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Sweet Tooth – Stagione 1 (2021): Io rinascerò, cervo a primavera

È nato prima l’uomo o la pandemia? Nel senso, pensate che
considerando l’ultimo strambo anno e mezzo che abbiamo vissuto, le storie che
utilizzano una pandemia globale come spunto iniziale, aumenteranno oppure erano
già nell’aria prima di tutto questo gran casino? Inizio criptico per un post lo
so, lasciatemi argomentare meglio.

Di sicuro tra i motivi che hanno sparato “Sweet Tooth”, dritto tra
le serie più viste su Netflix in questo momento, anche il gancio con la realtà,
una storia che comincia con un virus letale che spazza via buona parte della
popolazione, trasforma i nuovi nati in strani ibridi umano-animale e costringe
i sopravvissuti, alla paranoia e all’uso delle mascherine, non può che
risultare al passo con i brutti tempi, anche se l’idea Jeff Lemire l’aveva già
avuto nel 2009, visto che il suo fumetto “Sweet Tooth” è stato pubblicato dalla
Distinta Concorrenza fino al 2013, uscito con l’etichetta della leggendaria
Vertigo che negli anni, tante gioie fumettistiche ci ha regalato e a ben guardare, il lavoro di Lemire è stata
una delle ultime volte in cui il drago ha mosso la coda.

Che carino! Possiamo ehm, adottarlo? Come si dice in questi casi?

Ispirato a L’ombra dello scorpione di King, a “La strada” di Cormac McCarthy e con un finale
che per stessa ammissione di Lemire, ricalca in parte le scelte stilistiche
della conclusione di Six feet under,
la storia parte dalla pandemia nota come il grande crollo e dalla nascita di
questi strambi bambini ibridi, per raccontarci la storia di Gus, bimbo di nove
anni con caratteristiche corna da cervo sulla capoccia, cresciuto dal papà in
un isolato bosco del Nebraska, che per lui è una sorta di “bolla” (altra parola
diventata di moda dopo il 2020), una sorta di idilliaca Contea, da cui come
Bilbo (o Frodo) il nostro Gus dovrà partire, finendo per abbandonare il
sentiero sicuro, in quella che sarà per lui un viaggio dell’eroe, ma anche di crescita.

Quando scopri che hanno appena aperto la stagione di caccia al cervo.

“Sweet Tooth” ha dentro la sua pancia elementi da favola, si
possono trovare tanti rimandi Tolkeniani ma anche svariati altri archetipi
narrativi, perché là, fuori dal suo bosco sicuro, Gus dovrà fare i conti con un
mondo armato di denti e sempre pronto ad utilizzarli. Il suo unico scudo sarà
“Big Man”, un vagabondo di nome Jepperd, duro come un chiodo da bara che lo
proteggerà e insieme, finiranno per formare una coppia in stile Lone wolf e Cub,
oppure Mando e Baby Yoda se
preferite.

Iniziamo proprio da “Big Man”, nel fumetto è rappresentato e
raccontano un po’ come, immaginate il Clint Eastwood di “L’uomo nel mirino”
(1977) ma con un passato da giocatore di Hockey professionista. Jeff Lemire ha
più volte dichiarato che per un possibile adattamento, sarebbe stato perfetto
il Liam Neeson del film “The Grey” (2012), solo che con Netflix di mezzo, “Big
Man” è diventato un ex giocatore di Football fatto a forma di Nonso Anozie.

Da Darkman a Blackman.

Sapete bene come la penso sulla faccenda del “Politicamente
corretto alla grappa”, mi sono già largamente espresso in merito, piuttosto che perdere tempo a sottolinera
l’ovvio, ovvero che Nonso Anozie non somigli per niente a Liam Nesson o Clint
Eastwood, preferisco far notare come l’attore visto nel pessimo Artemis Fowl, qui sia davvero molto
bravo e in linea con l’adattamento – che deve sempre esserci quando un’opera
passa da un formato all’altro – curato da uno dei miei preferiti, ovvero Jim Mickle.

Dopo la fine prematura della serie Hap & Leonard (ammazzata perché troppo bella rispetto alla
media delle serie tv in circolazione, non ho altre spiegazioni) Mickle ha
trovato rifugio sotto l’ala protettiva di Netflix, il risultato con “Sweet
Tooth” è molto migliore rispetto al modesto All’ombra della luna, bisogna dirlo.

