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The Banana Splits Movie (2019): Tra, la, la, la-la, la aarrrgh!

Sembra Highlander:
“Ne resterà soltanto uno…” di ricordo d’infanzia a non venire rilanciato. Senza
volerlo forse ho fatto l’esempio giusto, non dovevano fare un remake anche di “Highlander”?

Sta di fatto che i rilanci anche fuori tempo massimo ormai sono la normalità, ma con una piccola
variante, bisognerebbe riconoscere che alla fine ne è rimasto davvero solo uno… Di genere con ancora voglia di sperimentare. L’ultimo diviso tra titoli
“mainstream” che escono in sala e fanno soldi e cinema indipendente vero, l’ultimo
genere cinematografico ad essere ancora vivo, anche se, per assurdo, è quello che
campa ammazzando la gente, ovviamente sto parlando del nostro amato cinema
Horror.

Sì, perché andiamo, quale altro genere potrebbe permettersi
di far tornare in auge i Banana Splits, in una versione condita di sangue e
ammazzamenti? Certo, non è l’idea più brillante del mondo, ma ci vuole una certa
dose di creatività, follia e fegato per prendere dei personaggi che
appartengono all’immaginario infantile di una generazione e renderli protagonisti
di uno Slasher.

Sono tornati e con loro, la loro martellante sigla!

Non stiamo parlando di Peter Jackson che utilizzando
pupazzi che ricordavano volutamente in tutto e per tutto i Muppet li trasformava
in debosciati eroinomani e sesso dipendenti in quella colorata follia di “Meet
the Feebles” (1989), qui siamo di fronte proprio a Swingo (in originale Fleegle)
il cane chitarrista, il gorilla batterista Bingo, la chitarra del leone Drooper
e le tastiere dell’elefante Snorky, i protagonisti dello spettacolo per bambini
di Hanna-Barbera, arrivato in uno strambo Paese a forma di scarpa – grazie alle
replica di alcune tv locali – con il titolo di “Lo show dei Banana Splits”. Faccio
più parte della generazione del pupazzo Uan e del corvo Rockfeller, ma se avete
anche solo qualche anno più di me, probabilmente li ricorderete.

Questo colpo di testa è gentilmente offerto dal canale
americano SyFy (quello di Sharknado e
Happy!) partito con l’idea di portare
sul grande schermo gli analoghi personaggi del “Five Nights at Freddy’s”, ma in
mancanza dei diritti di sfruttamento sui personaggio, ha pensato bene di
ripiegare sui Banana Splits (storia vera).
L’annuncio della pellicola uscita su SyFy channel e poi
dritta per il mercato dell’Home video, ha goduto di una certa popolarità, ecco, poi
ci vorrebbe qualche matto disposto a vederlo davvero un film così. Pupazzi?
Presente! Mi sono gettato su roba ben peggiore (tipo “Pupazzi senza gloria”,
2018) per molto meno di così ve lo assicuro!

Posso fare una richiesta ad Hanna-Barbera? Un film sui Wacky Races in stile Death Race.

Ora, io non so se la regista Danishka Esterhazy – che arriva
da roba ben diversa come il thriller “Level 16” (2018) – abbia perso una
scommessa o qualcosa del genere, sta di fatto che si è gettata su questo film
con una serietà forse anche non richiesta, infatti davanti ad un soggetto
grottesco del genere, a spiazzare è il fatto che prima di sbottonarsi un po’,
il film ci mette davvero un sacco di tempo.

Il piccolo Harley Williams (Finlay Wotjak-Hissong, salute!)
è forse il più grosso fanatico degli “Splits” in circolazione, non si perde una
sola puntata del loro spettacolo, ancora in programmazione fissa da ormai cinquant’anni,
con ben poche variazioni rispetto alla formula rodata, di fatto solo l’aggiunta
di una spalla comica umana Stevie (Richard White). Harley va pazzo per Snorky
l’elefante e la sua mania per questo spettacolo un po’ lo ha aiutato a superare
il fatto di avere l’immancabile mamma MILF dei film horror il divorzio
dei genitori.

Belle mamme alle prese con brutte sorprese.

Sua madre Beth (la guardabile Dani Kind) vive con il suo
nuovo fidanzato, lo stronzissimo Mitch (Steve Lund) e il figlio adolescente
Austin (Romeo Carere). A questo quadretto aggiungete la recalcitrante Zoe,
amica di scuola di Harley (interpretata dalla bravissima Maria Nash,
immaginatevi pure la versione simpatica di Erica di Strane Cose 3) ed avrete la carne da cannone di questo film, sì,
perché mammà ha preso i biglietti per lo spettacolo dei Banana Splits per
festeggiare il compleanno di Harley.

Sostituite “The Candy Man Can” con “The tra la la song” e il gioco è fatto.

