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Sully (2016): schiena dritta, testa alta (e tavolino in posizione verticale)

Se vivete su questo gnocco minerale che ruota intorno al Sole, in linea di massima dovreste aver sentito parlare di Clint Eastwood. Avanti veloce su tutto questo nome comporta per la storia del cinema, potreste anche aver sentito le sue affermazioni su Donald Trump che hanno reso il vecchio Clint l’unico famoso di Hollywood che ha detto qualcosa a favore dell’45esimo presidente degli Stati Uniti.

Mi fa sempre ridere il fatto che le persone si dimentichino che Eastwood è repubblicano, per i suoi innegabili meriti e per un carisma fuori ordinanza, Eastwood è il favorito di tutti, anzi di più è il mito dei vostri miti, persino Bruce Springsteen cambia espressione quando parla di lui, il che è davvero tutto detto.

Più che con altri personaggi, sembra che in politica e cinema per Eastwood debbano sempre essere i due grandi temi che ruotano intorno a lui, fin dai tempi in cui la stampa di sinistra gli demoliva film sottovalutati come “Bronco Billy” etichettandoli come dei trionfi di patriottismo (bah!), fino ad arrivare alle affermazioni su Trump che, ci tengo a sottolinearlo, non condivido perché sembravano tanto gli sproloqui di un vecchio brontolone pronto a dire “Ai miei tempi si stava meglio anche se si stava peggio!”.

«Cos’è tutta questa roba moderna? Ai miei tempi bastava un revolver»

La memoria delle persona va di pari passo con la qualità dei film sfornati da Eastwood, quindi finchè arrivano film bellissimi come “Mystic River”, “Million Dollar Baby” e “Lettere da Iwo Jima” (ci metto dentro anche “Changeling” che mi è piaciuto molto), erano tutti sul carro dei vincitori pronti ad etichettare Eastwood come il grande vecchio del cinema americano, l’unico con il vissuto giusto per parlare di luci ed ombre del più grande Paese del mondo (come si sono auto nominati), ma soprattutto la mia affermazione preferita, “Un Repubblicano illuminato”, cos’è un repubblicano illuminato? Uno di destra seduto sotto un neon?

Più facile criticare Eastwood quando fa discorsi a sedie vuote (il vecchio brontolone, secondo estratto) e dirige cose decisamente meno memorabili come “Hereafter” e “Jersey Boys” e, magari, cito anche American Sniper, perché è, comunque, un film che ha diviso molto, sulla qualità forse più che sul contenuto.

Per quanto mi riguarda sulla questione ho una posizione molto chiara: il cinema mi piace più della politica e non giudico i film in base all’orientamento politico del regista. Se facessimo tutti così dovremmo vedere solo film di Ėjzenštejn o di John Milius in base alle preferenze, cosa di cui me ne sbatto visto che mi piacciono entrambi. Per me Clint Eastwood è la storia del cinema, non lo dico per fare quello che piscia più lontano, ma amavo i suoi film da regista prima che diventasse di moda farlo, alcuni dei suoi film che preferisco sono arrivati prima del grande sdoganamento di Mystic River.

«Avremmo un po’ di turbolenza dovuta a qualche corrente politica»

Infatti, sono molto contento del fatto che “Sully” sia un bel film, perché sono sempre felice di vedere un bel film di Clint Eastwood (e un bel film in generale), ma soprattutto, perché ora mi siedo qui, pronto a godermi il rumore di pneumatici sull’asfalto, per le clamorose inversioni ad “U” in cui si esibiranno tutti quelli che hanno detto peste e corna al vecchio Clint, dopo che avranno visto questo film.

Presentato in anteprima al 34esimo Torino Film Festival (piccoli vantaggi della vita quassù), “Sully” è la storia di Chesley ‘Sully’ Sullenberger, il pilota di aerei che malgrado i due motori fuori uso, ha portato in salvo i 155 passeggeri (lui compreso) del volo US Airways 1549, eseguendo un complicato ammaraggio nel fiume Hudson il 15 gennaio 2009, probabilmente ricorderete anche voi l’impresa.

«…L’atterraggio avverrà in orario, il clima fuori è freddo e parecchio umido»

“Sully” è un film dritto e lineare, che nelle mani di Eastwood diventa ancora più solido, visto che qui Clint non fa davvero nessuna sbavatura in fase di regia e, se possibile, il suo cinema essenziale fatto di pochissimi Ciak (che tanto sfiancano solo gli attori togliendo spontaneità) sembra fatto dal sarto per portare sul grande schermo questo storia.

Eastwood non si gioca subito il principale motivo d’interesse di un film come questo (ovvero la manovra aerea del protagonista), ma parte forte mostrandoci il dopo, gli incubi notturni di Sully e il modo in cui affronta una fama che non ha richiesto e a cui di sicuro non è interessato. L’occasione per mostrarci cosa è accaduto a bordo arriva con l’indagine messa su dalla compagnia aerea sui motivi della non canonica scelta fatta da Sully, anche perché l’opzione ammaraggio è solo la quindicesima del manuale fornito ai piloti, ma con l’assicurazione di mezzo non si scherza.

