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The Ambulance (2005) vs. Ambulance (2022): la Danimarca contro Michael Bay

L’uscita del nuovo film di Michael Bay è l’occasione per portare avanti la tradizione dei Versus della Bara Volante, quindi se per caso dovesse servirvi un’ambulanza, oggi ne avrete due.

The Ambulance (2005)

Tim (Paw Henriksen) è il fratellino cocco di mamma ossigenato, Frank (Thomas Bo Larsen) quello grande che in galera non vuole tornare, insieme hanno un piano: rapinare una banca, dentro e fuori senza feriti, senza sparare nemmeno un colpo, ma più ricchi di 130 mila Corone, tutti soldi da utilizzare per curare la malattia di mammà, cosa può andare storto? Tutto, a partite dai ben pochi mezzi messi in campo da questo film.

Il regista Laurits Munch-Petersen fa di necessità virtù, inizia il suo film con i fratellini calza di nylon in testa e via in banca, dopodiché tiene la macchina da presa fissa sulla strada mostrandoci un’ambulanza accostare a fondo strada, può sembrare un omaggio a Le Iene l’idea di non mostrare la rapina ma solo i suoi effetti, in realtà è il modo più pratico per tener basso il costo (e li minutaggio, il film dura appena 80 minuti) di un film goffo in più di un passaggio, a partire dalla fuga dalla banca, perché da quanto ho capito, la polizia Danese è addestrata secondo il principio “Milano Copenaghen odia: la polizia non può sparare”, altrimenti i rapinatori improvvisati sarebbero morti sulla soglia della banca al secondo minuto del film.

Il sistema sanitario danese in azione. Ah-Ah avete capito? Azione perch… Ok la smetto.

Invece i due scappano rubando l’ambulanza solo per scoprire che sul retro ci sta una bionda paramedica di nome Julie (Helle Fagralid) alle prese con un paziente appena colpito da un infarto, considerando che il film mette subito in chiaro che i due criminali da strapazzo sono più sfigati che veramente cattivi, il film è davvero tutto qui, in fuga dalla “Madama” (in scene d’inseguimento lente e piuttosto sgraziate) i due all’inizio sembrano impegnati più in una commedia che in un film drammatico, poi tutto sommato grazie agli attori e all’andazzo del film è chiaro che la banda fratelli abbia più voglia di risolvere i loro casini che di provocarne.

Anche se è Laurits Munch-Petersen poi porta avanti un film con due criminali improvvisati e una paramedica che pare appena uscita dal corso di formazione, che per citare un pezzo famoso dei Mötley Crüeha bisogno di telefonare ad un medico prima di fare la sua prima iniezione di adrenalina nel cuore, come se fosse un Vincent Vega qualunque.

Non so come si dica simpatici pasticcioni in danese, però ecco, questi tre lo sono.

Non ho mai avuto la fortuna di visitare la Danimarca, ma a giudicare dal film del 2005, perdersi da quelle parti sembra facilissimo per chiunque, polizia compresa che riesce a farsi seminare dai due fratelli, armati solo della radio a bordo e dell’equivalente locale del Tuttocittà (giuro, non sto inventando nulla). Quello che funziona del film è il suo riuscite tutto sommato a tenere i personaggi a bordo dell’ambulanza del titolo, grazie a delle motivazioni sensate, quando i due fratelli litigano tra di loro lo fanno per dei motivi sensati, inoltre il personaggio di Tim copre un arco narrativo decente, in cui le sempre più ansiogene telefonate materne gli ricordano l’etica e le motivazioni dietro al suo gesto ben poco etico, anche se tutto poi si risolve con la solita storia di fratelli e famiglia, per un film che visto nella “bolla” di un film festival (non ho verificato, ma immagino che ne abbia girato qualcuno) potrebbe avere un senso. “Ambulance” può darti un po’ di respiro dopo una giornata passata a guardare drammi dal Nicaragua oppure Horror girati con due spicci, ma ad esempio anche solo su Netflix (dove lo trovate comodamente) è stato ignorato, perché è un film guidato dai personaggi che però avrebbe avuto bisogno di qualche revisione per eliminare i passaggi di trama più forzati e di una regia meno maldestra, ecco perché a sirene spiegate è arrivato Michael Bay.

Ambulance (2022)

Ora io non so se Michael Bay un giorno, svaccato sul divano dopo aver fatto esplodere un paio di elicotteri facendoli scontrare uno contro l’altro in volo, abbia deciso di gironzolare sul catalogo di Netflix imbattendosi nel film originale del 2005, oppure sia solo inciampato nella sceneggiatura già pronta scritta da Chris Fedak, ma affidare proprio a lui la storia dell’ambulanza in fuga è come dare un petardo ad un piromane esperto di esplosivi, chiunque altro con una piccola miccetta sarebbe innocuo, Bay anche con quella potrebbe infiammare il mondo, oppure limitarsi a Los Angeles, come ha deciso di fare qui.

Ci tengo a precisarlo, ho visto il film Danese dopo aver visto quello di Bay, l’ho fatto perché diversi passaggi non tanto della trama (che con i film di Michele Baia il più delle volte può essere poco più che un canovaccio), ma proprio delle motivazioni e delle implicazioni morali dietro ai personaggi, non mi avevano convinto quasi per nulla. Nella storia ci vedo molto dello zampino di Bay, ad esempio in tutto quell’abuso di ironia a cui non dico mai di no, ma se proprio dovessi criticare qualcosa del cinema di Michele Baia sarebbe proprio il suo senso dell’umorismo scadente, che metà delle volte mi fa sentire in colpa nel proteggere il suo operato dai tanti (troppi) detrattori e l’altra metà delle volte mi fa coprire il volto esibendomi nel più classico dei Facciapalmo.

B.A.Y Paramedici in prima linea.

Se il poliziotto sulle piste dei rapinatori Danesi era una voce alla radio, qui raddoppia, non basta lo sbirro con berretto da baseball interpretato da Garret Dillahunt, che gira su una Fiat 500 (modello vecchio, nemmeno quella nuova) con a bordo un enorme Bullmastiff, ma ci vuole anche l’agente FBI esperto di rapine Keir O’Donnell, che nulla mi toglie dalla testa, in quanto personaggi “empatico” sia stato affidato ad un attore uomo e caratterizzato come omosessuale nel film, quando di norma un ruolo del genere sarebbe stato ricoperto dalla solita “sbirra” donna tosta, però non ho idea di quante mani abbiano rimaneggiato la trama, anche se è chiaro che sia stata rimodellata attorno ai canoni della Hollywood del 2022.

Che il cinema di Bay sia popolato di professionisti che sono i migliori nel loro campo, non lo scopriamo certo oggi ma è più o meno da sempre che funziona in questo modo, infatti la paramedica a bordo dell’ambulanza non è una fragile biondina che pare al suo primo giorno di lavoro, ma è la tostissima Cam Thompson (quella meraviglia di Eiza González) che può tenere vivo chiunque per venti minuti ma poi ha difficoltà ad instaurare rapporti umani, basta così? No, parliamo dei due fratelli protagonisti.

No, non potete giocare al medico e l’infermiera, al massimo potete guidare l’ambulanza.

Will Sharp (Yahya Abdul-Mateen II) è un ex marines che ha servito il suo Paese con tutto il patriottismo necessario a prendere parte ad un film di Bay, il reduce avrebbe bisogno di una non ben specificata assistenza medica per il figlio malato, ma ha problemi a parlare con un operatore al Call Center che lo rimbalza, malgrado lui sia stato così eroico in Afghanistan, quindi decide di farsi giustizia da solo rivolgendosi al fratello magheggione Danny (Jake Gyllenhaal), che ormai è chiaro, ha un agente che gli propone solo rifacimenti di film Danesi. Will, considerati fortunato di non aver mai avuto a che fare con Telecom, su questo principio quando ho avuto problemi con Internet a casa avrei dovuto scatenare una guerra termonuclerare globale!

