Tra tutti i compleanni che questo 2021 mi consente di festeggiare, ci tenevo a non perdermi i primi quarant’anni di un horror ricordato solo dai più appassionati fanatici del genere, ma non sentitevi sminuiti nel caso non ne aveste mai sentito parlare, in uno strambo Paese a forma di scarpa questo film è ancora inedito (storia vera).
Quando nel 1980, Sean S. Cunningham sganciò sul mondo quella bomba intitolata Venerdì 13, il più codificato e riconoscibile dei generi horror, ovvero lo Slasher, ne uscì sconvolto e come ogni titolo di successo, mise in moto la corsa all’imitazione, un proliferare di campi estivi, assassini mascherati e adolescenti trucidati da far girare la testa, o separarla dal resto del corpo. Dal mare magnum del lago Cristallo un paio di titoli spiccano ancora oggi, entrambi uniti dalla sfiga di una mancata distribuzione italiana, guarda a volte il caso.
Uno di questi titoli è “Sleepaway camp” (1983), che con il suo fotogramma finale da incubo si è guadagnato sgomitando il suo spazio tra gli imitatori illustri, titolo che comunque gli va un po’ strettino. L’altro film che io considero anche meglio di “Sleepaway camp” è proprio “The Burning”, che ha avuto una sfiga aggiuntiva, quella di essere uscito solo un anno dopo il film di Cunningham, malgrado la trama fosse stata scritta nel 1979.
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La crema solare quest’estate, non vi servirà a nulla. |
Questo è almeno quello che giurano e spergiurano gli autori del suo soggetto, ovvero Tony Maylam, Brad Grey e Harvey Weinstein, che non è un omonimo, ma proprio lui, il famigerato Harvey “Mano a tentacolo” Weinstein, perché nella lunga lista dei grandi nomi di Hollywood che hanno iniziato grazie al cinema horror, oltre ai soliti George Clooney (con i pomodori assassini) e Leo Dicaprio (con il terzo Critters), metteteci anche i fratelli Weinstein. “The Burning” infatti è nato da un soggetto di Harvey e stato sceneggiato da Bob Weinstein insieme a Peter Lawrence, ed è stato il primo film prodotto dalla Miramax. Se la New Line Cinema è stata la casa costruita da Freddy, la Miramax è quella di Cropsy.
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Harvey Weinstein, una vita per il cinema, Harvey Weinstein, una vita per la moto (quasi-cit.) |
Con il senno di poi (di cui sono piene le fosse), potrei fare della facile ironia e dire che la presenza dei due Weinstein (uno in particolare) è quella che serve a spiegare il proliferare di ragazzine che fanno la doccia nel film, l’abbondanza di particolari durante il pomiciare dei ragazzi e anche le inquadrature “a posteriori” sugli shorts delle ragazze durante la partita di baseball iniziale, ma sarebbe andare a cercare il marcio, in quanto Bariste e Baristi di mondo sapete che lo Slasher e l’horror in generale, specialmente quello degli anni ’80, viveva anche dell’Eros oltre che del Thanatos, inoltre “The Burning” è il perfetto titolo da campeggio estivo.
Si perché cosa ci hanno insegnato i film americani? Durante un campeggio oltre che cucinare Marshmallow gnocchi di lichene (cit.) sul fuoco, i ragazzi si raccontano storie del terrore, e “The Burning” cavalcando anche un po’ il successo di Halloween e The Fog (il monito attorno al fuoco sembra lo stesso del marinaio Machen del film di Carpenter) ci regala un altro “uomo nero”, sinistramente simile a Jason Voorhees nelle origini.
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«Nessuno ha portato gli gnocchi di lichene? Vabbè, storia dell’orrore allora!» |
Nel 1976 a Camp Blackfoot alcuni ragazzi decidono di fare il solito scherzone ignobile al custode, soprannominato “Cropsy”, accanto al suo letto nella sua baracca, i ragazzi mettono un teschio con alcune candele sul comodino dell’uomo. Svegliato dai rumori e dal cranio di Yorik collocato dove di norma la sveglia, accidentalmente l’uomo finì vittima di un incendio sotto gli occhi dei ragazzi, a loro volta terrorizzati dallo scherzo scappato di mano che però ad aiutare il poveretto, non ci hanno nemmeno provato.
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Ho sentito parlare di scherzi da prete, ma questo sembra più uno scherzo da becchino. |
Da allora Cropsy, passato dal ben cotto al decisamente bruciato, terrorizza il campo in cerca di vendetta, una leggenda da raccontare attorno al fuoco per spaventare i creduloni? Si, finché le cesoie di Cropsy non cominciano a reclamare il suo tributo di sangue.
Il film diretto da Tony Maylam, lo stesso di Detective Stone, ad una prima occhiata distratta, potrebbe passare come l’ennesima copia di “Venerdì 13”, ma siccome so di avere le lettrici e i lettori più attenti del mondo, sono certo che non vi sfuggiranno le piccole ma sostanziali differenze, quasi tutte rappresentate dai giovani protagonisti.
La vita nel campeggio Blackfoot procede come ogni estate, la nuova tornata di ragazzi è rappresentata da un gruppo variopinto in cui è facile riconoscere elementi come il bullo un po’ stronzo, oppure lo sfigato che oggi chiameremmo Nerd, che si chiama Woodstock come l’amico di Snoopy ed è interpretato da un giovanissimo Fisher Stevens, che avete visto in tutti i film, ma probabilmente ricorderete per il ruolo dello scienziato di origini indiane (nato a Pittsburgh) di Corto Circuito, per restare in tema di personaggi stereotipati.
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«Numero Johnny 5» (tanto lo so che l’avete letta con la “voce” del personaggio in testa) |
Se vi dovesse capitare di guardare il film con un occhio solo aperto, oppure come fece il pubblico alla sua uscita nel 1981, potrebbe sembrare tutto aderente alle regole che sono state smontante con il cacciavite da “Quella casa nel bosco” (2011), con i personaggi facilmente etichettabili. Ma siccome sono certo che su questa Bara avete tutti parecchi horror sul contachilometri, sarà abbastanza facile notare che “The Burning” è un film molto più corale che toglie tutti i punti di riferimento, quelli facili, quelli derivati dal ruolo del singolo personaggio.
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Non la solita carne da cannone, o per le meno cucinata diversamente. |
Chi fa sesso per primo non è destinato a morire e a ben guardare, anche il concetto di “Final girl” non è rispettato come un Dogma assoluto del genere Slasher. In “The Burning” possono morire tutti, possono morire male (su questo ci torneremo più avanti) e nei momenti più inaspettati, perché il film non getta via i suoi personaggi, anzi per la media del genere ha anche una certa cura nel rappresentarli tutti quanti.
I giovani protagonisti inciampano in primi timidi e maldestri approcci, stringono amicizie, non voglio stare qui a dirvi che questo film è “Stand by me – ricordo di un’estate” (1985) e nemmeno che quando Cropsy si prende la sua vendetta, non abbia tutto il sacrosanto diritto di farlo come da tradizione degli horror, ma tutto quel moralismo di fondo, che ha sempre accompagnato Jason, braccio armato (di machete) delle associazioni genitori, pronto a punire gli adolescenti che bevono, si drogano e fanno sesso, in “The Burning” è quasi totalmente assente. Chissà che piega avrebbe avuto il genere Slasher se il film di Tony Maylam avesse battuto sul tempo quello di Sean S. Cunningham uscendo per primo in sala, non lo sapremo mai, ma lo scenario regala una riflessione interessante.
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«L’assassino non è dietro di me vero? Ditemi che non è dietro di me con un enorme coltello» |
Tutto qui? Una caratterizzazione più equa e meno grossolana delle giovani vittime è il punto di forza di “The Burning”? No, perché per essere un film di adolescenti morti ammazzati, il film ha una certa cura, Maylam sa come muovere la macchina da presa anche con una certa eleganza, cercando e trovando soluzioni visive varie e azzeccate, grazie anche al montaggio di un futuro esperto di film dell’orrore come Jack Sholder.
Inoltre la colonna sonora del film, per quanto minimale è davvero azzeccata, Rick Wakeman tastierista e compositore britannico che in carriera ha fatto parte degli Yes, ha suonato con i Black Sabbath e con David Bowie, qui regala un tema che nel suo essere essenziale, va in crescendo ed è un peccato che Cropsy non sia diventato una delle grandi “maschere” del cinema horror degli anni ’80, perché il suo tema musicale non ha nulla da invidiare a quello dei suoi celebri colleghi.
Si vede che sto tenendo il meglio per la fine? Ok allora mi gioco l’asso nella manica, “The Burning” nel suo piccolo è un film curato in tutti i reparti, ma uno spicca sugli altri, quello degli effetti speciali, curati da una leggenda come Tom Savini, che si merita un paragrafo tutto per lui.
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Eroi di questa Bara: quella gran leggenda di Tom Savini, arma segreta del film. |
Savini ha preso parte a questa produzione rifiutando di occuparsi degli effetti speciali del secondo capitolo di Venerdì 13 – L’assassino ti siede accanto, in disaccordo sull’idea di far tornare Jason come assoluto protagonista, una scelta che sovvertiva quanto visto nel primo capitolo (storia vera). Inoltre il buon vecchio Tom ha avuto solo tre giorni di tempo per inventare dal nulla il trucco del volto ustionato di Cropsy, che risulta incredibilmente riuscito proprio perché Savini ha studiato foto di vere ustioni, nel tentativo di rendere il suo lavoro il più credibile possibile.
Già perché Tom Savini, prima di diventare un mago degli effetti speciali, ha avuto dei trascorsi come fotografo di guerra in Vietnam, gli orrori di gomma e sangue finto che nel corso della sua straordinaria carriera ci ha regalato, sono stati una piccola percentuale di quello che Savini ha visto nell’obbiettivo della sua macchina fotografica laggiù (storia vera).
Ecco, se dovessi spiegare ad un marziano perché Tom Savini è così speciale, io credo che tra i suoi tanti film, forse sceglierei proprio “The Burning”, che ha una singola scena che si merita di far parte delle più violente e sanguinarie mai viste nella storia del cinema: la scena della zattera.
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«Giusto una spuntatinAAAAAAAHHHHHHHHH!» |
I ragazzi pagaiano felici quando Cropsy li attacca, tutti insieme, senza pietà, Tony Maylam inquadra le cesoie dell’assassino sollevate sopra la sua testa, in quella che è diventato il fotogramma più iconico di tutto il film, un po’ come a volerci mostrare bene l’arma con cui il massacro verrà compiuto, dopodiché a scatenarsi più che Cropsy è proprio Savini: pugnalate alla gola, dita mozzate violenza assortita senza mai tirar via la mano, un bagno di sangue del tutto privo dell’ironia che via via ha preso possesso dei vari seguiti di Venerdì 13.
Un incubo che non solo avviene sotto i nostri occhi impotenti di spettatori, ma avviene in pieno giorno, senza nemmeno un’ombra o il buio della notte a mascherare la violenza o a fornire un appiglio agli effetti speciali, che in queste condizioni devono essere perfetti per poter spaventare e infatti lo sono, e proprio per questo la scena resta memorabile anche per la sua conclusione, quel braccio sospeso sopra l’acqua, con una singola goccia di sangue che cade e si disperde in acqua.
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«Mi piacciono gli adolescenti, carne più tenera» |
“The Burning” alla sua uscita andò benino subito ma poi si perse nel mare magnum di Slasher usciti nello stesso periodo, titoli come “Compleanno di sangue” oppure il già citato secondo capitolo di Venerdì 13. A quarant’anni dalla sua uscita ha il suo zoccolo durissimo di estimatori e meriterebbe di essere visto (o rivisto) con occhi attenti, perché il suo lascito non è certo scontato, volete un esempio?
Forse non sono molti a pensarla come me, ma uno dei capitoli più riusciti della saga di Venerdì 13 per quello che mi riguarda è il quinto capitolo del 1985, Venerdì 13 parte V – Il terrore continua, perché contiene uno degli omicidi più memorabili di tutta la saga, quello della popputa Tina, interpretata da Debi Sue Voorhees (si chiamava davvero così, storia vera!). Ora, se non vi siete fatti distrarre dalle notevoli grazie della ragazza, vi ricordate che arma utilizzava Jason per mandarla al creatore? Delle cesoie, proprio come quelle di Cropsy. Meditate gente, meditate e non dimenticatevi di fare gli auguri al più dimenticato assassino Slasher di sempre!