«Mantenete la calma e procedete ordinati, non sono Schettino»

Quindi, del breve volo e dell’ormai celebre ammarraggio del US Airways 1549, vediamo tutti i punti di vista, quello della torre di controllo, quel dei due piloti (il secondo è un baffuto Aaron Eckhart), ma, soprattutto, le venti e passa simulazioni al computer che dichiarano che tornare indietro e atterrare su una pista dell’aeroporto La Guardia era possibile e che il nostro Sully non è tutto questo eroe di cui la stampa parla.

Come detto, la regia di Eastwood non sbaglia un colpo, anche la ricostruzione del salvataggio dei 155 passeggeri è davvero ben fatta e coinvolgente, certo guardare come si comporta il Sully interpretato da Tom Hanks, avendo in testa Schettino ci ricorda che, a volte, quella grande pozzanghera chiamata Atlantico che ci separa dagli Americani è davvero tanto, ma tanto grande.

Tom Hanks anche lui sembra fatto dal sarto per questo ruolo, sembra strano che due icone del cinema americano come Eastwood ed Hanks ci abbiano messo così tanto per collaborare. Tommaso Matasse riesce a risultare rassicurante, ma non nel solito modo alla Tom Hanks, il suo Sully in pubblico ha la sicurezza dei professionisti, di quelli che fanno e quindi sanno come funzionano le cose che solo 42 anni passati a pilotare possono darti (i due flashback non invasivi sottolineano il concetto), ma in privato Sully confessa i suoi dubbi alla moglie Lory (Laura Linney) e poi… Corre. Corre come tutti i personaggi di Clint Eastwood.

Non voglio sentire nessuno urlare “Corri Forrest, corri!” dai, fate i bravi.

Quante volte avete visto l’ispettore Callaghan allenarsi mentre pensa al caso da risolvere? Qui è la stessa cosa, mi viene quasi da pensare che se Clint avesse avuto qualche anno in meno, forse questo personaggio lo avrebbe anche interpretato e questo avvicina ulteriormente “Sully” ai film di Eastwood di quella porzione della sua filmografia antecedente a Mystic River, a ben pensarci avrebbe davvero potuto farlo, in fondo ha accumulato tutte le ore di volo necessario fin dai tempi di Firefox – Volpe di fuoco

«… E poi una delle hostess aveva due bocce così»

Il film è perfettamente coerente con tutta la filmografia Eastwoodiana, ancora mi ricordo quando fu annunciato “The human factor”, che altro non era la prima idea di titolo per il film che ora conosciamo tutti come “Invictus” (con inutile sottotitolo italiano mai così inutile), anche qui il “Fattore umano” è essenziale, quello che fa davvero la differenza e che un computer non può calcolare, in un film in cui manca un vero nemico (gli uccelli che mandano in palla i motori non contano, non è un film di Hitchcock), gli unici antagonisti sono i burocrati che vivono di numeri e calcoli, l’intuizione di Eastwood (o del direttore del casting) è di prendere Anna Gunn ad interpretare uno di questi, perfetta visto che mezzo mondo la odiata nei panni di Skyle in “Breaking Bad”. Per altro, siccome ho sempre digerito poco la burocrazia e mai come in questo periodo la vedo come fumo negli occhi, un film di questo tipo mi trova anche ben disposto. Giusto per aggiungere una nota personale.

Sullenberger fiero di essere impersonato dal grande attore di Philadelphia Turner e il casinaro.

C’è il rischio dell’agiografia? Forse un pelo, perché “Sully” termina quando potrebbe andare avanti e diventare ancora più controverso, perché ai tempi ho seguito la vicenda del pilota eroe e del polverone venuto su dalle sue affermazioni durante i vari (ed inevitabili) processi che sono seguiti. Chesley Sullenberger ha sottolineato come molti piloti dovessero fare i doppi turni per ripagarsi i debiti degli studi universitari e della scuola di specializzazione per piloti, ai tempi, una volta aperto il vaso di Pandora, molti di quelli che etichettavano Sully come un eroe, non erano più tanto felici di sentire cosa aveva da dire.
Di tutte queste cose il film, però, non si occupa e a suo modo è un’altra tacca alla cintura del suo regista, perché “Sully” non è un soggetto scelto per fare pace con l’altra metà del pubblico che ha votato Clinton, ma solo perché è un tipo di storia perfetta per il cinema di Clint Eastwood e il risultato, infatti, è davvero ottimo: un film che va avanti schiena dritta e testa alta come il suo protagonista.

Per concludere, posso dire che proprio riguardo alle affermazioni di Eastwood su Trump, la mia wing-woman mi ha chiesto come facevo a conciliare le mie idee politiche con il culto per il vecchio Clint, non ricordo cosa ho risposto, probabilmente qualcosa di circostanza, ma non ho smesso di pensare alla domanda, sono giunto alla conclusione che l’ex sindaco di Carmel ed io politicamente parlando non saremmo mai d’accordo (specialmente su Trump), per fortuna quando si parla di cinema è tutta un’altra faccenda.

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