Mi ritrovo in una bizzarra situazione, secondo voi avrebbe senso se io utilizzassi questo post per ripercorrere la genesi del fumetto di culto di James O’Barr, dell’altrettanto idolatrato film con Brandon Lee che proprio quest’anno compie i suoi primi trent’anni, quando è chiaro che il film in questione non abbia legami diretti con nessuna delle due opere, se non l’essere un altro tassello di un marchio, che per Millennials e componenti nella generazione X risulta intoccabile? Faccio domande retoriche lo so.
Non penso abbia troppo senso raccontarvi di nuovo dei trascorsi di O’Barr o del film di culto che ha sdoganato il fumetto (e non viceversa), per quello vi basterà leggere o rileggere questo scintillante post, quello che mi preme in questo momento è applicare una mentalità alla moda su “Infernet”: se “The Crow”, ultimo film liberamente ispirato al fumetto di O’Barr, che risulta meno peggio di roba tipo “Il corvo 2” o “Il corvo salvation”, seguendo il cattivo esempio di Romulus, sarà un film da considerare come il miglior film de “Il Corvo” dai tempi di beh, Il Corvo?
Perdonate la provocazione, volevo solo provare a ribadire ancora una volta quanto sia stupido etichettare e valutare i film in base a questa filosofia del meno peggio, anche perché poi a conti fatti, non viene utilizzata con costanza, ma applicando due pesi e due misure, perché per certi versi “The Crow” è un film nato morto che somiglia in questo, molto di più a Borderlands, perché è sempre più chiaro che finché il pubblico utilizzerà mentalità da “Infernet” per valutare i film, tutto il destino di un’operazione che prevede centinaia di persone (e posti di lavoro) coinvolti, verrà determinato dal pollice alto o il pollice verso di un trailer.
Pensare che per una settimana, “The Crow” è stato anche di moda su “Infernet”, la foto promozionale di Bill Skarsgård, anche noto come “Il corvo con i tatuaggi” ha fatto discutere, tra chi la trovava ridicola, chi ha pianto sulla devastazione dei suoi ricordi d’infanzia e d’adolescenza, qualcuno ha usato il fumetto come scudo, altri pragmatici, sono stati uccisi per primi quando hanno provato a ricordare i bei tempi in cui i film prima si guardavano e poi si valutavano. Fantascienza lo so.
Eppure proprio come PARACULUS, anche questo film nasce per non far scadere i diritti di sfruttamento su una proprietà intellettuale, fateci caso, nel cinema horror succede sempre, un nuovo seguito o rilancio ad ogni compleanno, per mantenere la proprietà e continuare a spremere il limone, i primi trent’anni de Il Corvo erano troppo golosi per il produttore Edward R. Pressman, un illuminato che nel 1994 ebbe l’intuizione di affidarsi a due semi sconosciuti come Alex Proyas e Brandon Lee, di infarcire la colonna sonora di pezzi monumentali, ma anche uno con il pelo sullo stomaco per completare “Il Corvo” dopo la tragica morte di Lee, monetizzando cinicamente al massimo.
Bradley Cooper, Jason Momoa, mia nonna, nel corso degli anni quanti nomi abbiamo letto per il ruolo di Eric Draven associati a questo rilancio? Un casino. Con l’avvicinarsi della data di scadenza, Pressman, pragmatico, ha scelto uno in rampa di lancio ma non ancora arrivato definitivamente come Bill Skarsgård, uno che ha dimostrato di funzionare truccato ma anche con gli addominali a vista, e mentre io sto qui a fare la filosofia dei film e su “Infernet” ci si scanna sulla malinconia, c’è gente che al cinema ci va solo per il “Six pack” eh? Altra verità sul cinema che nessun’altra pagina a tema vi dirà mai. Consideratevi fortunati.
Iniziamo dai pregi del film, dopo quella leccata di culo (a Ridley, lo Scott sbagliato) di Paraculus, fa quasi piacere vedere un film che non strizza l’occhio a nessuno, sicuramente non al film del 1994 e al fumetto. Dalla prima incarnazione originale della storia, pesca il minimo sindacale, nome (senza cognome) dei personaggi Eric e Shelley, quello che chi ama utilizzare gli anglicismi chiamerebbe mood, ma io continuo a indicare come atmosfera e ovviamente la direzione da film di vendetta tristone nel cuore. Però lo fa con la strategia precisa di utilizzare come base, in teoria solida, una proprietà intellettuale, un marchio amato da Millennials e Gen X, per poi raccontare la storia alla Generazione Z, con la loro musica, lo stile del protagonista più da Rapper che da cantante Rock e la cantante e ballerina FKA twigs nei panni di Shelley, che da sola aumenta il livello di gioventù percepita malgrado il suo essere prossima agli ‘anta.
Parte della strategia anche la scelta stilistica di utilizzare un tipo di violenza in odore di John Wick (altro marchio consolidato che ai giovani non interessa) che per lo meno dovrebbe dare carattere ad un’operazione nata più morta di Eric Draven, perché la strategia è chiara, ma anche barcollante. Ormai dovrebbe essere chiaro che alle nuove generazioni la malinconia non interessa, anzi non interessa proprio andare al cinema, al massimo si smuovono per prodotti che sentono loro tipi i pigiami dell’MCU, ma tutto sta perdendo interesse nei confronti di contenuti ficcanti e a tema su Tik Tok. Se prevedono balletti meglio.
Cosa resta? Il vento contrario e il più delle volte maleodorante di “Infernet”, dove tutti possono dire la propria compreso Alex Proyas, uno che ha abbracciato il peggior tipo di atteggiamento da curva, quello che tifa per una squadra che non vince mai (da quanto non fa un film? L’ultimo che ha fatto, volete davvero ricordarlo?) quindi gufa, tira i piedi e si spancia se i rivali a loro volta se la vedono male. Siamo sicuri che Proyas non abbia origini Italiane? Vabbè a molti la sua parola (di parte) basta perché ha diretto il film di culto del 1994, se non approva questo, allora dovrà essere brutto per forza, dovrà essere una violenza ai nostri ricordi d’infanzia e d’adolescenza, insomma la malinconia come al solito, chiude la critica della ragion veduta in un angolo a la prende a calci con gli anfibi.
Nel fuggi fuggi generale, quando si alza il maleodorante vento che sa di cadavere (nei casi migliori), anche il protagonista, Bill, l’altro Skarsgård che cerca di stare al passo con i muscoli del fratello, ha iniziato a prendere le distanze dal film per tutelarsi, evidentemente avrà chiesto consulenza al cast di Madame Web.
In tutto questo “The Crow” ha almeno il fegato di andare per la sua strada, di suo è un’altra interpretazione della storia originale, uguale ai vari “Salvation”, per fortuna meglio della serie televisiva, che si concentra su una storia d’amore adolescenziale e quindi tragica, come tutti i primi amori anche della letteratura, non mi fate scomodare il Bardo, ma ci siamo capiti no?
A differenza anche del film del 1994, per lo meno Shelley qui non è una donna angelicata che vive in assenza e svolge il compito di funzione narrativa bipede. Il film del volenteroso mestierante Rupert Sanders (sempre nella zona delle operazioni quando si tratta di adattamenti nati morti) si concentra sulla storia d’amore tra due “ragazzi fuori” che però si incontrano dentro, evadono insieme e zompano in mutande felici sul letto dopo aver fatto l’amore, insomma il canone classico a cui il film dedica tutto il tempo.
A questo aggiungete un generico cattivo, interpretato da uno specialista carismatico come Danny Huston che recita una parte così in ciabatte, ma anche una certa convinzione generale da parte di tutti i coinvolti. Skarsgård secondo ora fa il distaccato, ma si vede che ci teneva a far bene, il che non può essere un male.
Altre caratteristiche del film? Ci vuole un tempo infinito per vedere Eric-senza-cognome mettersi il caratteristico cappotto e guadagnarsi il trucco sul volto. Lo fa quasi in concomitanza con una scena madre di violenza, dove per lo meno non si tira via la mano, ma come in Deadpool & Wolverine abbiamo katane piantate nel petto in favore di macchina da presa e coltellate varie. Il pennuto di questa versione ha la stessa tecnica di combattimento della versione di Brandon Lee, l’attacco frontale, tanto sono già morto, che mi frega, questo si traduce in parecchio sangue ma anche in una resa dei conti frettolosa con il cattivo, che si esibisce in una variante (semi horror) del canone per cui il malvagio si sa, devo morire urlando e defenestrato.
Storia diversa, tanto sangue, ma anche tanta noia, tante soluzioni canoniche e per nulla creative, a ben guardarlo questo “The Crow” recupera la figura del mentore dall’aldilà tagliata dal film del 1994 (avrebbe dovuto interpretarlo Michael Berryman, ne abbiamo parlato), solo che ricorda fin troppo il Cagliostro di Spawn, e se il Buddy movie del 2024 (unico che è uscito) si giocava le rovine della Fox in un poco creativo futuro, qui l’altro mondo è beh, un magazzino.
Muori come il personaggio di un videogioco, ti ritrovi allo stesso punto di partenza nell’altro mondo, una versione poverina di un gioco che mi piaceva molto Shadow Man, mi pare fosse del 1999, magari qualcuno lo ricorda, rappresentava alla grande la capacità del protagonista di saltare da un mondo all’altra, meglio che girare le scene migliori in un magazzino, ecco.
Risultato finale, abbiamo un anti eroe che muore e risorge armato del potere degli addominali scolpiti, in un film che ha il coraggio di mettere al bando strizzatine d’occhio e gomitini, ma poi si affloscia su idee pigre, su mera esecuzione di quello che risulta essere un “Revenge movie” che sembra chiamarsi “Il Corvo” (in inglese ovviamente) quasi per sbaglio, controvoglia, a ben guardarlo potrebbe essere un rifacimento violento e in chiave Horror di che so… “Ghost” (1990). Chissà, se lo avessero venduto così forse avrebbero avuto tutto “Infernet” dalla loro parte.
Per concludere, state tenendo il conto di quante proprietà intellettuali sono già tornate con un nuovo capitolo nel 2024? Francamente spero di essere al picco, per ripescare vocaboli dalla recente pandemia, l’apice di questo maremoto di malinconia, ma considerando i film annunciati per il 2025 e il 2026, lo stillicidio continua, altro che omicidio di Eric Draven, visto che molti di voi lo so, stanno già in fremente attesa del secondo malinconico capitolo della avventure del Bio-Esorcista, siamo proprio messi male!
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing