Prima o poi tocca quasi a tutti, la sindrome del bravo padre
di famiglia pare aver infettato anche Jason Momoa, uno che ha raggiunto un
certo grado di popolarità e ora, pensa di potersi permettere di poter scegliere
quali suoi lavori far vedere ai suoi figli e quali no.
Parliamo di uno che ha iniziato come bagnino nelle ultime
stagioni di Baywatch, che ha continuato con il Conan sbagliato (quello di quel
cretino di Marcus Nispel) e fino
all’altro giorno andava in giro a minacciare di pisciare sugli artefatti magici per farli funzionare. Cioè Giasone,
siamo sicuri che ci sia tanto da selezionare nella tua filmografia?
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Momoa ha la faccia di chi dice: “Ma questo è del mestiere?” |
Lo so che Momoa si è fatto questa immagine da rozzo chic, da
taglialegna con le sopracciglia rifatte che fa molta presa sull’altra metà del
cielo, ma come attore il suo ruolo migliore resta quello in Giocotrono, serie
che ha abbandonato prima che la nave affondasse. Sicuramente questo “Sweet
Girl”, prodotto da Netflix, fa parte della sua operazione “Bravo papà”, anche se
sembra tanto l’ennesimo film alla Liam Neeson che Momoa non ha mai fatto prima
e non so perché dovrebbe cominciare proprio oggi a fare, per poi per farlo così! Si
perché “Sweet Girl” non si limita ad essere un rozzo B-Movie con un Momoa
menante (un Momante), che tutto sommato, sarebbe anche potuto essere divertente
no! Nell’ultima mezz’ora si gioca uno dei colpi di scena più stronzi che io
abbia mai visto nella mia vita di appassionato di cinema, roba che sembra dire:
«M. Night Shyamalan levati, ma levati proprio» e non nel senso positivo del
termine, perché ogni tanto qualche svolta finale riuscita il vecchio Michael
Knight la sapeva piazzare, “Sweet Girl”, no. Enne-O. Ma andiamo per gradi.
La storia è quella di Jason Momoa nei panni di Raymond
“Ray” Cooper, innamorato della sua bella moglie Amanda (Adria Arjona)
e con un adorabile figlia adolescente di nome Rachel (Isabela Merced già vista
in Soldado). Siccome l’antico adagio
“Mai una gioia” svolazza come un avvoltoio sulla testa dei Cooper, mamma si ammala
di cancro e il farmaco che potrebbe salvarla, prodotto dal viscido CEO
dell’azienda farmaceutica Amo Santos (Manuel Garcia-Rulfo) costa troppo per le
finanze dei Cooper.
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Isabela Merced se la prende con qualcuno della sua taglia. |
La speranza arriva dall’equivalente generico, un prodotto a bassissimo costo
di un’altra azienda che sta per essere avallato, ma prima che questo accada
Santos acquisisce la società per mantenere il monopolio sul medicinale. Del
fatto che questo film ci dica che esiste una pillola per curare il cancro, non
frega niente a nessuno, l’importante è fare Momoa Vs Big Pharma, con tanto di
(credibilissima) telefonata in diretta tv dal signor Cooper a Santon, in puro
stile Liam Neeson: io ti troverò e ti ucciderò. Time Out Cassidy!
Che poi io ora voglio dire, con l’aria che tira in questi
giorni, dove là fuori sono in tanti con la bava alla bocca per la storia
vaccino sì o vaccino no, tu mi fai il film con la casa farmaceutica di
cattivoni? Ok, ma devi saperli fare i film così e in linea di massima,
l’esordiente Brian Andrew Mendoza, non mi sembra il Michael Winner di Il giustiziere della notte, così sue due
piedi eh? Fine del Tim Out Cassidy!