Come se fossimo in “Four Brothers” (2005) di John Singleton, Will e Danny sono fratelli adottivi di uno che ovviamente è stato il più grande rapinatore della storia, credo del suo condominio (vi ho già detto che nei film di Bay sono tutti super professionisti del loro settore vero?), proprio per questo Will si rivolge al fratello per trovare i soldi per questa fantomatica operazione non ben specificata, gli andrebbe bene anche – stando alle sue parole – “un colpo piccolo” ma guarda caso, proprio in quel momento Danny sta per partire per la rapina in banca della vita, quella che organizza da sempre ma sfiga! Mi manca giusto un uomo, vieni tu Will?

«Io non l’ho visto il film di Singleton», «Nemmeno l’originale con John Wayne?», «No», «Sei sicuro di essere mio fratello?»

Questo sarebbe, stando al cinema Yankee anno 2022, il modo per caratterizzare un rapinatore guascone che fa tutto per una buona causa e suo fratello, quello recalcitrante per cui “un colpo piccolo” sarebbe accettabile, ma davanti alla grande rapina per tutto il tempo fa la faccia che faceva mia madre quando io guardavo i film horror a sei anni: eh non si fa, però vabbè dai.

A questo aggiungiamo l’ostaggio, perché nel suo essere bulimico sotto tutti i punti di vista (dura 136 minuti e si sentono tutti), “Ambulance” deve esasperare ogni elemento della storia originale, quindi l’ostaggio ferito a bordo dell’ambulanza usata per la fuga è un poliziotto che si è preso una cotta per la cassiera della banca, che cerca l’occasione giusta per chiederle di uscire nel giorno sbagliato. Sul serio, non mi sto inventando nulla, la trama di “Ambulance” è davvero questa, per fortuna qui la rapina si vede e meno male aggiungo! Finalmente Michael Bay ha l’occasione per cimentarsi in un classico del cinema d’azione come una rapina in banca, il risultato però è meno rispetto ai Maestri che lo hanno preceduto, quindi non scomodiamo HillMann o Peckinpah, ma nemmeno Friedkin per il successivo inseguimento, Bay ci mette 40 minuti per presentarci tutti i personaggi, ci dà dentro con le sparatorie nella rapina, poi il suo film e i suoi veri propositi possono davvero iniziare.

Dovreste curare le persone non sforacchiarle!

Il vero piano di Michele Baia è quello di mandare in scena la più grossa partita a GTA mai vista sul grande schermo, cosa facevi a “Grand Theft Auto” quando avevi la polizia addosso? Entravi sgommando nel garage, cambiavi colore all’auto e continuavi tranquillo la tua partita. Ecco immaginatevi questo per “Ambulance”, però con Bay impegnato a giocare con le inquadrature tutte matte che ti offrono le macchine da presa pilotate da droni volanti e la morale dei personaggi, in continuo e pericoloso bilico sopra un crepaccio.

Come faccio io spettatore a patteggiare per uno come Danny, che non esita a tirare su il telefono per chiedere l’aiuto della peggior criminalità di Los Angeles? Dovrei patteggiare per lui perché ha la faccia di Jake Gyllenhaal ed è l’attore più famoso del film? Oppure dovrei prendere le parti di Will, uno che ha seri casini a casa e non voleva fare una grande rapina in banca, però per tutto il tempo del film (e ribadisco, dura 136 minuti) non rivolge nemmeno un pensiero al figlio malato nemmeno nel finale, dove tutto il climax sembra più interessato a sottolineare come Will fosse un bravo guaglione, che ha sempre aiutato tutti, anche durante la rapina?

Tana per Bay a cui scappa l’omaggio.

Devo fare il tifo per la polizia? Allora perché Bay li rappresenta tutti come una banda di idioti impegnati a fare battute sulle dita impiastricciate di patatine fritte e poi cacchio! Quell’umorismo idiota che ti tira proprio fuori dalla storia, con Gyllenhaal a recitare a volte un paio di metri sopra le righe, tra canzoncine da cantare con il fratello per stemperare la tensione e battute sui fenicotteri. No sul serio, come faccio ad appassionarmi all’inseguimento se i personaggi hanno tutti una moralità dubbia, ma non perché questa sia una storia ben cesellata, dove il confine tra buoni e cattivi sia labile come se fossimo in un Heist-movie degli anni ’70più che altro ad esclusione di Eiza González tutti i personaggi fanno scelte stupide e battute dello stesso livello, dando un bel calcio al secchio del latte della tensione e del coinvolgimento.

