A nessuno piace chi gongola, ma nemmeno chi fa il Nelson
Muntz della situazione. Anche se questa volta mi tocca, perché è dal 2019 che lo
dico che zio George A. Romero (la “A”
sta per amore, ve lo ricorderò sempre) prima o poi sarebbe tornato. Lo dicevo
perché ci credevo, lo dicevo perché sapevo che prima o poi “The Amusement Park”
sarebbe uscito.
Ora, in quanto appassionati di cinema, tra tutti i doveri quotidiani
da svolgere più o meno con piacere, il pensiero fisso va sempre al prossimo
film da vedere, qualche volta qualcosa di meraviglioso il più delle volte meno.
Ogni anno passiamo in rassegna centinaia di titoli sempre alla costante ricerca
del nostro prossimo film preferito, tanto che alcuni – quelli meno riusciti –
cadono nel dimenticatoio in breve tempo, sacrificati sull’altare della nostra
passione cinematografica. Bene, ora prendetevi un momento, fate un respiro
profondo, annusate l’aria, godetevi l’attimo, perché là fuori in questo strambo
2021, esiste un film di zio George che non avete mai visto. Al di là di
qualunque altro fattore, questo è qualcosa che non accadrà spesso, anzi molto
probabilmente mai più, quindi ricordate questo momento, fissatelo nella testa,
non so voi, ma da enorme appassionato del cinema di Romero, questo lo considero
un regalo reso ancora più prezioso dal fatto che dal 16 luglio del 2017, lo ammetto candidamente, non mi sono ancora
pienamente ripreso (storia vera). Ed ora, un piccolo ma doveroso passo
indietro.
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“Benvenuti al |
Nel 1973, la società luterana è alla ricerca di un regista
per dirigere una pellicola educativa, sul tema dell’abuso senile, qualcosa in
grado di sensibilizzare il pubblico al tema degli anziani lasciati soli al loro
destino. Il prescelto, per dirigere la sceneggiatura scritta da Wally Cook, potete immaginare chi sia stato, uno del luogo, infatti George “Amore” Romero girò
questo film della durata di poco più di 50 minuti nella sua Pennsylvania, in
particolare nel parco di divertimenti di West View.
Una volta terminate le riprese, senza quasi attori
professionisti ma solo comparse locali (tra cui lo stesso Romero), il nostro
proiettò la sua pellicola in 16mm al committente che non la prende proprio benissimo.
Il risultato venne definito “infernale” (storia vera) e il film dimenticato,
almeno fino al 2018, quando Daniel Kraus
(uno che ha dimostrato di amare visceralmente il cinema di Romero) non ritrovò una copia del film, che è stato restaurato dalla IndieCollect e dalla George A.
Romero Foundation, composta dai parenti del regista e da alcune personalità di
spicco, molto vicine a zio George.
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“Qui non si bada a spese. Questa volta abbiamo un finanziatore anche se un po’ tirchio” |
So cosa state pensando, in effetti sembra già cominciata. Lo
abbiamo visto per Bruce Lee e Jimi
Hendrix, vuoi vedere che (beffa delle beffe) ora cominceranno ad uscire più
prodotti targati Romero di quanti non ne abbiamo visti finché zio George era ancora su questa Terra? Succede quando assorgi allo stato di leggenda. Inoltre mi sembra
di vederli da qui, tutti quei nasini che si stropicciano all’idea del primo ed
unico film su commissione della carriera di Romero, bisogna ricordare che dopo
aver rivoluzionato gli zombie (e il cinema) per sempre, zio George ha sempre
faticato per trovare fondi per produrre le sue idee, ha provato la strada della
commedia con There’s always Vanilla mentre il finale al fulmicotone di La città
verrà distrutta all’alba è il frutto anche di un budget terminato di colpo.
Inoltre parliamoci chiaro, questo film è stato definito “Infernale” per un
motivo no? Quel motivo è la soffocante continuità tematica di Romero, uno che
non ha concesso niente, nemmeno per un film su commissione.
“The Amusement Park” non è il titolo che vi farà cambiare la
vostra personale classifica dei migliori film di Romero, non è nemmeno quello
che farei vedere ad un Marziano in visita sul pianeta, per spiegargli il genio
di zio George. La mia idea di primo contatto: attaccare a parlare di cinema. “The
Amusement Park” è espositivo al limite del didascalico, il prologo e l’epilogo
narrato dall’unico attore professionista di tutta la produzione, ovvero Lincoln
Maazel (che sarebbe stato diretto nuovamente da Romero anche in Martin nel ruolo del diabolico Cuda),
rende il tutto ancora più espositivo, se già il film non fosse chiarissimo nei
suoi intenti, la parole di Maazel sembrano quella del committente, anche se
pilotate dallo spirito sovversivo di Romero.
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Il prologo e l’epilogo del film, tutto sulle spalle di Lincoln Maazel. |
Poi ammettiamolo, zio George è stato tutto, tranne che un
narratore criptico, anzi tutt’altro, le sue metafore sono sempre state
chiarissime, spesso sono arrivate al pubblico sotto forma dei suoi amati “Blue
collar monsters” come li chiamava lui, i suoi zombie operai. Anche se in tutte
le opere di Romero non è mai mancata la critica sociale, “The Amusement Park”
non fa eccezione e ve lo dico, non prende nemmeno prigionieri. Non so se
arriverai a definirlo “infernale”, ma quasi sette o otto chili d’angoscia
addosso me li ha gettati, ho avuto bisogno di qualche minuto di decompressione
dopo i titoli di coda (storia vera).
Dopo il prologo, ritroviamo Lincoln Maazel pesto e
sofferente in una stanza immacolata, un anziano acciaccato in una sala d’attesa
bianca come il suo abito. Dalla porta entra un secondo Lincoln Maazel,
sorridente, ordinato, che cercherà con il suo ottimismo di convincere il se
stesso incerottato ad uscire là fuori a fare un giro, senza però alcun
successo, perché intuire che questo sarà un film “circolare”, che inizia e finisce nello stesso punto, non è proprio impossibile.
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Invecchiare non è stressante, disse il protagonista. 27 anni. |
Là fuori per la precisione, sarebbe un parco di divertimenti
pieno di gente, un posto caciarone caratterizzato da una cacofonia (sì ma non
qui davanti a tutti, che schifo!) è un misto di suoni che
variano dalle risate della folla, alla cantilena delle musiche delle giostre,
fino alla marcia della banda, un gran rumore di fondo allegro ad un primo ascolto,
sempre più sinistro e grottesco con il passare dei minuti, insomma proprio come
l’andamento del film.
L’anziano protagonista senza nome prima deve trattare con un
loschissimo bigliettaio per entrare, poi una volta nel parco – evidentemente metaforico
– dovrà passare il suo tempo sul trenino o sulle montagne russe, oppure sugli auto
scontri, che presto diventeranno Pythoneschi, perché dopo uno scontro, vediamo
spuntare anche un poliziotto della stradale, chiamato a dirimere il contenzioso
tra un giovane autista da una parte e un’anziana signora dall’altra. Da qui in
poi zio George spinte a tavoletta sul pedale dell’auto scontro della
critica e non si guarda più indietro.
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Dare un nuovo senso all’espressione: bianco dalla paura. |
D’altra parte Romero non ha mai nascosto la sua ammirazione
per film come “I racconti di Hoffmann” (1951) di Michael Powell e Emeric
Pressburger, a cui pare quasi aver voluto omaggiare la natura episodica proprio
in questo “The Amusement Park”, che procede quasi rinunciando completamente ai
dialoghi – almeno in alcune porzioni della storia – per mettere in scena singoli episodi
che renderanno sempre più stanco, pesto e logoro il nostro anziano
protagonista. Nel parco di divertimenti metaforico di Romero, se hai i soldi
mangi al tavolo migliore, con il servizio più attento e curato e se la vista
sui “poracci” affamati non è di tuo gradimento, ti ruotano anche il tavolino
facendoti voltare le spalle agli affamati. Se invece non hai un centesimo, se
va bene ti becchi la sbobba da un cameriere ben poco cortese e considerati
ancora fortunato.
