Home » Recensioni » Supernova (2000): nello spazio nessuno può sentirti imprecare

Supernova (2000): nello spazio nessuno può sentirti imprecare

Ci sono film che nascono sotto una cattiva stella, ma cosa succede se quella cattiva stella è una supernova? Si parla di questo nel nuovo capitolo della rubrica… King of the Hill Lee Hill!

Ancora vivo, oltre ad essere il disastro al botteghino che affossa per sempre la carriera di Walter Hill, devono anche essere state le parole che il nostro Gualtiero ha pronunciato, quando si è reso conto di essere sopravvissuto agli anni ’90, un decennio che non è stato tenero con nessuno dei grandi Maestri del cinema, ma Hill è stato quello che ha preso più pugni di tutti.

Da vero duro, però, Gualtiero non si dà per vinto, stiamo sempre parlando del “padrino” della saga di Alien e l’idea di dirigere un film di fantascienza girava nel suo testone da tempo, l’ideale per prendere le distanze dagli Xenomorfi che hanno fatto la gloria di altri registi – coff COFF Ridley Scott(o) COFF coff! – ma non la sua, ed anche per lasciarsi alle spalle i disastrosi anni ’90. Come accade spesso in questi casi, quando piove, grandina.

Ora, se pensate che i quaranta minuti perduti del girato di Punto di non ritorno, facessero del film di Paul W. S. Anderson una produzione disgraziata, è soltanto perché non avete mai sentito parlare di “Supernova” prima d’ora.

Thomas Lee? Ma non è il giorno della rubrica su Walter Hill oggi!?

Il piccolo sassolino comincia a rotolare quando il regista William Malone si mette in testa di fare una specie di “Ore 10: calma piatta” (1989) ambientato nello spazio e si lascia affascinare dai dipinti di H.R. Giger pensando di trasformare tutto in una specie di “Hellraiser nello spazio profondo”, per la MGM che detiene i diritti, tutto fin troppo simile a Punto di non ritorno, non vogliamo mica ripetere gli errori di quel film veeeeero? Ecco, appunto, le ultime parole famose.

Il sasso rotolando porta giù con sé altri sassetti, quando la MGM assolda una sfilza di sceneggiatori per modificare la storia (David Wilson, Daniel Chuba, Cathy Rabin e Thomas Wheeler) che trasformano l’astronave al centro della storia in una in una nave di soccorso, una specie di enorme ambulanza spaziale destinata a scontarsi con un buco nero e una Supernova. Il tutto mentre la regia passa nella mani dell’australiano Geoffrey Wright che, però, esce di scena più velocemente dell’attore Vincent D’Onofrio sostituito per via delle solite “discrepanze creative” in favore di James Spader che, probabilmente, passava di lì per caso.

Il capoccia della MGM Frank Mancuso vorrebbe affidare tutto al regista di The Hidden, Jack Sholder, ma non è troppo convinto, non aiuta il fatto che James Spader vada in giro per il set ripetendo a tutti: «W-A-L-T-E-R H-I-L-L! Datevi una “W”, datemi una “A”…». La volontà del nostro Gualtiero di dirigere un film di fantascienza tutto suo, mista alla stima per Spader fa il resto, Walter Hill diventa il regista e qui il ruzzolare dei sassi comincia a diventare quasi una slavina.

Tecnologia avanzatissima, ma per farsi luce si usa sempre la torcia elettrica.

Sì, perché il nostro Gualtiero appena arrivato fa quello che fa quasi ogni volta che inizia a lavorare su un soggetto non scritto da lui: rimette mano alla sceneggiatura per sistemarla. Ora, in un mondo almeno somigliante a quello normale, se un talento come Hill mette le mani sotto il cofano della storia su cui stai puntando un sacco di soldi, come produttore dovresti essere ben felice, ma Frank Mancuso era tutto tranne che felice. Sì, perché pare che ci tenesse particolarmente alla sua sceneggiatura scritta da due, quattro, sei, otto mani, e per lui Hill avrebbe dovuto limitarsi a dirigerla e basta, la slavina s’ingrossa e inizia a portare giù con sé tutto quello che incontra.

Con lo sciopero degli sceneggiatori in programma per l’aprile del 1998, la MGM ha una fifa nera di aver bisogno di qualche riscrittura proprio in quel periodo, David Wilson arriva ad affermare che l’idea di Walter Hill per il film era molto più oscura e interessante, ma non si trova una mediazione tra le parti, anzi meglio iniziare a girare il prima possibile.

