Quinto Moro è ricascato nella dipendenza e vi
racconta il sequel di un cult degli anni ’90. Ieri sceglievate la vita, oggi
guardate dove vi ha portato la vostra scelta. Bentornati in fila per il vostro cine-metadone
giornaliero.
po’ così? Della serie chi ce l’ha fatto fare? Però aspettate a darlo per morto.
Ve lo dico subito: non è di quei sequel fatti per battere cassa e giocare
sull’effetto nostalgia, ma per parlare di quei personaggi vent’anni più vecchi
e ad un pubblico vent’anni più vecchio. Ma a scanso di equivoci, se il primo Trainspotting non l’avete mai visto, andate a recuperarlo o saltate pure il
sequel. Perché sì, T2 ha qualcosa da dire, ma al pubblico di prima visione darà
molto meno.
ma cosa si sono fatti quando hanno scelto di chiamarlo “T2”? T2 ce n’è uno solo e diciamolo, nessuno sentiva il bisogno di un sequel. Ok,
il “Trainspotting” romanzo aveva un sequel che si intitolava “Porno”, ma non
c’azzecca nulla con questo film.
L’impressione all’uscita era di un diffuso disinteresse.
Al botteghino incassò una scrollata di spalle, costato 10 volte tanto il primo
film, ripagò i costi di produzione e poco più. Certo, nel frattempo Ewan
McGregor era diventato Obi-Wan Kenobi, Danny Boyle un regista da Oscar grazie a
un film su “Chi vuol esser milionario” in salsa bollywoodiana, e abbiamo capito
il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco (cit.) Ma T2 non
ci prova nemmeno ad applicare la regola aurea dei sequel: “uguale al primo, ma di
più”. Si muove su tutt’altri binari. Ed è grazie al cambio di prospettiva e di
ritmo che riesce a non deragliare, e ad avere una ragione di esistere.
Che avete da guardare? Mai visto un sequel senza ragione di esistere? |
Di norma i sequel a decenni di distanza sono
operazioni infami, per battere cassa, inventarsi nuove saghe o cavalcare l’onda
lunga della peggiore nostalgia, con strizzate d’occhio da congiuntivite e copiature
del vecchio successo da imitare e riproporre.
“La musica sta cambiando. Le droghe stanno
cambiando” diceva Renton nei ’90. Adesso la musica è di nuovo cambiata e pure
le droghe. Boyle, che sarà pure inglese ma non è scemo, non ci ha pensato
minimamente ad imitare il Trainspotting del ’96, anche se due o tre scene a
montaggio schizoide ce le ha messe, ma lui è fatto così. La tecnica è la
solita, la fotografia patinata dai colori accesi – con qualche scena quasi
psichedelica – qualche trovata scema il giusto, un po’ di ruffianeria. Danny
Boyle insomma. E Danny richiama nella mischia tutti, ma proprio tutti i membri
della vecchia banda, che rispondono puntualmente all’appello, protagonisti e
comparse. Il nome più importante però è John Hodge alla sceneggiatura, quello
che se aveva fatto un mezzo miracolo a dare uno script coerente al primo film,
si guarda allo specchio, si vede vent’anni più vecchio e trova l’unico modo
possibile di scrivere una storia interessante.
M-mi stai dicendo che hai sc-scritto questa roba per affrontare l-la crisi di m-me-mezza età? È f-forte sai. Possiamo intitolarla “40 anni tossico?” |
Ewan McGregor, diventato un nome da cartellone, si
è lasciato convincere proprio dalla sceneggiatura di Hodge, che aveva ancora
qualcosa da dire sui vecchi personaggi. Renton è forse il più anonimo del
sequel perché serve ad innescare gli eventi, il suo ritorno a casa offre uno
sguardo nuovo sui vecchi amici e nemici. Johnny Lee Miller è un Sick Boy in
piena forma, stronzo al solito, che si mostra per il perdente che è senza più
toni di superiorità. Robert Carlyle, pur ingrigito e ingrassato, è un Begbie ancora
cazzuto e spaventoso, trasformato in vero e proprio villain che dà una
raddrizzata al finale.
spacciatore di supposte all’oppio nel primo film e ricettatore nel secondo. La
sorpresa è Ewen Bremner più Spud che mai, a mani basse il personaggio più
malinconico di questo sequel, e vien da pensare che gran film sarebbe stato uno
spin-off incentrato sul buon vecchio Spud, e ‘fanculo quegli altri. Spud è
rimasto invischiato nella dipendenza, è il più fuori posto in un mondo che l’ha
superato senza mettere la freccia e l’ha travolto. È quello che non riuscendo
ad andare avanti tiene le fila di un passato atroce e confuso.
