto i capoversi che ho loro dedicato, ma tanto avrete già letto tutto, inutile annoiarvi con una replica.
Un discorso diverso se lo merita invece “Suburbicon” per due ragioni, la prima, banalissima, non lo avevo mai visto, era nella mia lunga lista di cosette da vedere quindi questa era l’occasione migliore per farlo. Seconda ragione? Il primo copione di questo film era pronto fin dal 1986, avrebbe dovuto essere la seconda regia dei Coen dopo Blood Simple, se non fosse per la loro abitudine di lasciare “sedimentare” le sceneggiature per riprenderle più avanti, in questo caso mooooolto più avanti.
“Suburbicon” è stato presentato in concorso alla 74esima edizione del festival del cinema di Venezia, fino qui, tutto come da tradizione per un film con Clooney di mezzo, se non fosse che in questo caso il buon George risultava impegnato solo dietro alla macchina da presa, anche perché l’attività come regista dell’uomo della caffeina è interessante, forse un po’ sottovalutata visto che i suoi ultimi film, diciamo proprio quelli dopo “Suburbicon” in poi, non sono stati proprio tutti pesche e crema, ma quelli antecedenti avevano tutti un certo sguardo, anche critico, alla società americana a cui questo copione dei Coen ben si adattava.
Con un cast che è il perfetto incrocio tra i soliti compari di Clooney e i nomi che avevano già lavorato con i Coen, sto pensando ad esempio a Matt Damon, il film potrebbe sembrare il classico progetto per cui un attore fino a ieri feticcio, si fa dare una spintarella dal suo – in questo caso dai suoi – registi di riferimento per esordire, se non fosse che, escludendo il corto su Scorsese che mangia un biscotto (storia vera), questo film è la sesta regia di Clooney che infatti ha delle cosette da dire, perché “Suburbicon” non è solo l’ex idiota della trilogia (in quattro parti) dei Coen che si mette in proprio, ma si porta dentro la sensibilità e i temi di tutti i nomi coinvolti.
In un 1959 che ricorda molto “Happy Days”, nella tipica cittadina modello degli Stati Uniti, l’immaginaria Suburbicon ma identica a dove sono cresciuti anche i Coen, si trasferisce la prima famiglia di colore, scatenando l’ira nemmeno velata dei locali, pronti a sottoscrivere una petizione che sembra più che altro una richiesta di intervento da parte della locale sede del KKK.
Nel frattempo, Rose (Julianne Moore) la moglie di Gardner Lodge (Meeeeeit Deeeeeiiimon! cit.) viene brutalmente assassinata e mentre la comunità punta immediatamente il dito contro i nuovi arrivati, colpevoli di essere del colore di pelle non idoneo, la verità si rivelerà essere diversa: i conti di Gardner sono da tempo in rosso, in combutta con la cognata Margaret, sorella gemella di Rose infatti impersonata anche lei da Julianne Moore, hanno architettato di far assassinare la moglie da due scagnozzi assoldati dalla mafia locale, in modo da poter sfruttare la polizza assicurativa della donna e fuggire insieme ad Aruba, protettorato olandese dove non vige la doppia estradizione, in modo da poter continuare la loro vita e la loro tresca fatta di uso alternativo delle racchette da ping-pong, tra le altre cose. Ora io ve lo dico, riuscite a pensare ad una trama che urli più «FRATELLI COEEEEEEN!» di così?
A livello di trama, “Suburbicon” soffre un po’ della dinamica tipica dell’acqua con olio, seppur molto coeniana già di sua, la sotto trama della famiglia di colore arrivata in città è un’aggiunta di Clooney, e se avete in testa la sua filmografia da regista, non dovrebbe sembrarvi qualcosa di particolarmente strano, anzi. Va detto poi però che gli scagnozzi inquietanti, il soggetto del marito calcolatore che poi i Coen avrebbero sviluppato di più e meglio in Fargo invece, non solo risultano essere la porzione di storia voluta dai due fratelli, ma anche quella più appassionante.
Infatti è quella dove il sangue (facile) non manca, dove i due sgherri, che di fatto sono un’altra coppia di criminali (più pazzi del mondo) tengono banco e dove, come sempre, il Caos e suo fratello il Caso, elemento chiave nelle storie dei Coen, tiene manco anche qui. Posso dirlo? Immagino di sì perché se mi state leggendo immagino sia perché vogliate sapere il mio punto di vista: se “Gambit” (2012) era frustrante perché aveva tutto per essere il classico film dei Coen, ma gli mancava un regista in grado di dare alla storia quel passo che i fratellini dei Minnesota hanno sempre impresso ai loro film, “Suburbicon” per fortuna ha Clooney che fa un buon lavoro.
Basta guardare alcune soluzione visive, che strizzano volutamente l’occhio ai classici Thriller degli anni ’50 o anche prima, a proposito di pretoriani dei Coen in forza a Clooney, l’entrata in scena dell’investigatore Bud Cooper, impersonato da Oscar Isaac, è l’elemento anticipatore, se non proprio la personificazione del fatto che come spettatori, abbiamo più informazioni di molti dei personaggi, siamo allo stesso livello della coppia di cospirazionisti assassini, quindi quando l’investigatore spiega per filo e per segno come sono andati i fatti, giocando al gatto con il topo con i personaggio, come pubblico sappiamo che l’agente non solo è sulla strada giusta, ma ha già risolto il caso, fino al momento in cui il tocco tipico dei Coen non interviene, sotto forma di una soluzione che ricorda un po’ troppo “La fiamma del peccato” di Billy Wilder per essere solo un caso e non frutto dell’ottimo buongusto cinematografico dei due fratellini.
Forse la parte in cui il film si lascia un po’ andare è nel finale, quello dove la sottotrama della nuova famiglia appena arrivata nella cittadina torna a prendersi il palcoscenico, per mandare in scena la satirica conclusione, farina del sacco di Clooney che comunque fa di “Suburbicon” un buon film, forse non memorabile perché con dentro, tante trame e situazioni già consolidate, infatti stupisce più che altro per la data della prima bozza, quel 1986 in cui i Coen, con alle spalle un solo film da registi, avevano già chiare in testa molte delle traiettorie che avrebbero seguito più avanti nella loro carriera.
Visto così nel 2017, anzi per me più tardi, nel 2025, “Suburbicon” è uno dei pochi casi di trama coeniana messa in mano a qualcuno che ha saputo davvero cavarne beh, il sangue (occhiolino-occhiolino), va anche detto che dopo svariate stagioni della serie tv Fargo, questo film sembra quello che Noah Hawley avrebbe voluto dirigere o per lo meno, che ha provato a replicare sul piccolo schermo, partendo proprio dalla lezione dei fratelli del Minnesota.
Ora, calendario alla mano ci aspettano un po’ di ponti e giorni di festa, quindi ho intenzione di adattare il palinsesto della Bara perché tanto sarete tutti impegnati tra pasqua, grigliate e feste varie, quindi il prossimo capitolo della rubrica, l’ultimo, arriverà a stretto giro il primo venerdì utile non (troppo) festivo, non mancate!
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