L’occhio lungo per la signore di Walter Hill presenta: Robin Tunney.

In questo bel clima rilassato, la MGM con il culo veramente strettissimo, dimezza il budget a disposizione del film, la realizzazione degli effetti speciali digitali viene affidata al primo studio specializzato pronto a garantire un costo bassissimo. La scena di sesso a gravità zero tra l’attrice Robin Tunney e Peter Facinelli già girata da Walter Hill viene tagliata, perché cancellare i sedili e le imbragature che sorreggevano gli attori costa troppo, in compenso, il robot all’avanguardia che l’equipaggio avrebbe dovuto pilotare a distanza usando dei guanti, viene sostituito da un attore con addosso un costume da androide, ma la goccia che fa traboccare il vaso, è quella dell’enorme bolla d’acqua, in cui James Spader avrebbe dovuto nuotare per salvare uno degli altri personaggi, il tutto a gravità zero. A quel punto Walter Hill la prende bene, come abbia fatto a non mettere mano ad un revolver avanzato da qualche suo film western, proprio non lo so.

«Volevi un robot Walter, guarda che bel robot ti abbiamo portato, lo chiamiamo bello sguardo»

Gualtiero spende ventiquattro settimana in sala di montaggio per completare il film, in attesa che qualcuno gli appiccichi sopra uno straccio di effetti speciali che servano a dare un senso al lavoro fatto con gli attori, a questo punto l’MGM cala l’asso: “Organizziamo un visione di prova con il girato completo e valutiamo le reazioni del pubblico”.

Ora, non esistono informazioni in merito alla reazione di Walter Hill, solo cronache della sua furia tramandate come leggenda di padre in figlio. Nella mia testa Gualtiero deve aver grossomodo iniziato a cristonare come i personaggio dei suoi film: «Come [CENSURA] vuoi che lo trovino? È un [CENSURA] di film di fantascienza senza una [CENSURA] di effetti speciali del [CENSURA] sono solo dei [CENSURA] che [CENSURA] appesi al soffitto, ma cosa [CENSURA] hai dentro la testa la [CENSURA] che ti sei tirato fuori dal [CENSURA]!».

Risultato finale: Walter Hill si rifiuta di presentarsi all’anteprima, la MGM prende il gesto come un atto di sfida e questa volta assume davvero il regista Jack Sholder che taglia via molte parti girate da Hill comprese quelle che servivano a caratterizzare meglio i personaggi. Ma solo quando la proiezione di prova va in maniera disastrosa (dài? Chissà perché?), la MGM chiede a Hill di tornare gli offre tempo per lavorare al film e cinque milioni extra per il suo lavoro. Credo che ancora oggi i dirigenti della MGM soffrano di acufene dopo il sonoro “vaffa” incassato da Walter Hill che, in tutta risposta, chiede anche di far togliere il suo nome dal film.

«Non abbiamo i vestiti di scena, ed ora siamo anche senza regista, di bene in meglio»

Di solito ad Hollywood quando accade questo, il film viene assegnato d’ufficio all’immaginario regista Alan Smithee (anagramma di: The alias man), il segnale universale che qualcosa è andato dannatamente storto, ma ormai è il 1997 e il film “Hollywood brucia” con vari nomi noti nella parte di loro stessi (Sylvester Stallone, Whoopi Goldberg, Jackie Chan e Shane Black), ma soprattutto con Eric Idle nella parte dell’immaginario regista Alan Smithee, ha ormai sbeffeggiato pubblicamente questa abitudine, per cui Walter Hill viene accreditato con l’altrettanto immaginario, ma ancora più anonimo nome di Thomas Lee.

Nel tentativo di tirare fuori un film da questo casino spaziale, la MGM dà il girato e un milione di dollari alla piccola casa di produzione, l’American Zoetrope di Francis Ford Coppola (proprio lui!) che dà una sistemata al montaggio assecondando la richiesta della MGM di usare pochi effetti speciali e tante scene di sesso, ecco perché lo “zumpa zumpa” spaziale tra Robin Tunney e Peter Facinelli è stato riciclato, è bastato dare una sistemata digitale al colore della pelle della Tunney, per trasformarla in Angela Bassett lasciando intendere che l’altro fosse James Spader, voilà! Un bel lavoretto fatto bene! (storia vera). Coppola vittima della classica “Offerta che non si può rifiutare” da parte della MGM, pare abbia dichiarato che l’ultimo montaggio da lui curato rendeva onore alle idee originali di Walter Hill per il film, sarà… Ma se mai doveste trovarvi nella stessa stanza con Coppola e Hill, io mi sposterei, perché Francis Ford è ben piantato e a Gualtiero ancora girano. Altro che Godzilla contro King Kong!

