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The Cleanse (2018): Demoni interiori (carini e coccolosi)

Se qualcuno vi dicesse che, con un semplice procedimento di
purificazione, potreste liberarvi da tutta la sofferenza e il dolore che avete
provato nella vita, voi cosa fareste? Oh, non guardate me in cerca di una
risposta, io nemmeno più rispondo ai call center che vogliono farmi cambiare
operatore telefonico.

Però l’argomento è di ampio respiro, a volte il dolore è
talmente grande da essere un peso, quasi fisico, una specie di vischiosa massa
nera che appesantisce corpo e mente, un mostro con i denti, un organo malato da
cui sarebbe così bello potersi separare con un coltello se fosse possibile
farlo. Più o meno è quello che ha pensato Paul Berger, personaggi con quella
che io chiamo la “Sindrome di Charlie Brown”, ovvero oltre ad una generale
sfiga, tra cui quella di essere interpretato nel film da Johnny Galecki, il
Leonard di “The big bang theory” (Fermi! Anche io non sopporto quella serie ma
non smettete di leggere, su di lui ci torniamo più avanti, lasciatemi l’icona
aperta), è uno di quei personaggi che si presenta con nome e cognome e tutti
lo chiamano per nome e cognome, proprio come Charlie Brown.

La mia identica reazione, quando sento parlare di “The big bang theory”, uguale!

Paul Berger è stato mollato all’altare, fa un lavoro non
molto chiaro e comunque grigio e oscuro, non come quello che faceva prima
lavorando in una start up, vive in uno schifo di appartamento con topi grossi
come il vostro cane che per essere uccisi non bastano le trappole, bisogna
colpirli in testa con una chiave inglese, cose che, ovviamente, Paul Berger non
riesce a fare, perché cavolo, faranno schifo, ma sono sempre esseri viventi, no?

Il giorno in cui decide di partecipare a questa miracolosa
procedura per liberarsi dal suo dolore, incontra Maggie (quella garanzia di
buona recitazione che risponde al nome di Anna Friel), una che nella vita è
passata attraverso drammi che in confronto quelli di Paul Berger sono tutti da
ridere. Tutti insieme, compreso lo stronzissimo Eric (Kyle Gallner), uno che
sta lì per far contenta la sua ragazza, partecipano al percorso di
purificazione spirituale.
Una specie di brodo in lattina da bere, lunghe passeggiate,
uno chalet nei boschi ed Anjelica Huston (che ormai si vede sempre meno, ma
resta mitica) che continua a dir loro: “Va tutto bene, bevete, purificatevi e
non vi preoccupate dei continui vomiti notturni, tutto sotto controllo”.
Almeno finché Paul Berger non vomita giù dal lavandino un…
Qualcosa, che non solo si muove, ma ha pure due occhioni teneroni con cui ti
guarda nemmeno fosse il gatto di Shrek, cosa fai ti lasci prendere dal panico? Lo
uccidi usando il libro più grosso disponibile sulle tue mensole? Farà pure
schifo, ma è sempre un essere vivente, no? E poi con quegli occhioni, ma
guardatelo!

“Sarà, ma io nel dubbio mi armo di spranga!”

Questi cosetti, che sembrano un po’ dei grossi lumaconi, ma
con la faccia da Funko Pop, nel film (e nel titolo del film) vengono chiamati “Cleanse”
che in Inglese vuol dire proprio purificare, ma state tranquilli che li chiameremo
solo “Cleanse”, un po’ come facevamo con i Critters,
oppure con i Gremlins, perché il
filone in cui questo film va ad incastrarsi è proprio quello: la commedia
horror con i mostriciattoli che non sai se hai voglia di abbracciarli, ma
magari anche no perché, oh e se poi mi stacca una mano?

L’esordio al cinema di Bobby Miller che dirige e scrive la
sceneggiatura non è del tutto perfetto, qualche reazione dei
personaggi poteva essere più divertente, più drammatica o semplicemente più
realistica, ad esempio se io vomitassi un mostrino, per quanto puccioso e
carino, mi verrebbe una crisi! Non andrei tutto pacato da Anjelica Huston,
ma sono dettagli in fondo. Perché “The Cleanse” ha la durata giusta, 81 minuti
di cui dieci (DIECI) di titoli di coda che scorrono leeeeentissimiiiii, forse
perché un film di un’ora e dieci rientra a malapena nella categoria lungometraggi,
quindi prendiamocela comoda con i titoli di coda che se arriviamo ad 81 minuti
nessuno può contestare.
Ma, soprattutto, è un film che funziona perché più che un
horror, è un dramma con dei mostri, che per di più (per un po’) sono pure
carini e realizzati con ottimi effetti speciali vecchia maniera, animatronici
e fisici come dovrebbe sempre essere, in particolare se vuoi realizzare un
mostro credibile che incarna tutto il dolore provato dai protagonisti.

“Lo vuoi un biscotto? Solo il biscotto però il dito lasciamelo”.

Così a memoria, ricordo solo un episodio di Rick & Morty con una trama simile, ma
ancora meglio il simpatico “Bad Milo!” (2013) dove gli intenti, però, erano molto
più caciaroni, basta ricordare da che parte del corpo del protagonista usciva
fuori il piccolo mostrino omicida di nome Milo per mettere in chiaro le
differenze tra i due film.

Eppure, Bobby Miller fa un ottimo lavoro, si gioca al meglio Anjelica
Huston, ma anche Oliver Platt, entrambi “Gurù” di questa disciplina di
purificazione con coccolose (ma drammatiche) conseguenze, in certi momenti si
ride, quasi sempre, anzi facciamo pure che OGNI volta che vengono inquadrati i Cleanse,
si finisce per pensare solo a quale vorreste portarvi a casa e al nome che
gli dareste, il che è assolutamente funzionale per la storia.
Sì, perché crogiolarsi nel dolore passato è qualcosa di
complicato, a volte la sofferenza ti resta appiccicata addosso come il catrame,
altre, invece, sembra una coperta calda con cui avvolgersi per evitare di
affrontare tutto il resto che deve ancora avvenire, insomma a volte il dolore è
un mostrino, che fa schifo perché è viscido e arriva dal fondo delle tue
budella, però è anche carino e coccoloso come i pinguini di Madagascar
e liberarsene può essere più difficile del previsto.

Attivare modalità occhi da gatto di Shrek in tre… due… uno…

Bobby Miller dimostra di avere come riferimento tutti i film
e i registi giusti, da Joe Dante prende in prestito la passione per gli effetti
speciali vecchia scuola e, ovviamente, le creaturine sulla falsa riga dei Gremlins, un po’ tenere e un po’ bastarde,
eppure usa il genere horror, rappresentato dai mostri, unico vero elemento orrifico
in un film che potrebbe essere visto e magari apprezzato anche da vostra madre,
per fare metafora di altro.

Oh gente! Ma questo Bobby Miller è più nerd di Sheldon, Leonard, Howard e Raj messi insieme!

Non so se esiste la definizione di “Body Horror Pop”, ma “The
Cleanse” potrebbe appartenere a questo genere, l’idea di una creatura generata
da tuoi sentimenti negativi, che si fa carne e cresce fuori dal tuo corpo, è
qualcosa che urla fortissimo David Cronenberg, fa pensare un po’ ai figli di
Nola in Brood – La covata malefica,
però filtrati dal gusto di Joe Dante, insomma Bobby Miller è uno a cui
piacciono i film giusti, si vede e per questo si merita un bravo.

Poi se ne merita anche un altro, perché il ragazzo trova il
modo di gestire il rapporto tra i suoi personaggi e i rispettivi Cleanse
piuttosto bene, suggerendo idee più che sparando metaforoni scritti con il
pennarello a punta grossa, nello strano rapporto che si crea tra  Paul Berger e il mostrino uscito dal suo corpo
ci potete trovare la difficoltà di lasciarsi indietro il dolore, oppure uno
strano rapporto padre e figlio con relativo senso di responsabilità, insomma:
non così scemo o leggero come farebbe intendere un film di 81 minuti con i
mostrini carini che in teoria sarebbe una commedia horror.
Senza rovinarvi la visione posso dire che forse il film
avrebbe potuto osare anche di più, si conclude nel modo giusto, anche se forse
un po’ sbrigativo, però ti lascia ben dieci minuti di leeeeeentiiiisssimiiii
titoli di coda per pensare alle conseguenze di quello che abbiamo visto per i
protagonisti, in un finale che ancora una volta mi ha fatto pensare a Davide
Birra, perché non è quello di La Mosca,
dài, andiamo! Nessuno film finirà MAI come “The Fly”, perché quello è uno dei
finali più belli e dolorosi di tutta la storia del cinema, ma quello di “The
Cleanse” gioca in quella zona lì, l’ho già detto che Bobby Miller è uno con
ottimi gusti cinematografici?

Effetti speciali con uno spiccato gusto per la vecchia scuola.

Chiudiamo anche l’icona lasciata aperta su Johnny Galecki,
il Leonard di “The big bang theory” che qui è anche produttore, la serie con i
Nerd diventati di moda nel tempo mi è venuta in odio totale, ma Galecki ha un
talento: il disadattato gli viene proprio bene. Quando TBBT era ancora una
serie, il bello era proprio vedere come Johnny Galecki sapesse caratterizzare
il suo Leonard come uno che avrebbe voluto una vita “normale” e una fidanzata
(nella fattispecie Penny), uno incastrato tra la sua vita da Nerd senza
ritorno e la pulsione di non essere sempre etichettato come uno stramboide che
sa tutto di Flash e Star Trek, ma non riesce a rivolgere la parola ad una
donna. Uno che soffre per la sua condizione, a differenza di che so, il
maledetto Sheldon (che ormai detesto) che, invece, del suo essere nerd
ha fatto motivo di orgoglio e vanto. Dopo la terza stagione “The big bang
theory” è diventato una schifezza che non fa nemmeno più ridere perché ha
tradito questa premessa quasi malinconica, ma qui Johnny Galecki funziona alla
grande proprio perché riprende quel tipo di personaggio che soffre, ma le cui
costanti figure di merda sminuiscono il dolore che prova ai
nostri occhi.

Johnny Galecki il campione del mondo dei ruoli da disadattato.

No, anche l’analisi “seria” di “The big bang theory” vi ho
fatto, trovatelo un altro blog che vi rimanda a casa con due commenti al prezzo
di uno!

Insomma, Bobby Miller fa un ottimo lavoro e lascia
sperare che con il tempo potrebbe ancora migliorare, ora che ci penso, pure
lui ha un po’ la “Sindrome di Charlie Brown”, perché per tutto il post l’ho
chiamato Bobby Miller e se questo è l’inizio della sua carriera, speriamo di
poterlo chiamare ancora per nome e cognome.
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