Se tutto questo vi ricorda un po’ l’inizio di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato,
tranquilli, perché il nord magnetico di quel film punta un po’ in quella direzione
e gli “Splits” sono proprio loro, con la loro “The Tra La La Song” e le corse
in auto tutte matte che mettono anche a rischio la vita dei visitatori
(«Sarebbe un modo imbarazzante di morire»).

Ora, se Chucky la bambola assassina ha campato per anni sul fatto che nessuno crederebbe alla storia
di un giocattolo per bambini che t’insegue per ucciderti, la situazione qui un
po’ si ripete, però con dinamiche più simili a quella del remake della bambola assassina. Sì, perché senza addurre motivazioni
plausibili (come avrebbero detto gli Elii) gli “Splits” sono degli animatronici
altamente programmati per fare cose che un umano con addosso una tuta di
peluche potrebbe fare senza troppa difficoltà, ma con decisamente più litri di
sudore.

Quando all’insaputa degli spettatori e di buona parte del
pubblico, lo spettacolo viene cancellato, la situazione degenera e i Banana
Splits iniziano a seguire una programmazione tutta loro, ovvero continuare a
fare le robe tutte matte dei loro spettacoli, ma senza più limitazioni, il che
trasforma il film in una versione di Il mondo dei Robot, con quattro “Gabibbo” al posto di Yul Brynner.

Nessuno manderà a cuccia questo cagnone.

Parafrasando le immortali parole del maestro di vita (e
stile) Ian Malcolm, qui il villaggio dei Caraibi è andato in tilt e i pirati cominciano
a mangiarsi i turisti, visto che vanno tanto di moda le versioni con attori
dei classici cartoni animati, si
potrebbe dire che “The Banana Splits Movie” è l’episodio dei Simpson con il parco
di divertimenti di Grattachecca e Fighetto con le attrazioni che danno di matto.
Da spettatori non sarà l’intrattenimento più culturale del mondo, però vuoi
mettere lo spasso mentre sei sul divano di casa tua? Ecco, più o meno.

Se i personaggi sopra descritti hanno il pregio di prendersi
svariati minuti di pellicola per essere decentemente caratterizzati e, ad
esclusione dell’insopportabile Mitch, ti fanno almeno venire voglia di vederli
uscire sani e salvi dalla mattanza, quelli che si aggiungono allo spettacolo
dal vivo degli “Splits” hanno tutti un bersaglio piuttosto grosso dipinto sulla
fronte, dai due Influencer simpatici come una spinta alle spalle mentre stai
scendendo dalle scale, fino al padre in cerca di un’audizione per la talentuosa
(a sua detta) figliola.

Protezione contro le fughe di gas: cosa fare?

Il problema di “The Banana Splits Movie” è che con qualche
omicidio tutto matto – e si spera anche un pochino originale – sarebbe stato un
intrattenimento più che decente, invece per troppi minuti di finisce più a
guardare l’orologio che lo schermo, anche perché Danishka Esterhazy dirige
buona parte del film come se si fosse messa in testa di avere per le mani
chissà quale dramma familiare da dover raccontare.

Capisco che l’idea sarebbe quella di rendere sinistri
e spaventosi Swingo, Bingo, Drooper e Snorky, a guardarli non si sa cosa stiano
pensando dietro ai loro occhiali da sole e i sorrisoni posticci, in questo
senso la loro “The Tra La La Song” dovrebbe diventare la versione locale della classica
cantilena in grado di raggelarti il sangue, oltre che a piantarsi in testa per
giorni. Il problema è che Danishka Esterhazy non trova proprio il modo di
tirare fuori niente di spaventoso da questi personaggi, se non qualche occhio
rosso degno di un T-800 e tutto il
secondo atto se ne va più tra la noia che tra le trovate matte che da un film
così uno si aspetterebbe.

“Non si può patteggiare con lui, non si può ragionare con lui” (Cit.)

Nel terzo atto, se non altro, il film riesce un pochino a
slacciarsi il nodo troppo stretto della cravatta, grazie ad un paio di omicidi
non particolarmente originali, ma che almeno somigliano a quello che uno
avrebbe voluto trovare in un film così, il problema è che potrebbe essere ormai
troppo poco e troppo tardi per la pellicola.

Insomma: trasformare un soggetto un po’ scemo in un intrattenimento di buon livello, richiede forse una maggiore
propensione alla goliardia di così, ma va riconosciuto il fatto che solo un
genere può permettersi di prendere di peso alcune icone infantili e
trasformarle di colpo in Jason Voorhees, un atto di creatività non dico
Dadaista – al massimo Lalalista considerando il repertorio musicale degli “Splits”
– che potrebbe andare benissimo se vi sentite in vena di disegnare i baffi su
un vostro ricordo d’infanzia. Se poi conoscete un modo per togliersi dalla
testa “The Tra La La Song” fatemelo sapere, ve ne sarò molto grato.
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