Francis Ford Coppola, mentre cerca di rimettere ordine a questo casino di film.

Eppure, senza sapere nulla di tutto questo ingarbugliato casino “Supernova” è un film di fantascienza con dentro delle idee niente male, certo, i personaggi sono tagliati con l’accetta e per la maggior parte del tempo non fanno che trombare e bere grappa di pera (il dialogo sulla distillazione della grappa alla pera, peggio delle unghie sulla lavagna…) a gravità zero, eppure è il classico film che se amate la fantascienza e siete feticisti di equipaggi nei guai grossi nello spazio profondo, ha ancora tutto per sfiziarvi, la prova che se non fosse stato trascinato a fondo da una serie di decisioni scellerate, Walter Hill avrebbe detto la sua anche in questo genere e che il successo planetario di Alien, lo dobbiamo a lui, la vera eminenza grigia dietro alla saga aliena più famosa della storia del cinema.

Segni di continuità aliena.

Tutto inizia con la Nightingale 229, un’astronave di soccorso con un equipaggio composto dai soliti ruoli (capitano, pilota, medico di bordo), ma l’ospite indesiderato è la noia di un viaggio infinitamente lungo e se gli astronauti di Dark Star davano di matto facendosi crescere la barba, quelli a bordo della Nightingale 229 cavalcano (in tutti i sensi) le gioie di un equipaggio misto, amoreggiando come se non ci fosse un domani, 229 credo che siano le posizioni del Kamasutra utilizzate a bordo, da raddoppiare perché a gravità zero le opzioni sono molte di più.

«Ho sentito qualcuna togliersi la tuta spaziale? Pronto! Eccomi qua!»

Ad esempio, due dei più attivi sono il tecnico Yerzy Penalosa (Lou Diamond Phillips) e il paramedico Danika Lund (Robin Tunney), ma date un po’ di tempo (e delle grappa alla pera) al vecchio James Spader e le ritrosie iniziali della sempre tostissima Angela Bassett si risolveranno abbastanza presto. Questa cazzarola di astronave è talmente carica di ormoni che persino i computer non sono più quelli di una volta, infatti il tecnico informatico Benjamin Sotomejor (Wilson Cruz) per tutto il tempo intreccia un rapporto morboso con la voce femminile del computer di bordo, in pratica la Mother di Alien, quando ancora era giovane, disinibita e non pensava solo al conto alla rovescia per l’autodistruzione.

«Usi l’aggeggio di McCoy di Star Trek per curarmi?», «In realtà è un sex toys, su questa nave spaziale l’andazzo è questo»

L’intensissima attività a bordo viene interrotta da una chiamata di soccorso a oltre tremila anni luce di distanza, per raggiungere l’origine del segnale bisogna eseguire un salto dimensionale nello spazio, ben rappresentato da un’accelerazione che fa correre la Nightingale lungo una specie di binario al plasma, un po’ come se fosse una funivia lungo il cavo, bell’idea anche se bisogna stringere i denti sugli effetti speciali per tutti i motivi già spiegati.

«Diario del capitano, supplemento: Qui stanno tutti a trombà come al solito. Tutto nella norma»

Il salto è pericolosissimo e va affrontato dall’equipaggio dentro una cabina di stabilità, meglio nudi (tanto per questi astronauti non è poi una novità) ed è qui che si vede che malgrado i rimaneggiamenti di Jack Sholder, di Francis Ford Coppola e della MGM, l’autore viene sempre fuori, anche nelle condizioni peggiori o con il nome di Thomas Lee.

Per un problema nella capsula, il capitano Robert Forster muore malamente, una morte tormentata e dolorosa, a metà tra l’ultima cena di Kane in Alien e la Brundlemosca di Cronenberg. Come in I guerrieri della notte e quelli della palude silenziosa, i nuovi guerrieri di Hill restano senza una guida, in una situazione pericolosa: la supernova del titolo minaccia di spazzarli via, hanno bisogno di quattordici ore per ricaricare l’energia delle nave per il viaggio di ritorno, ma tra quattordici ore e undici minuti, il vento solare gli regalerà una tintarella di quelle che non si dimenticano.

Quando sei il capo gruppo in un film di Hill, meglio fare testamento.