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Corre, corre è |
Rimasti soli, papà e figlia Cooper non si danno pace,
specialmente papà incacchiato (cit.) che ha per le mani la soffiata sulla
corruzione dei vertici dell’azienda colpevole della morte di sua moglie, quindi
in quella che non dovrebbe mai mancare in un film (una bella scena in
metropolitana), padre e figlia restano coinvolti in un combattimento con uno
sgherro pronto ad ammazzare il loro informatore, la loro fonte sicurissima che ci lascia le penne. Sul perché il vagone delle metro si svuoti innaturalmente
durante la rissa a bordo o sul fatto che la controfigura di Momoa sia
perfettamente visibile con parrucca e barba posticcia, preferirei non dire
nulla, questo film è già atroce così senza infierire.
110 minuti (!) di tedio, per un secondo atto noiosissimo
fatti di dialoghi scritti con una matita con la punta rotta, in cui l’unico
punto di contatto tra padre e figlia, più che la madre defunta sembra sia il canticchiare insieme “Sweet Child O’ Mine” dei Guns N’ Roses, che pare tanto un
gancio per giustificare il titolo.
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Prima usavano quel pezzo per vendere l’acqua in bottiglia e ora questo, cosa è andato storto con i Guns? |
Già, perché un film d’azione (o presunta tale) con Momoa
menante detto Momante, si intitola “Dolce ragazza” e non “Big nasty
motherfucker”? Ok, perché l’algoritmo di Netflix non permetterebbe mai ad un
film con un titolo così di uscire, ma soprattutto perché questo filmetto, bruttino,
dimenticabile, derivativo e con Momoa che fa fare il lavoro sporco alla
controfigura per non rischiare di scompigliarsi il capello, si gioca il già
citato colpo di scena stronzo, anzi, super stronzo Deluxe. Da qui in poi SPOILER a pioggia!
Già perché “Sweet Girl” inizia in media res, con Momoa in fuga, braccato dalla polizia su un tetto
e pronto a saltar giù, per poi tornare indietro diventando un lungo
flashback. Niente di male se non fosse che pare che a metà della stesura della
sceneggiatura scritta da Philip Eisner, Gregg Hurwitz e Will Staples (in tre
per scrivere ‘sta roba, bravi!) abbia fatto irruzione non la SWAT ma la squadra
d’assalto di Netflix: «Siete accusati di stare scrivendo un film d’azione con
un protagonista maschio ed eterosessuale nel 2021!».
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“Io John Wicko, tu John Wicki, egli John Wicka” |
Per ovviare a questo piccolo problema, diciamo grosso come
un Jason Momoa cosa possiamo fare? Facile! Giocarci il colpone di scena: Giasone
ha tirato i calzini nel combattimento in metro, a Rachel è partito il boccino e
solo lei continua a vedere il padre, qualcuno ha come psicologo infantile Bruce
Willis altri hanno lo spettro di papà Momoa, quindi sul tetto nel finale,
braccata dalla polizia, quando il film si ricongiunge alla scena iniziale,
invece di un Cristone capellone fatto a forma di Momoa, troviamo la piccola
Isabela Merced. Tutto il casino, la fuga e il menare nel film lo ha fatto lei,
quindi l’ultima mezz’ora di film diventa la sagra della cazzata, con Isabela
Merced che mena sgherri e si picchia in una fontana con Manuel Garcia-Rulfo
facendogli ovviamente un culo così, anche se pesa 50 chili bagnati, nel vero
senso della parola, visto che si menano in una fontana.
D’altra parte se poi Isabela Merced va in giro a dichiarare che vorrebbe essere la nuova John Wick che vogliamo dirle? Ormai chiunque può scendere dal letto una mattina
mettendosi a “Wickeggiare” al cinema, abbiamo avuto esempi su esempi anche
recentemente, l’aria che tira ormai è questa. Fine della parte con SPOILER!
Insomma, Momoa avrà anche voluto fare il film che anche i
suoi figli potevano guardare, ma se ha un po’ di cuore, io non farei vedere
loro nemmeno questo insulto all’intelligenza. Momoa, per i figli ti consiglio Miyazaki,
la Pixar o tutt’al’più i CLASSICI, così sarebbe la volta che impari qualcosa
anche tu su come scegliersi i film giusti in cui recitare.