Questo bambine e bambini è il BAYHEM!

Quello che resta per nostra fortuna è il BAYHEM, scritto così, tutto maiuscolo, perché se “Ambulance” (2005) era un piccolo film goffo nelle scene d’azione ma con personaggi dalle motivazioni almeno decenti, questo è l’esatto opposto, hanno peggiorato lo spunto di partenza esagerando tutto quello che i Danesi avevano preferito suggerire, se Tim e Frank erano inseguiti da un elicottero, Michael Bay sulle piste della sua ambulanza ne manda uno squadrone! Se i danesi facevano ripartire un cuore con il defibrillatore, gli Yankee organizzano una partita a “L’allegro chirurgo” a 100 km/H (stando alle parole usate nel film), insomma il BAYHEM.

Quello che funziona di “Ambulance” è proprio la qualità degli inseguimenti, se per la rapina iniziale non dobbiamo scomodare nessuno dei Maestri del cinema d’azione, nemmeno per la successiva fuga mi sento di farlo, però il modo in cui le dinamiche della fuga sono sempre estremamente chiare anche quando Bay opta per angoli di inquadratura bizzarri a dorso di drone, questa sì è tutta farina del sacco del regista Losangelino che giocando in casa, fa correre quella maledetta ambulanza in lungo e in largo per la città, dai canyon di cemento resi un classico da Friedkin, fino alle strade popolate da gang.

Gli elicotteri stanno a Bay come il salame a Jacovitti.

Chiedere a Bay di abbassare i toni, di limitarsi a dirigere l’azione, sarebbe come chiedere a Ja Morant di non schiacciare in partita, o ad un vichingo di non saccheggiare, viene da mordersi le nocche delle mani per una trama che poteva tratteggiare buoni e cattivi con sfumature di grigio, invece preferisce urlare per allinearsi ai canoni del cinema americano del 2022, dove tutti i personaggi devono essere buoni buonissimi oppure cattivi in cerca di redenzione.

Il risultato finale è un film che non ha il prologo micidiale di 6 Underground (titolo che per altro rivedrei molto più volentieri di questo “Ambulance”) ma nemmeno il casino da far sanguinare le cornee dei suoi Transformers. Il vero rammarico è che Bay sia sceso dal letto con la voglia di fare caciara, non pretendevo proprio l’approccio serio di un “13 Hours” (2016), ma nemmeno quello di un regista che si cita addosso, infatti i due sbirri del film si chiedono se fare irruzione in stile Bad Boys e s’interrogano sulle battute del film The Rock, scambiato da uno dei due per un Wrestler. No, giuro che non mi sto inventando nemmeno questo, i dialoghi del film sono davvero questi.

Ammetto però che la gag della mascherina in banca mi ha fatto sorridere (storia vera)

Ma posso essere davvero onesto? Ho un blog intero per farlo quindi ecco la mia confessione. Sprofondato nella mia poltroncina al cinema, in equilibrio tra esaltazione per la regia e disagio per dialoghi e trama ero perseguitato da un pensiero ricorrente: «Cacchio quanto mi manca Tony, lo Scott giusto.»

Quell’ambientazione urbana, una stramba coppia di protagonisti, parte della classe operaria in fuga anche dalle istituzioni. Guardavo Yahya Abdul-Mateen II e pensavo a Denzel, guardavo il film e pensavo che Bay era il secondo pilota nella scuderia Bruckheimer, quando il primo era proprio Tony. Una volta “Ambulance” sarebbe stato il perfetto film dello Scott giusto, quello che sarei andato a vedere una volta all’anno uscendo contento dalla sala, con Los Angeles come sfondo avrebbe potuto rappresentare le prove generali per il remake di The Warriors su cui Tony aveva lavorato a lungo, invece lo ha diretto Michael Bay con gli enormi pro della sua regia e i notevoli contro del suo (dis)gusto per umorismo e trame, insomma: «Cacchio quanto mi manca Tony, lo Scott giusto», ed ora tutto a sirene spiegate a leggere il Zinefilo!

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