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Suspiria (1977): i colori non hanno mai fatto più paura di così

Non ci voglio nemmeno pensare a che razza di mal di testa potrebbe essere stilare la classifica dei migliori film dell’orrore della storia, non saprei scegliere, ne amo troppi per farlo, ma se proprio mi puntassero una pistola alla testa, andrei sul facile citando alcuni dei film di Dario Argento, magari quello che quest’anno compie quarant’anni, signore, signori: Suspiria!

La teoria vorrebbe che da appassionato di Horror, per di più di Torino, il Darione nazionale dovrebbe essere il mio regista preferito di tipo, sempre! Sfiga! Lo ammetto candidamente: ho sempre avuto qualche problema con i film di Argento. Il suo cinema estremamente visivo e alla continua ricerca del colpo di scena ad effetto, ereditato dal suo maestro Mario Bava (pausa per gli inchini e gli applausi spontanei) lascia spesso molto (troppo) indietro le svolte e la continuità delle trame che per me sono molto importanti in un film, il mio amore per il cinema di Argento va a strattoni e spesso inciampa nei buchi delle sue sceneggiature.

Poi, però, ci sono delle volte in cui le sue trame minimali e spesso anche lacunose, passano in secondo piano davanti ad una messa in scena e una riuscita generale talmente magnifica, da mettere d’accordo tutti, anche i cagaminchia come me. “Suspiria” è l’apice di questo concetto, un titolo che si merita l’etichetta universale di capolavoro e quella locale (e molto meno blasonata) di mio secondo film di Dario Argento preferito. Se ve lo state chiedendo: no, il primo non è “Profondo Rosso”.

Darione nazionale impegnato a strangolare il Ciak sul set del film.

Proprio dal clamoroso successo dello storico “Profondo Rosso” (1975) Darione nostro arrivava, quando si è messo in testa di dare una svolta più sanguigna e truculenta al suo cinema, cioè, ancora più grondante sangue di “Profondo Rosso” intendo dire. Il risultato finale è proprio “Suspiria” ancora oggi, a detta del suo creatore, uno dei lavori più complessi e ricercati di Argento, che dopo quarant’anni e quarantamila visioni, ancora ti incolla allo schermo con le nocche belle bianche, ben artigliate ai braccioli della sedia.

Senza girarci troppo intorno che tanto siam tutti grandi, le ispirazioni da cui Dario Argento ha pescato per dare vita a “Suspiria” sono fondamentalmente tre: il romanzo “Suspiria De Profundis” di Thomas de Quincey, la sua allora collaboratrice, compagna e madre di sua figlia Asia, ovvero Daria Nicolodi e, per finire, la cocaina. Ora che lo abbiamo detto, scendiamo un po’ più nel dettaglio, perché non bastano queste tre cose a fare un capolavoro del cinena.

Susy Benner (Jessica Harper) è una brillante studentessa di danza classica americana, che decide di approfondire il suo talento, iscrivendosi alla prestigiosa accademia di danza di Friburgo. Sotto una pioggia da fine del mondo, l’arrivo della ragazza è già tormentato, tra studentesse in fuga impegnate a urlare frasi incomprensibile nel frastuono della tempesta e un sanguinoso omicidio che apre il film e sembra dire: “Oh ciao Susy, benvenuta in Germania, Guttentag!”.

Co sta pioggia e co sto vento chi è che bussa al mio convento alla mia scuola di danza?

Primo capitolo della “Trilogia delle tre madri”, completata dal controverso, ma ancora ispirato “Inferno” (1980) e da “La terza madre” (2007) su cui preferirei non spendere nemmeno un sospiro (figuriamoci una bestemmia), “Suspiria” è letteralmente figlio di una delle coppie più fighe della storia del cinema: Dario (Argento) e Daria (Nicolodi) non potevano essere più complementare di così. Dopo aver visitato le capitali magiche europee, Darione stava in fissa con le streghe, in particolare sulla loro capacità di lanciare anatemi in grado di influenzare la vita delle persone.

Non è chiaro se ammorbata dai discorsi del marito, Daria una mattina gli racconta un sogno fatto la notte prima, in cui si trovava in una stanza buia al cospetto di una strega invisibile e di una pantera che improvvisamente esplode in mille pezzi (che poi altro non è che la scena finale di “Suspira” solo che la pantera è di porcellana). In ogni caso, non so voi, ma io una cena a base di peperonata con gli Argento me la farei pure, sai che incubi digestivi dopo?

«Lo sapevo che non dovevo fare scarpetta»

Nel frattempo, Dario condisce il tutto con la fissa per le fiabe classiche dei fratelli Grimm, quelle che tutti conoscono e che Stephen King nel suo saggio “Danse Macabre” ribadiva essere il vero archetipo su cui sono basati tutti i film dell’orrore.

«Ma leggere Topolino, no vero? E chi dorme adesso…»

Secondo me, non c’è nessun regista al mondo in grado più del Dario Argento nei suoi giorni migliori, di mettere su pellicola la paura ancestrale delle fiabe. Non credo sia un caso che ogni volta che il cinema di Argento è diventato fiabesco (per quanto uno come lui possa esserlo chiaro), siano anche arrivati i suoi lavori migliori.

La voce narrante fuori campo (dello stesso Dario) che apre il film, ci rimanda subito al “C’era una volta” delle favole e anche l’ambientazione di Friburgo, ad un tiro di schioppo dalla Foresta Nera, dove i Grimm sperdevano bambini lasciandoli in balìa di streghe varie, sottolinea l’atmosfera da fiaba gotica. Gotica, non cotica, cotica è quella che si è mangiata la Nicolodi prima di sognare la pantera esplosiva!

La casetta di marzapane tzè! Dilettanti.

Proprio per questa ragione l’idea di Argento era quella di avere delle bambine come protagoniste del film, ma i produttori gli sventolarono davanti alla faccia il dito a tergicristallo, facendogli notare che bambine morte ammazzate non buono per vendere il film e incassare qualcosa. Cose se succedono se come produttori ti scegli i tuoi parenti Claudio (fratello) e Salvatore Argento (papà), si sa che le discussioni in famiglia possono essere ostiche.

“Le bambine da ammazzare no, ma io vado bene? Com’è che funziona?”.

Darione non è riuscito a spuntarla nemmeno nell’avere Daria Nicolodi come protagonista, alla quale è stata preferita per motivi di maggiore visibilità sui mercati stranieri, l’attrice trentenne Jessica Harper, ammirata da Dario ne “Il fantasma del palcoscenico” di Brian De Palma (1974) e scelta per i suoi occhioni giganti (storia vera), perfetti per la parte delle protagonista sempre e costantemente terrorizzata.

Non mi volete dare bambine da usare nel film? Ok, va bene, Giuseppe!! Fai le porte più grandi! Alza tutte le maniglie! Giuseppe, inteso come Bassan, lo scenografo che ha seguito proprio le indicazioni del regista: le porte maggiorate fanno il loro dovere, specialmente in combinazione con le inquadrature, il più delle volte dal basso verso l’alto di Argento che richiamano a livello inconscio all’infanzia. Al resto ci pensano alcune dei dialoghi voluti da Argento, palesemente infantili, tipo quello spesso sbeffeggiato sui nomi che cominciano per “S” che sono quelli dei seeeeerpenti.

Ssstate buone sssssignorine ssssto cercando di ssssscrivere.

Penso sia anche inutile dire che la trama di “Suspiria” è minimale ed è anche chiaro che l’influenza di Marione Bava su Argento in questo film sia fortissima. Pier Maria Bocchi sostiene che sia la stessa trama di “Terrore nello spazio” (1965), con Friburgo al posto del pianeta Aura, l’intensità e l’utilizzo dei colori arrivano proprio da Bava, ma è proprio grazie alla messa in scena che “Suspiria” è più rosso di “Profondo Rosso” e ancora più influente nella storia del cinema, proprio con un cartellone, ovviamente di colore rosso, mi sento di omaggiarlo.

Abbiamo detto, le fiabe classiche, Daria Nicolodi e la cocaina, già la cocaina… Nicolas Winding Refn ha definito “Suspiria” il “Cocaine movie definitivo” e proprio al film di Argento si è ispirato (capito, ispirato, cocai… Ok, la smetto!) per il suo The Neon Demon. Di suo Darione è uno dei pochi che ha candidamente ammesso che ai tempi, non diceva di no alla polverina bianca, troppo facile sarebbe dire che i colori sparati del film, siano effetto di una mente leggerissimamente su di giri, probabile, ma riduttivo, se bastasse la cocaina a produrre classici del cinema, allora già solo io conosco un sacco di aspiranti futuri autori di classici… Ho detto aspiranti, ma vorrei farvi notare che non sto facendo leva su… Ok, ok, va bene torno al film!

La fotografia di Luciano Tovoli è micidiale e caratterizzata dall’uso di lenti anamorfiche, in coppia con vecchia pellicola Kodak a bassissima sensibilità che sul set richiedeva molta luce per essere impressa, ma il risultato finale si vede ed è quella profondità di campo che balza subito agli occhi anche quarant’anni dopo.

Il rosso ti dona, altro che quarantenne sembri un ragazzino.

Per le riprese in formato Technicolor, Dario Argento si mise alla ricerca di una delle ultime macchine di sviluppo ancora in funzione ed ebbe la fortuna di trovarne una presso gli stabilimenti Technicolor di Roma (storia vera).