Se in questo film non vi viene voglia di abbracciare il vecchio Spud siete delle brutte persone. |
A fare un nuovo film su una banda di vecchi
tossici, non si poteva parlare delle stesse cose. Della droga non gliene frega
più un cazzo a nessuno, non perché sia sparita, ma perché non è più un’incognita
sconosciuta. La presa di coscienza verso le droghe pesanti (l’eroina su tutte)
è stata infine assorbita, l’argomento spedito oltre i radar delle pubblicità
progresso. Il pubblico degli anni ’90 è stato l’ultimo direttamente interessato
all’argomento, almeno su vasta scala.
T2 funziona nel continuare a raccontare la storia
della provincia scozzese (e non solo), mostrandoci un mondo che sembra cambiato,
ma non lo è affatto, anche perché a viverlo ci sono i soliti sfigati di sempre,
un po’ meno tossici ma ugualmente disadattati. Tutto è un po’ più lento e
noioso perché a invecchiare si diventa più lenti e noiosi, e se i grandi vuoti
e le grandi sofferenze della gioventù colpiscono in un modo, quelle di
quarantenni e cinquantenni che idealizzano la gioventù, anche quando era uno
schifoso guazzabuglio di risse e buchi, si va tristemente sul patetico.
Se Trainspotting iniziava con l’iconica fuga di
Renton e i suoi amici dagli sbirri, ora che Renton ha scelto la vita la sua
corsa è su un tapis roulant, finché un infarto non lo riporta indietro, nel
tempo e nello spazio, a Edimburgo, da quelli che ha lasciato indietro.
Boyle butta lì i suoi montaggi musicali e momenti
grotteschi, ma sembra più che altro una posa per richiamare il passato e
ricordare a se stesso (e a noi) che questo è un sequel. Se vent’anni fa John
Hodge riusciva a trasformare i racconti sconnessi di Welsh in una sceneggiatura
coerente, qui ci prende per mano in un viaggio nel tempo che amplia le
relazioni tra i personaggi. La sceneggiatura si distacca dal vero sequel (il
romanzo “Porno”) per attingere nuovamente da Trainspotting (sia libro che
film), e dare sin troppa coerenza alla vita di Renton e compagni.
“Immagini altri 20 anni a mangiare questa merda?”, “Speriamo di morire prima cazzo” |
sul mondo e sulla tossicità: non è più quello che ti spari in vena che ti fa
marcire, ma quello che ti circonda quando non ti fai. Peccato che l’unico modo
per apprezzare l’idea sia rendersi conto d’essere 20 anni più vecchi. E infatti
non c’è più la scoperta di nulla, nella storia così come nella confezione del
film. Pure la colonna sonora, accettabile, brilla solo nei remix dei vecchi
brani. Gli schemi si ripetono, le relazioni tra i personaggi sono quasi le
stesse che in passato.
Tutte le storie e gli intrecci tra i personaggi
sono fiacchi, stanchi, affogati in uno squallore reso molto più ordinario e
banale dal passare del tempo, dalla maturità degli interpreti. Il che è tanto
garanzia di noia e bruttezza quanto di sincerità, a seconda di come ti prende il
racconto. Ci sono Spud e i suoi demoni, Renton e Sick Boy protagonisti di una
bromance con tanto di bella straniera pronta a dividerli, fallimenti, ex mogli
e figli fuori campo. Persino Begbie aggiunge la sua insospettabile dose di
fragilità e disagio. Scappato di prigione si ritrova mezzo impotente e con un
figlio bravo ragazzo che è il suo opposto.
I tempi sono cambiati. Pure i cessi sono cambiati: una volta luoghi di speranza, ora da resa dei conti. |
ripetitivo. Ma sempre in modo sincero. Non è frizzante o anarchico come il film
del ’96. Non pretende di esserlo. Non vuole esserlo. È una resa. Perché quel
finale, con un Renton che ha fatto un giro su se stesso e si ritrova al punto
di partenza, è una presa di coscienza della fine di ogni speranza, di ogni
brivido di gioventù. La resa ai luoghi da cui volevi scappare, ma a cui sei
rimasto legato, che sono parte di te e ti tengono imprigionato. Con le loro
storie e le loro miserie. Coi ricordi da gioventù e infanzia bruciata che sono
lì ad ogni angolo di strada, e come Renton li rivedi ogni volta che passi per
quella strada di periferia dove hai bruciato i tuoi anni migliori.
Cazzo se è un film di merda, a buttarti in faccia
come il tempo può passare senza cambiare nulla, stendendo un velo pietoso sul
passato e sul futuro.
P.S. la Bara Volante declina ogni responsabilità
per attacchi depressivi e istinti suicidi conseguenti alla visione di questo
film o lettura di questo post. Scegliete voi cosa leggere e cosa vedere.
Scegliete la vita. Poi sono cazzi vostri.