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The Boys – Dear Becky di Garth Ennis (2021): il diario di Billy il macellaio

Una caratteristica che apprezzo di Garth Ennis è la sua capacità di stabilire quando una storia è davvero terminata. Malgrado il successo di Preacher, l’autore Nord-Irlandese non è mai più tornato a scrivere nemmeno una storia breve dei suoi personaggi, non lo ha fatto nemmeno per Hitman, quindi se abbiamo un nuovo fumetto (in otto parti) sui Boys, è perché Ennis ha davvero qualcosa da raccontare.

So cosa stata pensando, la serie tv di Prime Video liberamente ispirata al fumetto (e molto meno riuscita, ma il mio è un parere
minoritario) è diventata di botto la serie preferita di tutti, quindi la
celebre piattaforma di streaming è tornata a bussare alla porta di casa Ennis,
con una bella valigetta piena di soldi, il che non escludo sia successo
davvero, se non altro me lo auguro per il vecchio Garth.

A garantire la qualità della nuova miniserie autoconclusiva
“Dear Becky” resta la professionalità di Ennis e il fatto che ormai, la serie
tv sia andata in una direzione completamente diversa rispetto alla trama
originale scritta da Ennis. Anche perché senza rovinare la lettura a nessuno, The Boys è un fumetto finito, terminato,
kaput! Non si possono scrivere altre storie perché quando il vecchio Garth
decide che una storia è conclusa, così è, anche se forse restava ancora un
elemento chiave da raccontare.

Lo sconfinato amore di Garth Ennis per i “super”.

Garth Ennis ha dichiarato che quando è arrabbiato, l’unico
personaggio che ama scrivere più di FrankCastle è proprio Billy Butcher. Il personaggio chiave di “The Boys” forse è
anche l’unica ad essere comparsa davvero pochissimo tra le pagine del fumetto,
mi riferisco a Becky Butcher, la moglie di Bill il macellaio.

Ecco perché “Dear Becky” comincia alcuni anni dopo la fine
di “The Boys” ed è ambientato su due piani temporali differenti, nel presente
Ennis porta avanti la storia dei personaggi sopravvissuti alla fine del fumetto
principale, mentre nel passato ci viene raccontato qualcosa che non sapevamo
della vita di Billy Butcher, quindi potremmo considerare “Dear Becky” allo
stesso tempo un seguito ma anche un prequel. Complicato? Non così tanto, ma
prima di continuare vi avviso: se non avete letto The Boys, sappiate che da qui
in poi potrebbe arrivare qualche SPOILER
sul finale del fumetto, anche se cercherò di restare sul vago.

Simon Pegg “piccolo” Hughie è tornato a vivere nella
nativa Scozia, dove porta avanti la sua vita di coppia con Annie. Le sue
giornate sono sempre più o meno le stesse, scandite da (numerose) birre al pub
con l’amica Bobbie, una transessuale che ci viene presentata a pagina uno, il
tipico personaggio che ci ricorda che Ennis della mania di risultare
“politicamente corretti” (quanto odio questa espressione abusata) se ne frega,
anche perché il personaggio sembra la parodia di una transessuale che potreste
trovare in un episodio a caso di “South Park”, a suo modo tenerissima ma
rappresentata dai disegni di Russ Braun (il
co-creatore della serie, Darick Robertson si è limitato a disegnare le
copertine degli otto numeri, impegnato con le tavole di un altro suo progetto
edito dalla Image Comics) come un giocatore di Rugby malamente truccato.

Come far incazzare quanti più lettori possibili, senza nemmeno essere arrivati a pagine cinque.

“Dear Becky” ha il primato di essere il primo fumetto che ho
avuto modo di leggere, dove viene citato apertamente il Covid-19, si perché
buona parte del primo numero di questa miniserie è “piccolo” Hughie che si
lamenta un po’ di tutto, perché giova ricordarlo, se nella serie tv Hughie è
diventato un giovanotto belloccio, nel fumetto è sempre stata uno stronzetto
con vedute spesso ristrette, cresciuto nel corso della serie e diventato uomo
nel modo più tosto possibile, ma di base Ennis dimostra di conoscere i suoi
personaggi meglio di chiunque altro.

Hughie sarà pure avvezzo a sfoghi personali davanti a parecchie
pinte svuotate, ma è anche un personaggio cresciuto e pronto ad andare avanti
con il resto della sua vita con Annie, fino al giorno in cui qualcuno
recapiterà a casa sua un misterioso plico contenente il diario scritto di pugno
da Billy Butcher, l’ex mentore, amico, fratello maggiore e pazzo furioso, che
ha di fatto insegnato ad Hughie come stare al mondo.

Hughie forse, avrebbe preferito continuare a leggere “Topolino”.

Il diario è una specie di terapia su carta di Butcher,
scritto in forma epistolare (questo spiega il titolo “Dear Becky”) alla moglie
defunta, il macellaio tra le pagine racconta del periodo in cui Mallory era
ancora a capo dei Boys nel periodo a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90.

Si perché proprio Becky è il personaggio chiave dell’odio di
Billy per tutti i “Super”, la rossa signora Butcher nella serie regolare è
comparsa solo in alcuni flashback (uno in particolare, estremamente drammatico)
ed Ennis continua a trattarla nello stesso modo anche in questa miniserie di
cui è titolare, un modo brillante di sottolineare ulteriormente l’importanza del
personaggio nella vita di Billy il macellaio.

Nessun tigrotto ne tanto meno centri da fare, ma il concetto è lo stesso.

In otto numeri scopriamo come solo Becky fosse in grado di
tenere a bada “la bestia” (per dirla alla Rocky
o alla Rocchio se preferite) dentro Billy, un
mostro alimentato come capita spesso a molti personaggi di Ennis, alimentato in una guerra, che per Billy sono state le Falkland,
un massacro che Ennis rievoca in una sola “splash page” disegnata da Russ Braun.

Questo spiega perché i metodi con cui Billy porta avanti le
missioni con i Boys, sono anche più violenti (e grondanti sangue) di quanto
visto nella serie regolare, il numero sette della miniserie in copertina mostra
una di quelle asce da emergenza, contenute nelle teche rosse dei pompieri, che
nei film americani si vedono spesso, anche se l’arma in questione latita per
tutta la storia, almeno fino all’ultima pagina.

Tranquilli, questo nella serie tv non lo vedrete mai.

Uno dei momenti più forti contenuto nel diario di Billy è
l’attacco dei Boys a quello che sembra solo un ragazzino, aggredito in un bagno
pubblico al ragazzo viene tagliata via la lingua di netto, anche perché senza
quella diventa difficile pronunciare correttamente parola tipo «SHAZAM!». Se devo dirla tutta, era dai
tempi del terzo libro di Miracleman di Alan Moore che non vedevo una tale violenza applicata ad un ragazzino
propenso all’uso di parole magiche in un bagno pubblico, anzi credo che Ennis
abbia voluto strizzare l’occhio proprio a quel fumetto.

Ho come l’impressione che qui nessuno stia pensando ai bambini.

“Dear Becky” non è una miniserie nata per sfruttare la
popolarità della serie televisiva, se vogliamo fare un paragone con il piccolo
schermo, dire che somiglia fa per The Boys quello che El Camino ha fatto per Breaking Bad. Leggere “Dear Becky” conoscendo solo la serie tv è inutile, perché gli
eventi del telefilm stanno seguendo strade molto diverse da quelle del fumetto,
ma in generale questa miniserie di otto numeri, non aggiunge poi molto a quello
che già sapevamo dei personaggi, ma oltre ad essere un ottima occasione (per
Ennis e per noi lettori) di vedere ancora in azione la furia belluina di Billy
(potrete anche odiare i super eroi, ma non lo farete mai come Billy il
macellaio) è anche un ottimo modo per chiudere qualche sotto trama minore
rimasta ancora aperta, d’altra parte non è difficile notare delle similitudini
tra “piccolo” Hughie e Jesse Pinkman se ci volessimo mettere a cercarle.

Ve lo dico subito, le fidanzate di Jesse Pinkman non camminavano sull’acqua.

Ricordo una vecchia intervista a Garth Ennis, dove diceva
che mai più sarebbe tornato a raccontare storie di Jesse, Tulip e il mio
preferito, Cassidy, al massimo, avrebbe potuto scrivere una miniserie sui due
detective sessuali in azione sulle pagine di Preacher. Non lo ha mai fatto, anche se sarebbe stato divertente
leggerla, quindi possiamo dire che si è giocato quel “credito” (se mai ne
avesse avuto davvero), per concludere due sotto trame rimaste aperte con i suoi
Boys, insomma ci trovo della coerenza in tutto questo.

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