Bisogna anche dire che Mickle ha davvero portato la sua
esperienza sul piccolo e grande schermo in questa serie, la prima stagione di “Sweet
Tooth” copre il primo arco di storie, fermandosi a ridosso del secondo ciclo,
quello decisamente più cruento, pescando giusto qualche personaggio (come l’ex
compagno di squadra di “Big Man”) e qualche situazione necessaria a presentare
meglio la trama, che arrivano dagli ultimi numeri del fumetto di Jeff Lemire.
Insomma il lavoro di adattamento c’è stato, specialmente nel tono generale.

Non tutti gli eroi hanno il mantello (qualcuno ha le corna)

Netflix ha di molto addolcito personaggi e situazioni, il
tratto dei disegni di Lemire è spesso spigoloso, ruvido ma ben adatto ad un fumetto in cui
i personaggi hanno denti e qualche volta artigli, senza nessuna paura di
utilizzarli. I detrattori diranno che è tutta colpa di Netflix, passato come pialla su
sangue e violenza (anche nei contenuti), ma a mio avviso Mickle ha fatto un buon
lavoro, perché malgrado le differenze, la serie procede ad un buon ritmo, forse
con qualche lungaggine di troppo negli episodi che precedono l’ultimo della
prima stagione, ma nulla di davvero drammatico.

Anche sul piccolo schermo si finisce per affezionarsi al
piccolo Gus (qui decisamente più bellino della sua controparte cartacea, che
oltre alle corna era disegnato con una faccia a forma di ferro da stiro), ma
anche a “Big Man”, duro dal cuore d’oro sì, ma con scheletri nell’armadio che
lo rendono un personaggio più sfaccettato, recitato davvero alla grande da Nonso
Anozie, a mani basse il migliore di tutta la serie.

Bisogna dire che nella serie Gus è un po’ più bellino.

Per certi versi “Sweet Tooth” nel suo passaggio al piccolo
schermo, dimentica l’etichetta Vertigo dalla quale proviene e abbraccia la “N”
rossa di casa Netflix, il risultato è un Love and Monsters, se fosse stato una serie tv e non un film (forse)
autoconclusivo. Il lavoro di “normalizzazione” della storia passa anche da
alcune scelte un po’ pigre, come ad esempio Will Forte nei panni
del padre di Gus, un attore che di fatto è nuovamente un Last man on earth, che però stempera con ironia un ruolo con più di
uno spigolo.

“Qualunque cosa succeda, non dimenticare mai le parole di Falling Slowly

Insomma, sono sicuro che una grossa fetta di pubblico verrà
conquistata da questo viaggio dell’eroe (cornuto) e che la serie verrà presto
confermata. Nel suo passaggio sul piccolo schermo è diventata qualcosa di più
edulcorato, ma anche più al passo con i tempi, fa un certo effetto vedere i
personaggi in preda alla paranoia indossare una mascherina anche qui, l’avviso
per tutti quelli che avranno voglia di continuare il viaggio con Gus senza
dover aspettare Netflix è semplice: occhio che il fumetto è molto più
cattivello, il che è allo stesso tempo un motivo ma forse, anche un incentivo
per qualcuno.

In tutta onestà poi, devo aggiungere che forse, sulla lunga
distanza, una serie così esaurito l’entusiasmo iniziale dettato dalla novità e
dal buon adattamento, potrebbe finire per annoiarmi. Anche perché questa storia
prima o poi, i denti del titolo dovrà usarli per mordere un po’ il pubblico. Mi
auguro solo che Netflix non si sia messa in testa di narcotizzare completamente
la favola nera di Jeff Lemire.

Penso che le storie che utilizzeranno la pandemia come punto
di partenza, saranno sempre più popolari, Mickle ha saputo rendere “Sweet Tooth”
molto più per tutti, anche trovando il modo di risultare estremamente
contemporaneo, anche se sono felice di aver conosciuto i personaggi prima sulle
pagine dei fumetti, i bordi taglienti non mi hanno mai spaventato e le favole
come questa “Sweet Tooth”, un tempo spaventavano per insegnare qualcosa, un
dettaglio che nel corso degli anni abbiamo (purtroppo) dimenticato.

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