Come si capisce il valore di un blogger? Dalla qualità delle sue fonti parafrasando “The Wire”, se non fosse per il più grosso fanatico di Kevin Smith in circolazione (ciao Leonardo), mi sarei perso l’uscita americana di “The 4:30 Movie”, ultima fatica del regista del New Jersey.
Ultima fatica che va detto, non è un seguito di uno dei suoi titoli storici e nemmeno – grazie al cielo! – un altro dei suoi “horror” tra molte virgolette, ma è soltanto uno dei suoi micro film istantanei, girati con una pletora di amici e una manciata di attrici e attori giusti, uno di quei titoli che Smith riesce a girare con così pochi soldi che non appena escono in sala, anche in poche compie, si paga le spese. Regole di ingaggio: i detrattori potrebbero dire che è un po’ sempre la stessa storia, che poi è il modo semplice per riassumere cosa fa un autore, va anche detto che da quando ha smesso di fumare, il buon Kev ha sviluppato la propensione alla nostalgia, in questo caso per nostra fortuna non malinconica e nemmeno eccessivamente ruffiana, trattandosi comunque di un film ambientato nella giornata del 25 maggio del 1986, quindi volendo, ad alto tasso di anni ’80 di plastica come va fin troppo di moda oggi.
Brian David (Austin Zajur, in un perfetto ruolo da giovane alter ego di Kevin Smith) telefona al locale ristorante cinese, ufficialmente per ordinare qualcosa, in realtà per parlare con Melody Barnegat (Siena Agudong), la caruccia con cui è quasi arrivato in seconda base la scorsa estate, prima del panico da imbranataggine. Ma questa volta Brian fa sul serio è da nerd di cinema e robe Pop, ha intenzione di invitare la ragazza per l’uscita suprema, che per un fanatico di cinema può essere solo una: andare insieme al cinema.
L’occasione è l’uscita non di “Poltergeist 2”, comunque molto ben pubblicizzato nei dialoghi, ma del film su Bucklick (non “Buttlick”, mi raccomando!), la fortunata serie di libri preferita della madre di Melody, in programma oggi alle quattro e mezza del pomeriggio nel locale Atlantic Cinemas, per altro gestito dal Mr. Chow di “Una notte da leoni”.
Il piano è perfetto: Brian ha intenzione di passare la giornata all’Atlantic con i suoi amici Burny (Nicholas Cirillo) e Belly (Reed Northrup), guardando o riguardando tutto quello che è in programma in attesa dell’uscita con Melody, necessario visto che “Bucklick” è vietato ai minori e bisognerà trovare il modo di intrufolarsi in sala, quindi tanto vale essere già sul posto no? Da qui in poi il film si scrive da solo o meglio, lo scrive Kevin Smith pescando molto probabilmente dai cassettini della memoria, quindi se non altro lo fa molto bene, con dialoghi che filano alla grande, personaggi tridimensionali di cui impari subito il nome e i soliti riferimenti alla cultura Pop.
Troppo ghiotta l’occasione di essere di nuovo nel 1986 e poter scherzare sul fatto che l’annunciato film di Batman sarà un flop, nessuno andrà mai a vedere un film su Batman, oppure sul fatto che dopo “Piramide di paura” non ci saranno mai più scene dopo i titoli di coda nei film o peggio, un nuovo Star Wars, magari spezzettato lungo piccole serie tv su che so, Boba Fett, dai è assurdo!
Superati questi doverosi passaggi citazionisti, tutto sommato giocosi e non urticanti, “The 4:30 Movie” è un piccolo romanzo di formazione con tutte le sue cosine al suo posto, un certo quantitativo di battutacce sboccate (molto meno della media dei film di Smith) ma in compenso, un manifesto e gigantesco amore per il Cinema. Ora, sicuramente è l’ambientazione del cinema di provincia e la comunanza di origini a determinare quello che sto per scrivere (entrambi i registi sono del New Jersey) ma a suo modo “The 4:30 Movie” è per Kevin Smith quello che Matinee era stato per Joe Dante, con una differenza di resa finale che mi farà sempre protendere per Mighty Joe, ma già il fatto che mi abbia fatto scattare il paragone con uno dei miei film del cuore, sono tutti punti a favore di Smith.
Il nostro Silent Bob riesce a portare avanti la trama adolescenziale in parallelo con un omaggio piuttosto spudorato e autenticamente di cuore al cinema, al modo in cui – posso dirlo – noi appassionati lo viviamo e a tutto quello che ruota intorno, che poi di solito è la vita stessa. Ecco quindi che il primo film in cartellone, “Astroblaster and the Beaver man”, oltre ad un’ottima occasione per snocciolare doppi sensi sulla parola “Beaver” che negli Stati Uniti non vuol dire per forza solo castoro (anzi!), risulta essere una sorta di affettuosa presa per i fondelli a Flash.
Infatti è quasi un peccato non si veda nemmeno un fotogramma di “Dental School”, un film presentato come pieno di tette, quindi una sorta di “Porky’s” se vogliamo o proprio di “Bucklick”, anche perché a quel punto è giusto che Brian sia più concentrato su Melody che sul film, e che debba guardarsi dagli agguati della mamma e della zia di Melody e con tutto il rispetto per Kate Micucci, fa sempre piacere veder tornare Rosario Dawson nel View Askewniverse.
Anche se quello che considero quasi un regalo è il più clamoroso dei ritorni nell’View Askewniverse, completamente a sorpresa, in un ruolo che dura qualcosa come otto secondi, ho visto tornare davanti alla macchina da presa… Jason Lee! Ormai ufficialmente un fotografo a tempo pieno, uno che è nella vita è diventato un vero “Clerk” perché ha aperto il suo negozietto di fotografia (storia vera) e che è tornato qui a fare l’attore, per otto secondi ok, ma proprio grazie all’uomo che lo aveva lanciato. Va bene, non sarà la stagione finale e (davvero!) conclusiva di My name is Earl che sognavo, ma me lo farò bastare.
Perché come al solito Kevin Smith trova il modo di infilare nel film tutti i suoi amici, Justin Long compare qualche secondo nella parte di quello che nel futuro dell’anno 1986, sarebbe l’utente medio di “Infernet”, quello che parla in maniera ossessiva di un film (nel suo caso Rocky IV) che però non ha nemmeno gradito, ne esistono fin troppi di personaggi del genere, credetemi.
Più che le apparizioni di Method Man e Jason Biggs (alle prese con la versione locale dei Ghoulies) ho trovato divertentissimi i finti trailer prima dei vari spettacoli, anche se l’horror scandinavo censurato in dodici paesi era promettente, il più vistoso resta “Sister Sugar Walls”, che sembra un po’ la versione di Kevin Smith de “L’angelo della vendetta” (1981) di Abel Ferrara con dentro però sua moglie, la figlia Harley Quinn Smith nei doppi panni e gli amici di sempre, Brian O’Halloran, Jeff Anderson e Jason Mewes. Tutto molto divertente, io ora però spero che a Smith non venga l’idea di mettere su la sua operazione “Grindhouse” personale, trasformando questi “Fake Trailer” in veri film, mi basta l’uomo tricheco nato dal podcast, grazie.
I pregi del film sono comunque parecchio cuore, un’abbondante dose di onestà non ruffiana alla base che mi era mancata negli ultimi lavori di Smith, certo, anche qui compare una scena dopo i titoli di coda che è una strizzatina d’occhio, ma è tutto talmente gestito in leggerezza da non risultare urticante.
Difetti? “The 4:30 Movie” dura 88 minuti, di cui gli ultimi dieci (abbondanti) sono composti da titoli di coda, la citata scena “post credits” e addirittura i “Bloopers”, gli errori sul set con le scene sbagliate, insomma siamo quasi al limite del mediometraggio e va detto, che nella parte centrale, il film ha una certa flessione nel ritmo che nel primo e nel terzo atto, invece è decisamente più friccicarello complici anche i solidi dialoghi, insomma, tutto sommato sono problemi se vogliamo secondari, per un film che come detto è piccolo così, ma con dosi abbondanti di cuore.
Insomma “The 4:30 Movie” è un film di Kevin Smith, nel senso migliore del termine e devo dire che anche se non cambierà l’ordine dei titoli della vostra personale classifica del padrino dei Nerd, mi ha fatto molto piacere tornare lungo il viale dei ricordi di uno che da sempre, ha la stessa nostra passione per il cinema e tutta quella roba da Nerd senza ritorno, se questi sono gli effetti dell’aver smesso di fumare Kevin, ti faccio sparire gli accendini da casa.
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