L’idea di intrattenimento per anziani del parco, è una bella
giostrina dove alcuni sanitari con camice ti mettono su una sedia a rotelle e
se per caso ti fai male o vieni aggredito da una banda di motociclisti, che non
possono non far pensare a quelli di Dawn of the dead, se va bene la sanità ti appiccica un cerotto in testa e ti
rifila un bastone da passeggio.
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Zio George trova anche il tempo per infilare il momento “cloro al clero”. |
“The Amusement Park” procede per accumulo, una collezione di
sketch grotteschi, resi di volta in volta più ansiogeni dalla regia di Romero,
che stringe sul primo piano stranito del suo protagonista e non prende
prigionieri, didascalico quanto voleva ma efficacissimo. Ad esempio la scena
dei due giovani innamorati, che decidono di farsi predire il futuro dalla
cartomante del parco, che in tutta risposta, mostra loro la fine della loro lunga vita
insieme, quando saranno entrambi anziani spiantati, bisognosi di aiuto ma ignorati dal
medico anche dopo una vita passata a pagare regolarmente le parcelle.
Avete presente Aldo, Giovanni e Giacomo alle prese con il
film neorealista («Eh ma questa roba è pesante…»), la mia reazione è stata in
alcuni momenti spesso la stessa. Non di certo per il minutaggio, il film ha un
ritmo ondivago ma si segue perfettamente, più che altro per la volontà precisa
di Romero (ma anche tutta la sua abilità) di farci calare perfettamente nella
situazione, con questo film zio George fa capire perfettamente allo spettatore,
il senso di isolamento e di impotenza di un anziano bisognoso, abbandonato da
una società che non si cura più degli elementi meno produttivi.
In più di un momento “The Amusement Park” è spudorato, quasi
ricattatorio, come la scena della bimba, un’ideale nipotina, che viene portata via dalla madre
in tutta fretta, mentre il protagonista sta ancora cercando di leggerle una
favola, tutti momenti che però raggiungono pienamente il loro intento. Non lo definirei “infernale”
quello no, ma angoscioso sicuramente, perché in poco più di 50 minuti, George
A. Romero riesce a mettere addosso allo spettatore 50 anni di rughe sulla
faccia e altrettanti chili di angoscia.
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“Ti racconto la favola del porcellino”, “Ma non erano tre?”, “Si ma non abbiamo tempo” |
Visto che quelle (poche) volte in cui vado al centro
commerciale, mi ritrovo circondato da tanti zombie che sembrano usciti da un
film di Romero, dovete capire che in molti momenti il mio cervello (o quello
che ne resta) si rifugia nel suo cinema, perfetto per semplificare la realtà
utilizzando l’arte. Prima che “How I met you mother” mi scippasse l’idea per
una gag di un episodio dell’ultima (ingloriosa) stagione di quella serie, avevo
pensato anche ad una sorta di “Old of the dead”, con gli anziani al posto dei
morti viventi. Ma la mia era l’idea arrogante di un giovanotto, resa già
giurassica da un film che non avevo ancora visto, ma che Romero aveva già
girato.
Se il cinema Horror è quello che serve a ricordarci la
fragilità del nostro corpicino, l’implacabile TICK TOCK dell’orologio che scandisce il
tempo (sempre meno) che ci separa dall’incontro con la Mietitrice, no non quella! Ma anche il genere
cinematografico che dovrebbe aiutarci ad affrontare le nostre paure, con “The
Amusement Park” Romero fa un centro pieno. Certo il film a volte arranca nel
ritmo come il suo protagonista e per natura, resta piuttosto didascalico però,
terribilmente efficace e se devo dirla tutta, anche al passo con i (brutti)
tempi.
