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Swamp Thing di Alan Moore (1984-1987): le piante sono l’evoluzione dell’uomo

La costante in qualunque testo, saggio, recensione oppure commento relativo al lavoro di Alan Moore è sempre il constatare quanto i suoi lavori, abbiano rivoluzionato per sempre il mondo del fumetto, ma forse la rivoluzione più dirompente del Mago di Northampton è quella orchestrata sulle pagine di Swamp Thing.

Il nostro “paludone”, creato nei primi anni settanta da Len
Wein (testi) e dal maestro Berni Wrightson (disegni) è sempre stato un
personaggio di culto ma relegato alla nicchia, per certi versi ostracizzato da
critica e pubblico per la sua natura di fumetto horror, ancora oggi dopo il
passaggio di Alan Moore non rientra tra i fumetti considerati rivoluzionari per
davvero, anche se è proprio grazie alla cura dello scrittore inglese che Swampy
è uscito definitivamente dalla sua palude, diventando anche protagonista di una Serie TV (nata già morta).

Una tavola del maestro Berni Wrightson, rifatevi un po’ gli occhi.

Attorno al 1976 le vendite della serie originale erano
così basse, che la DC comics decise di chiudere baracca e burattini,
dimenticandosi per sempre della cosa della palude, almeno fino a quando il
personaggio non guadagnò nuova popolarità in un modo abbastanza inatteso per la
Distinta Concorrenza. In quel periodo un ex professore passato al cinema, era
in cerca di affermazione come regista, per dimostrare che poteva dirigere
qualunque cosa, ma davvero qualunque cosa, scelse quella della palude.

Il film di Wes Craven del 1982 è la perfetta fotografia di come venivano considerati i
fumetti (e quelli di “Swamp Thing” in particolare) in quel periodo, un
giocattolone con dissolvenze bizzarre, che però convinse la Distinta Concorrenza
a rilanciare il nostro amico paludone, un rilancio in grande stile che
prevedeva il talento di Alan Moore.

La colazione dei campioni di Alan Moore.

Moore si era fatto notare in patria grazie al successo di
V for Vendetta, quando uno dei
creatori del personaggio, Len Wein, gli propose di collaborare alla serie,
affiancato dai disegnatori americani Stephen Bissette e John Totleben, Moore
accettò ma ovviamente alla sua bizzarra maniera, ovvero inviando una lettera di
presentazione, in cui questo strampalato Inglese dimostrava di non avere
acredine accumulata per quella storiella di guerra civile tra le due nazioni,
vi riporto le sue esilaranti parole direttamente dalla lettera scritta da Moore
nel maggio del 1983: «Non avendo mai vissuto prima l’esperienza, sicuramente
traumatica, di lavorare con degli abitanti delle colonie, ho pensato che fosse
il caso di cogliere l’opportunità di scrivervi due righe, presentarmi e farvi
sapere che non vi porto rancore per il fatto che durante la guerra i vostri
padri siano venuti qui a fare sesso con le nostre madri adescandole con
cioccolato e calze di nylon. Al loro posto probabilmente lo avrei fatto
anch’io.»

Messi da parte i vecchi rancori, Moore era pronto a
rivoluzionare “Swamp Thing” per sempre, partendo da un rinnovamento stilistico:
via i punti esclamativi alla fine delle frasi (necessari a dare enfasi! Ma considerati naif), dentro lunghe didascalie descrittive al posto dei classici “baloon” del
pensiero, e grazie alla prosa di Moore e ai disegni di Bissette e Totleben, “The
saga of Swamp Thing” diventa un fumetto d’autore, l’etichetta in bella vista
stampata sopra il titolo, descrive alla perfezione il nuovo corso: sophisticated
suspense.
L’idea di sofisticato che abbiamo qui alla Bara Volante.

Ora, nella storia del fumetto americano ci sono stati
autori che hanno preso personaggi anche molto popolari, adattandoli alla loro
poetica e cambiando per sempre la percezione di tali protagonisti a fumetti
presso il grande pubblico, sto pensando al lavoro fatto da Frank Miller per
Daredevil oppure Batman, ma forse il primo autore a rivoltare come un calzino
un personaggio – per di più “minore” come Swampy -, trasformandolo di colpo in
un fumetto di serie A è stato di sicuro il Mago di Northampton.

Con la storia d’esordio “Loose Ends”, Moore conclude
velocemente le sotto trame rimaste aperte, le questioni in sospeso del titolo
appunto, per sganciare subito la sua bomba sul protagonista Alec Holland, ma anche sui lettori della serie. Se in Watchmen,
Alan Moore ha utilizzato spesso la figura dell’orologiaio per descrivere il
modo in cui è stato in grado di smontare e rimontare la figura del super eroe,
in “Swamp Thing” Moore si diverte ad aprire in due il personaggio, per scoprire
com’è fatto dentro, infatti la storia intitolata “La lezione di anatomia” è il
singolo racconto più importante per la vita (editoriale ma non solo) di Swampy.

La singola storia più importante di Paludone, comincia con un omaggio a Saul Bass.

Comincia con una frase lapidaria, potente quanto «Questa
notte è morto un comico a New York», la frase in questione utilizzata in
apertura e in chiusura al numero 21 di “The saga of Swamp Thing” (febbraio
1984) è: «A Washington piove stanotte…».

La storia fino a quel momento conosciuta, ovvero quella
dello scienziato Alec Holland, scaraventato in una palude da un’esplosione e
trasformato in una sorta di enorme Bigfoot però ricoperto di muschi e licheni,
cambia completamente. Uno scienziato assoldato per comprendere il mistero di Paludone
lo disseziona scoprendo la verità: Swamp Thing non è Alec Holland, ma è solo
una creatura composta interamente da piante mutate, che hanno assorbito parte
della coscienza e dei ricordi dello scienziato, parafrasando un altro caso di Body Horror notevole,
potremmo dire che Swamp Thing è una pianta che ha sognato di essere un uomo, ma
ora il sogno è finito.
Il racconto, tutto in flashback, conferma quando la scelta
dei nuovi disegnatori sia azzeccata, quando Swampy scatena la sua furia, non
sembra il solito mostrone verdastro che abbiamo visto in tanti numeri
precedenti della sua serie, ma riesce a risultare anche intimidatorio. Moore
invece sottolinea la distanza del personaggio con la sua umanità, facendogli
pronunciare una sola (algida) frase per tutto il numero. In una sola storia,
Moore ha rivoluzionato per sempre il personaggio, trasformandolo di fatto in un
elementare della Terra destinato a fare i conti con la sua nuova espansa
coscienza, connessa con il verde del pianeta.

Due occhi che promettono parecchie atmosfere horror.

Quando uno sceneggiatore con mire autoriali, punta a
modificare per sempre la percezione di un personaggio presso il grande
pubblico, dovrebbe correre a rileggersi “La lezione di anatomia”, di sicuro lo
ha fatto Grant Morrison per il suo ciclo sulle pagine di “Animal Man”, ma
questo per Moore è comunque solo il primo atto della rivoluzione, il colpo di
genio dello scrittore inglese arriva nei numeri successivi della sua lunga
gestione (ristampata pochi anni fa in tre volumi dalla Planeta), dopo aver tolto
l’umanità al protagonista, Moore comincia a scrivere storie che parlano proprio
di umanità, ma dal punto di vista di una pianta che ha appena scoperto di
essere qualcosa di più.

“The saga of Swamp Thing” nelle mani di Moore mescola
filosofia e antropologia, ma con parecchie sortite lisergiche e una conoscenza
enciclopedica del mondo del fumetto, ma riuscendo ad essere anche una riuscita storia horror, brutto?

V for Vendetta Swampy.

Quando hai un personaggio interamente vegetale, il suo
ideale nemico non può che essere qualcuno che rappresenta in pieno la capacità
della razza umana di inquinare e consumare il pianeta, ecco perché l’uomo
floronico di Moore passa dall’essere una mezza tacca ad una vera minaccia
(anche per l’ecosistema). Il modo di prendere le distanze dal resto dei fumetti
della Distinta Concorrenza, trattando argomenti adulti e d’attualità
utilizzando un fumetto, è stato l’imprinting che ha portato alla creazione
della linea “per adulti” della DC, ovvero la Vertigo a cui dobbiamo un’infinità
di classici del fumetto.

L’uomo floronico di Leonardo Manera Alan Moore.

Quando Moore è costretto per direttive di scuderia, ad
utilizzare i super tizi in calzamaglia della Distinta Concorrenza, li descrive
come potentissimi ma distanti anni luce delle esigenze vere del pianeta, per
certi versi la descrizione di alcuni membri della JLA (Flash viene descritto
come uno che corre così velocemente che la sua vita è una galleria infinita di
statue), anticipa per certi versi la descrizione che Miller avrebbe fatto dei
Vendicatori sulle pagine di Rinascita.