Ma, siccome così era troppo facile, Argento si auto impose una difficoltà aggiuntiva, ovvero quella di non ripetere mai due inquadrature uguali nel corso dello stesso film, il che è veramente da pazzi, perché a livello di storyboard e lista delle inquadrature, ha davvero dovuto fare li straordinari. Come se non bastasse: perché non girare anche tutti i trucchi visivi direttamente in fase di lavorazione e non in post produzione come si fa di solito? Ecco, la cocaina non ti trasforma in un grande regista, ma deve aver influito sulla follia di queste scelte.

Niente test anti droga grazie, tanto lo bocciano sicuro…

Le scene di “Suspira” vennero tutte girate in ordine cronologico, motivo per cui il montaggio del film ha richiesto solo dieci giorni. Una follia oggi, figuriamoci nel 1977! Il set, comunque, non dev’essere stato niente male, perché in tutta questa esuberanza produttiva, accadevano cose tipo: “Stefania! (Intesa come Stefania Casini), sai la scena con la stanza piena di filo spinato? Ecco, tu buttati dentro, fai pianino, però”. Risultato finale: sfregio alla caviglia della Casini e una buona mezz’ora passata a tirarla fuori dal filo spinato con forbici e cesoie (storia vera).

«Tieni duro, questione di poco, tempo di fare un salto al Brico più vicino»

Ma “Suspiria” è prima di tutto un lavoro visivamente impeccabile, curatissimo fin nei minimi dettagli, è un lavoro rigoroso dal punto di vista di geometrie, spazi e utilizzo dei colori. Non c’è una simmetria fuori posto, Argento ha curato tutto, ogni forma presente sul set costruito da Giuseppe Bassan è pensata per dare un senso di simmetria degno dei migliori film impressionisti tedeschi e per dettagli estremamente curati. Tenete conto anche le piccole onde della piscina dove nuotano le ragazze, alle quali Dario Argento ha chiesto loro di muoversi pianissimo, smuovendo l’acqua il meno possibile per dare un senso di pace e tranquillità alla scena (storia vera).

Un po’ di blu in mezzo a tutto quel rosso…

La bellezza estetica della scuola di danza e dei colori, maschera un orrore che di fatto si manifesta pochissimo e quando lo fa di mostrato c’è davvero poco, anche se un mio amico, ancora si ricorda di essere corso a vomitare la prima volta che ha visto la scena del cuore pugnalato in apertura del film. Però mi aveva chiesto lui di vedere questo film, non è colpa mia, giuro!

Penso che sia più facile risultare espressivo utilizzando il bianco e nero qui, invece, Dario Argento fa un utilizzo davvero espressivo del colore, poi se usi quella tonalità del rosso per il sangue finto, quella che urla fortissimo “MARIO BAVA” io ti vorrò sempre bene.

Con quella tonalità di rosso, come me si vince sempre facile.

La bellezza lanciata in faccia allo spettatore, maschera l’orrore della scuola di danza, la mater suspiriorum non si vede quasi (tanto che Argento prese un’anziana dalle strade di Roma a caso per la parte, storia vera), ma la sua presenza è ovunque. Se si rompe un vetro, sai che non è il vento, se un cane guida da di matto e si mangia il suo padrone non vedente (nella clamorosa e Fulciana scena del Königsplatz) è sicuro ci sia il suo zampino.

“…E tu vivrai nel terrore, l’hai visto vero? Ecco allora preparami la pappa umano!”.

Se un film dell’orrore ha il dovere d’incollarti allo schermo e turbarti, “Suspira” centra in pieno il risultato e un ruolo decisivo lo gioca anche la musica dei Goblin di Claudio Simonetti, storici collaboratori di Argento. Il tema principale, poi, è un capolavoro, senza mezzi termini.

A livello di composizione, ho sempre trovato John Carpenter un musicista migliore e più completo (anche se lui dice di non saper leggere una nota su uno spartito), ma il tema di “Suspiria” è giustamente tra i più spaventosi mai composti per un film. La voce solista che si sente è quella dello stesso Simonetti, impegnato a sussurrare frasi a sua detta senza senso, ma comunque inquietanti, in sé il pezzo ha un andamento ripetitivo, anzi oltre, ripetitivo fino alla nausea, fino all’ossessività, tanto ossessivo che appena termina, ti sembra ancora di sentirlo nel fondo della testa e anche dopo la fine dei titoli di coda, esattamente come la paura dovrebbe accompagnare ogni film horror.

Auto citazioni come se piovesse.

Penso che sia un gioco a somma zero tirare in ballo gli ultimi film di Argento oppure sperare in un suo nuovo capolavoro, sono pessimista su questo fronte, “Suspiria” resta uno dei punti più alti della carriera di Dario Argento, se dopo quarant’anni, fa ancora venire la strizza e il vomito agli spettatori, vorrà pur dire qualcosa, no? Tra altri quarant’anni, sono sicuro, questo film affascinerà ancora il pubblico, costringendolo a guardarsi attorno durante la visione, con aria molto, ma molto preoccupata.

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