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The Cloverfield Paradox (2018): Ai confini del GieiGieiverso

La saga di “Cloverfield” era già un paradosso, prima che
questa parola comparisse nel titolo del nuovo film dedicato a questo universo
narrativo creato, sempre da lui, dal solito maledetto GIEI GIEI Abrams.
Il primo film del 2008, “Cloverfield” era già ai
confini della realtà paraculaggine, un tentativo di fare un film di
mostri grossi che distruggono la città che, allo stesso tempo, sfruttasse
anche il (genere? Sottogenere? Moda passeggera?) del Found Footage che nei
primi anni 2000 ci ha fatto venire a tutti il mal di mare.

Lo dico fuori dai denti: “Cloverfield” non era un brutto
film, ma già allora l’approccio di GIEI GIEI Abrams era in grado di procurarmi
l’orchite. Sì, perché ricordo bene che il film uscì dopo un ottimo lavoro di
promozione che cavalcava l’immagine della Statua della Libertà decapitata,
un’idea che Abrams aveva già scippato al Maestro John Carpenter direttamente,
per tutti i dettagli sul loro primo incontro, vi rimando QUI.

“Un saluto ai lettori della Bar…” Zitto GIEI GIEI! Qui stai sulle palle a tutti!

Matt Reeves ha messo su un film con qualche buon
momento, tipo la scena dei tunnel da attraversare al buio, anche se pure quella
a ben guardare era presa da “The descent” di Neil Marshall (2005). Ma, in
generale, era un film abbastanza scemo proprio nell’utilizzo della tecncia del Found
Footage, visto che il protagonista continuava a riprendere TUTTO, anche nei
momenti in cui la logica avrebbe suggerito una sola cosa: scappare!

Per parecchi anni “Cloverfield” è stato apprezzato con i
suoi pregi e difetti come capita ai figli unici, poi, GIEI GIEI Abrams ha
capito che se poteva fregare tutti dirigendo un remake non autorizzato di Guerre Stellari, allora perché doveva
stare qui a guardare, mentre tutti lanciavano universi narrativi ispirati a
qualunque cosa!
Sì, perché signora mia, qui una volta era tutta campagna,
mentre oggi è tutta una campagna promozionale per lanciare il prossimo
UNIVERSO! Abbiamo il Marvel Comics Universe, il DC Extended Universe e per due ore (forse due ore e mezza)
abbiamo avuto anche il Dark Universe.
«Chi sono io? Un pirla che si sforza tantissimo di passare
per Steven Spielberg tanto da andare in giro indossando occhiali tondi per
sembrare più credibile !?!» dev’essersi chiesto Abrams e, siccome i suoi
sottoposti sono tutti troppo terrorizzati per rispondergli in coro «SI!» e
lanciarsi in 92 liberatori minuti di applausi, hanno assecondato il suo
capriccio è nel 2016 è nato il Cloververse! Che culo, eh?

Stambler? Come il personaggio di John Goodman nel film precedente? GOMBLOTTO!? No Cloververse!

A ben guardare, però, il primo seguito 10 Cloverfield Lane non era nemmeno male, anzi, a me è piaciuto, un
bel film paranoico sostenuto da un grande John Goodman e dalla bravissima Mary Elizabeth Winstead. Un film ottimo
in cui negli ultimi 15 minuti, per giustificare il nome “Cloverfield” nel
titolo, forse si è dato un calcio al secchio del latte, lasciando aperta
la porta (ma facciamo pure il portone) per altre seguiti che esplorassero questo
mondo tutto ripieno di mostri grossi arrivati da chissà dove.

Ecco, da chissà dove mica tanto, perché il primo film
lasciava intendere che fossero precipitati sulla Terra dallo spazio, un’informazione non fondamentale per continuare la storia che, però, Abrams si è
messo in testa di spiegarci per forza proprio con questo terzo film della saga,
“The Cloverfield Paradox”, in fondo lo sappiamo come fa il vecchio GIEI GIEI,
no? Inizia una storia interessante, poi sul più bello dice «CIAIONE! Vado a
farmi odiare da tutti i fan della saga di STAR [Fate voi] tocca a voi finire la
storia che ho iniziato senza avere affatto in mente la continuazione e la
fine!». Come dite? Non sento bene, ci deve essere un po’ di eco, mi sembra di
sentire qualcosa tipo post, o magari LOST,
non è chiaro, scandite bene.

Nello spazio, nessuno può sentirti bestemmiare contro Abrams.

Devo dirlo, ho trovato questa seconda costola estratta dal
film del 2008 meno avvincente di 10 Cloverfield Lane, ma per certi versi le connessioni con la saga sono state
anche più dolorose, perché mentre guardavo “The Cloverfield Paradox”, non ho
fatto altro che pensare: sembra un film completamente diverso, costretto contro
la sua volontà a fare il Cloverfield a tutti i costi. Da qui in poi moderati SPOILER! (lo dico così lo sapete).

In una stazione spaciale ci sono l’Inglese Ava Hamilton (Gugu
Mbatha-Raw), il Tedesco Ernst Schmidt (il sempre valido Daniel Brühl), il
Brasiliano Monk Acosta (John Ortiz), il Russo Volkov (Aksel Hennie) e… No, giuro
non è una barzelletta è davvero la trama del film!

…La conoscevate già? Vabbè non fate quella faccia, vi racconto quella del cavallo che entra nel bar?

Insomma, tutti questi astronauti sono stati spediti nello
spazio a bordo della stagione “Cloverfiled” (occhiolino occhiolino) per
risolvere la grave crisi energetica che rischia di distruggere la Terra, sì,
perché da bravi umani, per fare fronte ad un problema comune, iniziamo ad
ammazzarci l’uno con l’altro per accaparrarci cibo, acqua, carburanti e altri
generi di prima necessità. Tipo un wi-fi decente.

Nel tentativo di far funzionare il generatore Shepard, gli
astronauti vanno lunghi e finiscono a cozzare con una realtà parallela quasi
identica alla nostra, quello che non ci viene mai mostrato è che così facendo,
hanno aperto il varco per far entrare credo, gli Occulti Super Sovrani dell’Universo nella nostra realtà. Per lo
meno una roba del genere, perché il film si guarda bene dal mostrarci tutto
questo, al massimo ce lo racconta in UNA scena, roba che se per caso in quel
momento eri in bagno ciao!
Intanto sulla Terra, il fidanzato di Ava Hamilton, fa cose,
vede gente, in una sottotrama PALLOSISSIMA che serve giusto a far capire che
mentre loro sono lassù a fare a pugni con le realtà parallele, sulla Terra
accadono robe brutte, non è chiaro cosa perché non ci vengono mostrate, però la Terra poteva rimanete offesa, ma di brutto brutto brutto, come dicevano Aldo,
Giovanni e Giacomo.

Il trauma di scoprire che in un universo parallelo, sei il signor Rezzonico.

Guardando “The Cloverfield Paradox” è proprio chiaro che tutte
queste parti siano state aggiunte su una trama che esisteva precedentemente,
infatti a fine visione sono andato ad informarmi e ho scoperto che è andata
proprio così: hanno preso “The God Particle”, sceneggiatura del 2012 e con un
imbuto grosso gli hanno cacciato giù per la gola quanta più roba alla
Cloverfield possibile, tipo vostra nonna quando vi invita a cena durante le
feste.

Ora, sono davanti ad un dubbio morale: è meglio per un
giovane regista fare il suo onesto film e venire dimenticato, oppure è meglio
farsi produrre dall’avido GIEI GIEI, poter contare su un budget decente, attori
mediamente famosi che sanno recitare e la massima copertura pubblicitaria
possibile al patto di accettare di far parte del Cloververse? Messa così sa
tanto di patto col diavolo, ma potrebbe essere anche un’operazione
interessante. Sarebbe un modo per incorporare quanti più generi possibili all’interno
di una lunga linea narrat… No, raga è una cazzata, dai! Siamo davvero in zona
giovani registi concupiti da danarosi produttori con il portafoglio gonfio e
speriamo sia il portafoglio.

“ABRAAAAAAMS!” (Quasi-cit.)

Di suo “The Cloverfield Paradox” non è affatto girato male,
è una storia di paranoia spaziale, una specie di Punto di non ritorno a cui sono state scientificamente sottratte le scene
splatter, se siete impallinati con i bosoni di Higgs e tutta quella roba lì
potrebbe anche piacervi, per un paio di trovate mi ha ricordato il fumetto Caliban di Garth Ennis, se non altro per
l’idea delle due realtà del multiverso contingenti, in lotta tra di loro per
condividere lo stesso identico spazio vitale.

L’entrata in scena della bionda Elizabeth Debicki (vista in The Night Manager) garantisce il minimo
sindacale di mistero, con una scena che fa capire che comunque gli effetti
speciali sono all’altezza della storia, per un paio di minuti tiene banco
un altro dilemma etico niente male: se aveste la possibilità di sbirciare in
una realtà parallela dove la vostra controparte è identica a voi, solo che se
la passa meglio perché libera dai traumi che vi hanno tediato, cosa fareste?

Lei sarà valida per la categoria BBS del Zinefilo?

Insomma, con i suoi astronauti al limite del clichè, per un
po’metafora dei conflitti sulla Terra, un po’ di sana paranoia da metti
dieci umani in una stanza e guarda come finiranno ad accusarsi a vicenda, che
sul sottoscritto fa sempre presa. Certo, l’argomento non viene sviscerato come
si deve forse perché troppo impegnato a cavalcare la sottotrama del paradosso
spazio temporale e a sua volta a farsi cavalcare da GIEI GIEI Abrams impegnato
a gridare: «Più Cloverfiled! Così! Voglio più Cloverfiled!».

Ma la vera ragione per cui “The Cloverfield Paradox” non
verrà dimenticato in tre minuti (magari in nove ecco) è un’altra: siamo davanti
ad film che porta avanti la tradizione della mani al cinema! Avete presente Ash
che combatte contro Federica la mano nemica in La Casa 2? Ecco, questo film porta avanti la tradizione della storie che hanno delle mani al centro della trama.

Paraparà [Schiocco di dita] + [Schiocco di dita].

Non voglio rovinarvi troppo la visione, però la scena del
braccio è oggettivamente una figata, viaggia sul delicato equilibrio di
elementi comici ed horror in parti uguali, aiuta, ma aiuta davvero tanto, che
il proprietario del braccio sia Chris O’Dowd, proprio l’uomo che incarna le mie
sfighe lavorative in “IT Crowd”, qui nella parte dell’Irlandese che fa le
battute, un ruolo stronzo in cui O’Dowd riesce a portare a casa il risultato,
un’impresa non affatto semplice. Molto strano che non gli abbiano nemmeno
chiesto di riavviare la stazione!

“Eppure un bel riavvio io lo farei…”.

Per assurdo, la scena del braccio che sulla carta potrebbe
essere la buccia di banana che fa scivolare il film, invece è forse anche l’unica
che ricorderemo tra qualche tempo, perché alla fine “The Cloverfield Paradox” è
un episodio di “Ai confini della realtà” fin troppo lungo che ha la grande
sfiga di bruciarsi la scena ad effetto finale, perché è il titolo stesso del
film a rovinare la sopresa.

Procedendo di paradosso in paradosso, l’unica costante è
la capacità di GIEI GIEI Abrams di vendere la sua cosa, per quanto mi riguarda,
anche il suo vero (ed unico) super potere, non c’è nessuno come lui in grado di
creare interesse (i giovani lo chiamano Hype) intorno alle opere che dirige o
produce con la sua “Bad Robot Productions”, per questo film, poi, ha pensato bene
di fare squadra con Netflix, ovvero quelli che, al momento, stanno producendo
tutta la roba più interessante.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri Cloverfield.

Infatti, non so chi altri potrebbe pensare di acquistare uno
spazio pubblicitario all’interno della pausa del primo tempo dell’ultimo Super
Bowl del 4 febbraio di quest’anno, per pubblicizzare quello che a tutti gli
effetti è un filmetto che senza il “Cloverfield” nel titolo, sarebbe stato
giudicato diversamente se non del tutto ignorato. Ma la mossa da venditore
navigato è stata di far rilasciare il film soltanto due ore dopo la pubblicità
del Super Bowl (storia vera) e ditemi se questo non è battere il ferro finchè è
caldo!

Di fondo, tutti lo sapevano che il film era una roba da sei
politico (forse anche meno), eppure è un titolo che è riuscito ad intasare i
social-cosi facendo parlare di sé, dimostrando che il paradosso vero non è
utilizzare tutti i mezzucci possibili per portare avanti il “Cloververse”,
quanto il fatto che siamo tutti vittime di un pessimo imitatore di Spielberg,
che con la mossa segreta del piede nella porta, come il più insistente dei
venditori, è capace di propinarti qualunque cosa… Benvenuti nel paradosso del GieiGieiverso!
Abbiate paura, abbiate molta paura (cit.)
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