Lo Swamp Thing di Moore è così connesso con il pianeta, i
suoi bisogno e i suoi abitanti, che la sua piccola palude perduta diventa il
centro del mondo, molto più delle gigantesche Metropolis oppure Gotham City,
che Paludone visiterà per salvare la sua amata Abigail Arcane, per altro facendo
fare la figura del bigotto al suo cittadino più famoso, quello con il mantello
e le orecchie a punta.

Batman zittito dal più classico dei: «Sì, tu e quale esercito?» (Stacce!)

Piuttosto che con gli eroi, Moore preferisce che il suo personaggio se la faccia con
i tipi loschi dell’universo DC, ecco perché nel primo “Annual” da lui scritto,
Swampy diventa il protagonista di una versione locale di “Canto di Natale” di
Dickens, in cui i tre fantasmi sono Deadman, Etrigan il demone e lo straniero
fantasma.

Ma quando si parla di loschi figuri, il contributo di
Moore è fondamentale perché proprio sulle pagine di “The saga of Swamp Thing”, lo scrittore fa tornare in azione (già protagonisti delle prime due incarnazioni degli antologici “House of Secrets” e “House of Mystery”) Caino e Abele, personaggi che ripresi da Neil Gaiman diventeranno
fondamentali sulle pagine di Sandman,
anche se il più losco di tutti non può che essere John Constantine, l’anti eroe
tabagista disegnato con le fattezze del cantante Sting in “Quadrophenia” (1979). Il personaggio che diventerà protagonista della storica serie “Hellblazer” e
che niente e nessuno mi toglie dalla testa, abbia influenzato la moda della
nostrana Bonelli, di ispirarsi ad un attore famoso per le fattezze fisiche dei
suoi personaggi.

I don’t drink coffee I take tea smoke cigarettes my dear (Quasi-cit.)

Ma sulle pagine di “Swamp Thing” Moore permette al
fumetto di fare un balzo in avanti qualitativo, proprio sfruttando le
caratteristiche proprie del mezzo, la tenera (e struggente) storia intitolata
“Pog” (Swamp Thing n. 32 del gennaio 1985) è un omaggio a Pogo, l’opossum
antropomorfo delle strisce a fumetti di Walt Kelly, che Moore trasforma in un
piccolo alieno in visita al nostro pianeta, che si esprime con una lingua beh…
del tutto aliena!

Il piccolo alieno Pogo e la sua storia (tenete i fazzoletti a portata di mano)

Come già sperimentato in “La ballata di Halo Jones”,
Moore anche qui inventa una lingua aliena con le sue regole grammaticali che
ricorda un po’ le parole macedonia, quelle che utilizzava Humpty Dumpty in
“Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” (1871) di Lewis
Carroll.

Ma trattandosi del Mago di Northampton, ovvero di uno che
ancora oggi dichiara di aver evocato un Dio serpente Azteco (che per altro
viene citato costantemente nei suoi fumetti di “Tom Strong”), secondo voi Moore
poteva perdere l’occasione che solo un protagonista completamente vegetale
interconnesso con la natura ti può offrire? «Giammai!» (cit.), ecco perché nel
racconto “Il rito della primavera”, Moore trova il modo di regalarci la prima
scena di sesso inter-specie tra Abigail Arcane, bella rappresentante della razza umana in
carne e ossa e Swampy, enorme vegetale convinto di poter soddisfare tutti i
bisogni (molto umani) della sua amata.

La nonna diceva di non accettare caramelle dagli sconosciuti, ma non ha mai parlato di tuberi lisergici da creature della palude!

Da vecchio Punk con una certa esperienza del lavoro di Timothy
Leary ma anche di alcune ore passate a sperimentare con cosucce tipo acidi ed LSD,
Moore fa fiorire sul corpo di Swampy una di quelle patate americane (quelle dal colore particolarmente arancione) che una volta divorata da
Abigail, le permette di fare un viaggio mistico con relativo appagamento
sessuale, un “trip” reso su carta che costringe lo spettatore a ruotare il
volume che contiene la storia, visto che le vignette sono disposte in circolo,
un po’ come se anche noi lettori ci fossi calati un acido, uno di quelli belli
potenti. Anche perché se mentre leggi un fumetto, cominci a farlo ruotare su sé stesso, beh se qualcuno ti guarda mentre lo fai, diventa anche un po’ complicato da giustificare.

Psichedelia, tutte le teste ti porti via, tutti i neuroni ti porti via (Cit.)

Nella parte centrale della gestione Moore, le storie di
“Swamp Thing” rendono omaggio alle origini stesse del personaggio, nato come
fumetto dell’orrore, infatti attraverso la rivisitazione di alcuni mostri
classici (come vampiri e licantropi), Alan Moore porta in scena alcune storie
in cui i mostri sono quasi sempre gli umani e il nostro articolato modo di
farci del male tra di noi.

La storia dei vampiri che vivono nella città sommersa
dalle acque, potrei annoverarla tra i racconti più in grado di mettere addosso
al lettore la cara e vecchia strizza (quella che non dovrebbe mai mancare in un
racconto dell’orrore), mentre i licantropi di Moore è un peccato che non sia
stati esplorati fuori dalle pagine di questo fumetto. Si perché lo scrittore
Inglese mette in connessione il ciclo mestruale femminile, le fasi lunari e la
licantropia, in un modo che ai tempi, fece urlare molti allo scandalo, anche il
grande Jim Shooter, allora capo della Marvel Comics, da sempre in rotta con
Moore per quella vecchia storia riguardo a
Miracleman (ex Marvelman) e al nome del personaggio.

Ad Ovest di Joe Dante e John Landis, nessuno aveva osato tanto per i lupi mannari.

Moore utilizza i mostri classici per parlarci dell’orrore
della razza umana, ad esempio i fantasmi in “Swamp Thing” sono quelli dei
lavoratori di colore di una vecchia piantagione di cotone, che tornano a
perseguitare alcuni attori venuti a recitare una soap opera in costume. Sono
storie in cui Swampy aleggia come una presenza senza per forza essere il
protagonista (scelta stilistica che Neil Gaiman ripeterà identica sulle pagine
di Sandman), dove Moore può
permettersi di prendere posizioni progressiste contro tutto e tutti, lo
scrittore punta il dito contro l’inquinamento, il sessismo, il razzismo ma anche la
diffusione delle armi negli Stati Uniti, in tempi non sospetti, senza nessuno
che possa accusarlo di moderno “buonismo”, anche perché le sue storie sono una
più cattivella dell’altra.

L’ultima parte del ciclo di storie di Moore, risente un
po’ del fatto che lo scrittore in quel periodo, stava già iniziando a lavorare
a Watchmen, impegnato a gestire una
popolarità che – da buon misantropo –, lo avrebbe portato ad un isolamento
degno del miglior J. D. Salinger. Le ultime storie di Swampy scritte da Moore
sono spesso dei “riempitivi” che permettevano ai disegnatori di esibirsi e a Moore
di respirare un po’, eppure anche qui troviamo storie molto potenti.

Ho letto storie tappabuchi ben peggiori di questa, credetemi.

Swamp Thing ormai a tutte gli effetti un elementare della
Terra, impara di poter ricrescere in nuove forme e nuovi “corpi” (ovviamente
vegetali) come un Baby Groot ante litteram. Dopo il suo feroce scontro con la
setta della Brujeria, quelle che potremmo definire “porte della percezione” di Paludone sono talmente aperte da permettergli di germogliare anche fuori dal
pianeta. Qui arrivano tre storie, caratterizzate dall’uso di altrettanti
colori. Per la storia “rossa”, Swampy incontra Adam Strange, utilizzato in
una trama che sembra mutuata dai racconti di John Carter da Marte.

Ma di questa ultima fase da cowboy dello spazio del
personaggio, forse il racconto più interessante è quello “blu”, in cui Swampy
colto da malinconia, ricrea il suo piccolo mondo blu (da sempre il colore che
incarna questo sentimento) per certi versi anticipando il Dottor Manhattan di Watchmen.

Blue moon (you saw me standing alone).

Con la sua ultima storia, “Questioni in sospeso bis” (n. 63 “loose ends reprise”),
Moore riprende il titolo del suo primo racconto di Swamp Thing per chiudere il
cerchio, consegnano il personaggio ad una nuova generazione di scrittori come
Morrison e Mark Millar, che ne hanno seguito le orme mantenendo Swampy un
personaggio di culto, ma senza rivoluzionarlo ulteriormente come fatto dal Mago
di Northampton nel suo glorioso ciclo di storie.

Insomma, tra le opere che hanno fatto fare un passo in
avanti al fumetto, mettendo in chiaro quanto questo mezzo narrativo possa
essere anche sperimentale, “Swamp Thing” ha un posto d’onore, la conferma che
Alan Moore oltre ad una cultura (non solo fumettistica) notevole, ha anche un
discreto pollice verde per le piante.
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