ancora dell’onda lunga generata da Scream,
al cinema arrivavano solo titoli anemici, con protagonisti sempre più giovani e
stereotipati che il più delle volte, morivano fuori campo, da questo punto di
vista l’apice è stato “Boogeyman – L’uomo nero” (2005) con le morti raccontate
dai superstiti… Brrrr!
Se escludiamo qualche tentativo da parte di Eli Roth, andato
a buon fine per davvero proprio nel 2005, in quella manciata di anni toccava accontentarsi
del J-Horror e dei relativi rifacimenti americani. Finché zio Neil Marshall non
si è tirato su le maniche ed è venuto a salvarci, benvenuti al nuovo capitolo
della rubrichetta… Marshall Love!
“The Descent” fece il giro di tutti i festival non per forza
solo di genere (arrivò anche a Venezia, storia vera) collezionando giubilo,
reazioni che se da una parte hanno caricato il film di attese, almeno per il
pubblico generalista, dall’altra parte erano più che doverose, al suo secondo
film dopo Dog Soldiers, zio Neil
aveva le idee chiarissime, voleva un horror completamente al femminile,
tipologia di film che secondo lui mancava come l’aria al genere, ma è l’unità d’intenti
che colpì in mezzo agli occhi una platea da tempo affamata. Con un tripudio di
grande regia, ottima scrittura e trucchi rigorosamente vecchia scuola, questo inglesaccio pazzo (con tutto l’affetto eh?) aveva riportato di colpo il sangue, le fratture con ossa
esposte, l’ansia e la paura in un genere che ormai sembrava destinato a colpire
il pubblico solo con le forbici arrotondate di plastica. Forse la reazione a
troppi anni di horror anemici era dietro l’angolo, ma ci voleva qualcuno che
facesse il primo passo, che non poteva essere più netto e deciso di quello compiuto
da zio Neil.
La campagna promozionale del film fu la solita in casi come
questo, perché strombazzava: «Il film più spaventoso dai tempi dell’ultima
volta che vi abbiamo detto che sarebbe stato il film più spaventoso dai tempi di
quando ve la siete fatta sotto al cinema!». Ora magari non erano proprio queste
le parole esatte, ma il senso si, esagerate come solo la pubblicità impegnata a
venderti qualcosa può essere ma supportate da fatti, io andai a vederlo nell’ottobre
di quell’anno, con un amico che amava gli Horror più o meno come un gatto l’acqua,
quando arrivano quelle due scene chiave lì, io non potevo credere a cosa stavo guardando,
finalmente un horror, un horror vero! Il mio amico? Non volle mai più venire al
cinema a vedere un film scelto da me (storia vera).
Magari era un entusiasmo figlio del momento? Macché! “The
Descent” era una bomba nel 2005 e lo è ancora, anzi chiamiamolo con il suo
nome, questo film è un manuale su come si dovrebbe sempre scrivere e dirigere gli horror, si tende sempre a considerare dei classici solo i film con un certo
numero di anni sul groppone, io non ho dubbi, se qualcuno deve fare un passo per
provare a far riconoscere lo stato di questo film, non ho problemi a farlo io
aprendogli le porte del club dei Classidy!
La sfiga di “The Descent” è forse quella di avere uno spunto
di partenza non particolarmente originale, vedi le protagoniste fare rafting e
pensi a Un tranquillo weekend di paura,
sei lì tranquillo a seguire la scena della famigliola in auto e appena ti
riprendi dal trauma della scena che Neil Marshall ci lancia in faccia (forse
avrei potuto scegliere parole meno infelici) ed è inevitabile pensare a “Final
Destination” (2000), con la differenza che lì era una delle scene madri, qui fa
parte dei famigerati cinque minuti iniziali, quelli che determinano tutto l’andamento
del film e che zio Neil utilizza alla grande, infatti gli bastano giusto quelli
per raccontarci tutto il dramma di Sarah (Shauna Macdonald), da qui in poi “The
Descent” imbocca la sua strada giù nei cunicoli e non si volta più indietro.
Questo film introduce un elemento che diventerà una costante
del cinema di Marshall, protagoniste dure come chiodi da bara, lontane milioni
di chilometri da quei personaggi da femminismo di plastica, che fanno le facce
serie serie, per far vedere che sono tipe toste ma che in realtà non hanno
nulla da dire. Le sei speleologhe del fine settimana del film non sono la
bionda popputa svampita, oppure quella intellettuale con gli occhiali o altri
stereotipi del genere, ci si affeziona a loro perché sono realistiche come i
soldati di Dog Soldiers ma non
sembrano mai donne scritte da un uomo, come spesso accade in fin troppi film,
le vediamo scherzare sui loro pigiami imbarazzanti, ognuna con un suo carattere
riconoscibile mai figlio di abusati cliché cinematografici, nemmeno quando la
più spavalda del gruppo ritiene esplorare i cunicoli sotto i nei Monti Catskill
(realizzati in studio o in Inghilterra, dove il film è stato girato) fin troppo
facile per le sue abitudini.
Se il film precedente di zio Neil era parecchio
citazionista, ma già dimostrava di aver assimilato la lezione dei grandi
Maestri a cui si ispirava (lo stesso sarà per alcuni dei titoli successivi del
regista), qui Neil Marshall fa un salto di qualità, è chiaro che l’ispirazione
arrivi dai tunnel buio pieni di minacce di Alien,
dal femminismo del miglior tipo di Aliens – Scontro finale e per certi versi, dai film che cambiano genere in corsa,
trasformandosi in horror come Predator,
anche perché le speleologhe di Marshall sono talmente toste che potrebbero dare
filo da torcere anche ad uno Yautja. Per certi versi “The Descent” è un Alien
sulla terra (anzi sotto terra), riflessione che ha ben descritto anche Lucius e che mi sento di condividere.
Troppo spesso, forse abituati dal fatto di guardarne sempre
così tanti, ci dimentichiamo che un film horror dovrebbe per prima cosa
provocarci delle reazioni forti, la prima sensazione spiacevole che “The
Descent” sa ancora mettere addosso al pubblico è quel senso di claustrofobia
che affligge Sarah fin dal prologo, ben prima di calarsi con una corda verso il
centro della terra, figuriamoci quando le protagoniste strisciano e restano
incastrate in cunicoli dove non entrerebbe nemmeno Pietro Micca. Perché “The
Descent” lavora ai fianchi dello spettatori, facendo leva su paure ancestrali
come il buio, la mancanza di ossigeno, il panico, il restare incastrati, tutta
roba che zio Neil grazie alla sua regia, ad un montaggio da manuale di Jon
Harris e alla fotografia di Sam McCurdy, fa riemergere nel fondo della testa del
pubblico.
Per cinquanta minuti “The Descent” potrebbe essere un dramma
su delle speleologhe della domenica disperse, in realtà è un titolo che
chiunque voglia scrivere, dirigere o produrre film del terrore dovrebbe
studiare a memoria, perché rappresenta il perfetto manuale su come si organizza
un horror, su come si gestiscono dinamiche tra i personaggi, i tempi, le
attese, insomma zio Neil si è messo il cappello, ha messo in moto lo scuolabus
e ha portato tutti in classe a studiare il cinema horror. Anche perché il
nostro è così bravo a farci patteggiare per personaggi realistici, da
conquistarsi la nostra attenzione e il nostro coinvolgimento da subito, le sue
speleologhe non sono oggettini sessuali, o stereotipi di bellezza da film dell’orrore,
sono il tipo di personaggi ben scritti che conquistano, per citare uno dei
dialoghi più riusciti pronunciato da Beth (Alex Reid): «I’m an English teacher,
not fucking Tomb Raider», una donna realistica, non una fantasia erotica creata
da un maschietto.
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Vogliamo ricordarle così, come un modello di personaggi femminili scritti come il Dio del cinema comanda. |
A livello di continuità, il nome Eddie Oswald compare anche qui dopo Dog Soldiers, Sarah trova un vecchio elmo da minatore con questo nome sopra ma in generale Marshall dirige un film che riesce ad essere asciutto e minimale (e qui si
vede la scuola Carpenteriana a cui si è diplomato Marshall), tutto basato su
angoscia e dialoghi, il buon vecchio metti insieme un gruppo di umani in un
luogo ristretto e poi lascia che la natura umana faccia il resto e nessun posto
costringe i personaggi a stare gomito a gomito, più dei cunicoli in cui Neil
trascina le sue eroine. Come spettatori siamo già tutti sulle spine quando
quell’adorabile pazzoide inglese decide di lanciarci in faccia un bus in corsa.
Intendo proprio un Bus nel senso pensato da Jacques Tourneur del termine, ancora oggi “The Descent” lo
ritroviamo sempre nelle varie classifiche acchiappa click di film con scene in
grado di mettere a dura prova le vostre coronarie, il momento esatto in cui
grazie alla sua regia Neil Marshall cala la maschera e fa svoltare il suo film,
che di colpo diventa un horror a tutti gli effetti, ma un regista meno
talentuoso si sarebbe accontentato di questo, dirigendo che so, un “Il
nascondiglio del diavolo – The Cave” (2005) qualunque, ma zio Neil fa di più,
molto di più.
Se è quasi canonico il fatto che ci siano dei segreti tra le
fila delle protagoniste del film, del tutto originale è il modo in cui Marshall
fa evolvere il gruppo di donne, che già partono da un punto che le pone molto
lontane dalle classiche figure femminili negli horror: non si spogliano, non
sono oggetti sessuali, non scappano urlando e perdendo le scarpe, ma per
sopravvivere contro quei mostri nascosti nel buio, devono diventare delle leonesse, le prime di tante guerriere che terranno
banco nel cinema di Marshall per un bel pezzo. Infatti zio Neil sottolinea
questo cambio di passo per Sarah e le altre con un momento visivo, puramente
cinematografico e chiarissimo negli intenti: un bagno di sangue…
Non è un modo di dire, quando Sarah cade
nella pozza riemerge come una guerriera pronta a tutto per restare in vita, d’altra
parte in uno nei brillanti dialoghi del film viene messo in chiaro, la cosa
peggiore che potesse capitarle le è già successa nei primi cinque minuti del
film, infatti l’ultimo atto di “The Descent” è una lunga, violenta, grondante
sangue corsa, spinta da una rabbia belluina in cui si sistemano i torti e si
vende cara la pelle contro quelle demoniache creature.
Ho sempre trovato significativo il fatto che la
sopravvissuta, una volta riemersa dalle viscere della terra continui ancora a
correre, Neil Marshall è bravissimo a tenere alta la tensione anche fuori, alla
luce del sole, con una corsa in auto o un camion che passa strombazzando, fino
al finale che merita un paragrafo tutto suo.
Il finale del film esiste in due versioni, visto che ai
produttori americani il pessimismo di Albione non piaceva, la versione Yankee
del film taglia dopo il “BUU!” in auto, titoli di coda. Ovviamente la versione
preferita dallo stesso Neil Marshall è quella Inglese, quella arrivata anche
nelle nostre sale, dove l’ottimismo ha la meglio su tutto (seee credici!) ed è
inutile che io vi dica che è anche la mia versione preferita, tra le due è
proprio una non competitiva.
“The Descent” è un film che non ha perso un grammo della sua
forza nemmeno con il tempo, sono profondamente convinto che senza questo deciso
primo passo fatto da Neil Marshall, l’horror contemporaneo sarebbe ancora
anemico e timido, ma più in generale meno interessante, ci voleva questo grande
film che non ha quasi mai bisogno di strafare, ma che risulta incredibile
quando decide di farlo, a ricordare a tutti che sangue, fratture esposte e
soprattutto la paura, sono la base del cinema horror, quello e personaggi
scritti alla grande. Qualunque fan del cinema horror degno di questo nome,
dovrebbe ringraziare Neil Marshall ogni giorno, a mio modo sto cercando di
farlo con questa rubrica, a breve su queste Bare il prossimo capitolo… non
mancate!