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“Nooo! Rivoglio i miei venticinque anni!” |
Arriviamo da un anno e mezzo molto strambo, in cui l’acronimo
RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) veniva ripetuto nei telegiornali
costantemente, un lungo periodo passato a sentir parlare frettolosamente e il
più delle volte in servizi televisivi che andavano solo alla ricerca di lacrime facili, su anziani lasciati soli, qualche volta anche a morire ed è qui che sta il genio di George A. Romero.
Parlare di umanità non è facile, parlare del male che gli uomini fanno ancora
meno, anche se così facendo, si corre il rischio di diventare universali, a
patto ovviamente di farlo bene. “The Amusement Park” arriva dritto dal 1973 e
parla ancora della società occidentale odierna, la sua critica per quanto didascalica
non ha perso un grammo della sua forza, le intenzioni di Romero di farci
provare empatia per il suo anziano protagonista funzionano oggi come allora,
anzi forse oggi ancora di più, in virtù dell’ultimo strambo anno e mezzo delle
nostre vite.
Gli inglesi ad esempio, nel pieno del “lockdown” (anche se
clausura mi piace di più come termine) hanno fatto di We’ll Meet Again di Vera Lynn una specie di inno di speranza. Io
che sono nato strano, l’ho sempre trovata sinistra quella canzone (storia vera), per
certi versi sarebbe stata perfetta come colonna sonora di “The Amusement Park”,
considerando che prima o poi ci rivedremo tutti nel parco di zio George.
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“Bambini, voi la conoscete la storia di Re Giorgio primo ed unico?” |
“Stay scared” era la piccola dedica con cui Romero condiva i
suoi autografi, in questa vita diamo per scontati troppi fattori, la nostra
salute, la giovinezza, il fatto che ci sarà sempre un altro film del nostro
regista preferito da vedere, ma anche il dettaglio per cui un horror, dovrebbe
prima di tutto fare paura. “The Amusement Park” ci ricorda in un solo colpo
tutto questo, il nostro corpo è fragile con una data di scadenza e prima o poi
ci rivedremo tutti al parco, un giorno. Perciò restate spaventati e mentre
siete vivi e sani, quel tempo usatelo bene, per aiutare un anziano o per
guardare un bel film. O per guardare un bel film con un anziano, vi ho già
parlato della mia personale idea di primo contatto no? Ecco, stessa cosa.
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Potete essere fighi, ma mai quanto George “Amore” Romero che dirige con i braghini a righe. |
Romero ha dichiarato che aveva un obbiettivo: fare un film
prima di morire e un altro, dopo essere “ritornato”. Da parte mia non posso che
ammirare un artista che sa mantenere la parola data, oltre che a sfoggiare una
tale continuità tematica anche in un minuscolo film su commissione, uscito
quando ormai era quasi lecito mettersi tutti l’anima in pace. Per ora “The
Amusement Park” è disponibile solo su Shudder (negli Stati Uniti chiaramente, da noi è ancora mitologico) ma ne ho già prenotate dodici copie su supporto fisico, perché è quello di cui abbiamo tutti bisogno, ricordarci che un giorno ci
rivedremo tutti al parco e che nella vita niente deve essere dato per scontato. Le uniche certezze che abbiamo nella vita sono tre: la morte, le tasse e la
capacità di George “Amore” Romero di continuare a spiegarci le vita e la
società, facendoci paura con i suoi film.
Grazie ancora George, questa Bara non ti ha mai dimenticato
e ti aspetta, ogni volta che beh… vorrai ritornare.
Don’t know where
Don’t know when
But I know we’ll meet again some sunny day
Intanto voi non dimenticatevi della rubrica dedicata alla
Leggenda.