Tanto vale rispondere al messaggio di soccorso proveniente dalla stazione mineraria, mandato dal giovane Troy Larsson (Peter Facinelli) usando il nome di suo padre, il temibile Karl Larsson, preceduto dalla sua tremenda fama. La trama si complica quando Larsson Junior rivela di essere in possesso di un artefatto alieno, dalla forma particolarmente equivoca (giusto di quello avevano bisogno sulla Nightingale, viziosetti come sono!) con una particolare capacità: quella di generare materia ed energia.

Questo spiega perché la struttura fisica di Larsson diventa sempre più atletica e guizzante di muscoli (giusto perché avevamo bisogno di un altro carico di ormoni a bordo), ma, soprattutto, a contatto con una realtà a tre dimensioni come la nostra, l’artefatto capace di generare materia a nove dimensioni, è per fisica elementare diventa una bomba pronta ad esplodere, ma ad una seconda analisi un portatore di vita che crea nuove porzioni di un universo morente, chiunque lo abbia creato è incredibilmente intelligente ed evoluto, come lo definiscono nel film, quasi un Dio, ma molto meno buono.

«Non sono mica Bhagwan o Sai Baba, io sono Jahvè» (Cit.)

Dovreste saperlo, specialmente se leggete il blog alieno di Lucius, ma la saga di Alien è figlia di un sacco di influenze, ha tanti padri nobilissimi che hanno contribuito a crearne il mito, combattendosi i diritti di paternità (Dan O’Bannon) e campando di rendita per la gloria conquistata (Ridley Scott), ma l’uomo dietro la tenda, quello che davvero tirava le fila di tutti era lui, il re della collina, il nostro Gualtiero, perché con questo “primo contatto” con una razza aliena superiore, in grado di creare la vita, i gradi di separazione con la saga di Alien si riducono ulteriormente.

“Supernova” procede con un ritmo più che decente, i suoi 87 minuti – frutto di così tanti sforbiciamenti – filano via bene, ma la produzione è stata talmente una tonnara che il colpo di scena su Troy Larsson è talmente facile da intuire che la parte più di fantascienza di tutto il film, è credere che qualcuno possa davvero essersi bevuto la sua storia.

Lo… Ehm, “scontro finale” non sarebbe nemmeno male, il robot di bordo comandato a distanza porta i segni delle idee originali di Hill (gesto del dito medio compreso), ma una cosa sarebbe stata una scena così con un robot avanzatissimo, un’altra con un androide un po’ sgangherato che sembra D-3BO con un berretto da aviatore in testa.

Che poi più o meno, è stata anche la risposta di Walter Hill alla produzione di questo film.

Insomma: dentro “Supernova” ci sono i segni di un buonissimo film e tutta la classe di un grande autore, sono abbastanza sicuro che sia un film più che godibile – malgrado gli evidenti problemi al montaggio – per chi decidesse di guardare un film diretto da questo tale di nome Thomas Lee, anzi se siete fanatici di astronavi e missioni ai margini dell’universo come me, potrebbe piacervi.

Il finale è particolarmente strambo, non me la sento nemmeno di commentarlo perché l’idea del mescolamento genetico non è affatto male, ma è chiaro che è un finale appiccicato al volo per concludere in modo fin troppo frettoloso (e tutto sommato ottimista) una film che aveva avuto una storia produttiva ben oltre il disastroso, ennesima conferma che “Supernova”, se Walter Hill avesse potuto lavorarci per davvero, sarebbe stato l’ennesima stella luccicante in una filmografia di tutto rispetto.

Ridley Scott(o), anche questa volta ti è andata bene.

Ma la verità è un’altra: c’è voluto tutto l’impegno della MGM, quattro sceneggiatori e due registi (di cui uno premiato con sei Oscar) per cercare di contenere e ridurre in un angolo il talento di Walter Hill e, a ben guardare, non ci sono nemmeno riusciti in pieno a far sparire le sue buone idee dal film. Proprio vero che il leone tu lo puoi chiamare “micio” (oppure Thomas Lee), ma se vuole ti mangia lo stesso. Tra sette giorni, torniamo tutti sulla Terra, anzi per la precisione dietro le sbarre, portatevi i guantoni, vi serviranno.

Sepolto in precedenza venerdì 12 luglio 2019

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

L’uomo che non c’era (2001): il principio di indeterminazione dei fratelli Coen

Capelli. Cadono, crescono, vengono tagliati, imbiancano, continuano a crescere anche dopo la morte ed è solo una delle informazioni che ti restano addosso, come i capelli tagliati, quando arrivi ai [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing