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The Domestics (2018): Sposini? Giochiamo a fare la guerra?

Se c’è una cosa che il cinema ci ha insegnato è che la parte
difficile della fine del mondo, è il tentare di restare vivi dopo, l’evento in sé
può essere drammatico (beh cavolo, è la fine del mondo!), ma la parte peggiore arriva dopo. I romantici potrebbero dire che con la fine di una storia d’amore è quasi uguale all’apocalisse, ma ora, prima di scappare tutti via urlando vi ricordo che questa è la
Bara Volante, quindi anche quando qui sopra si fa una concezione ad un film
amoroso, come minimo mettete in preventivo: Omicidi, bande assetate di sangue,
cannibali, sparatorie e pezzi dei Goatsnake. Siamo personcine di una certa
classe e raffinatezza qui sopra. Che cazzo!



Mike P. Nelson ha una lunga esperienza nel reparto tecnico
della produzione dei film, per il suo esordio alla regia in un lungometraggio
sceneggia una cosina molto atipica, eppure stranamente al passo con i tempi,
vista tutta la rabbia che c’è nell’aria verso il prossimo, specialmente se
diverso e magari più debole di te.
Con un’introduzione rapida è veloce, Mike P. Nelson
distrugge il mondo. Senza perdere tempo ad ammorbarci con spiegoni ma
lasciandoci con il dubbio di una manovra voluta da chi tira le fila del mondo,
Nelson apre il film con la voce narrante della protagonista Nina (Kate Bosworth,
lasciatemi l’icona aperta su di lei che poi ci ritorniamo) impegnata a dirci
che magari non ci frega poi tanto, ma il mondo è finito, gli aerei si sono
alzati in volo disperdendo nell’aria un fumo nero non ben identificato che ha
avuto l’effetto di sterminare buona parte della popolazione, quelli che devono
considerarsi i più fortunati. Ah questi sono i primi due minuti del film,
brutto?
Con ancora più fretta e di conseguenza senza irritazione
agli zebedei dello spettatore, Nelson ci racconta di come gli Stati Uniti si
siano riorganizzati in bande, ci sono gli “Sheets”, che come dice il nome, con
i loro lenzuoli bianchi in testa da fantasmi, anche se ricordano più che altro
quegli allegri bontemponi stronzi del KKK. Ci sono i “Gamblers” gli
scommettitori, quelli che amano i giochini e prima di ucciderti girano una
ruota che deciderà del tuo destino nemmeno fossi un concorrente di un vecchio
gioco a premi in cui se ti va bene, non ti sparano. Almeno non subito.

Mike non vorrei dirtelo, ma James Gunn è stato licenziato per molto meno di così.

Ma ci sono anche i “Plumbers”, i “Nailers” e quegli altri,
rinati a primavera con le corna di cervo in testa di cui non ricordo il nome,
nel dubbio li chiameremo i “Cocciante”. Insomma tante allegre bande di simpaticoni
che possono ammazzarti in tanti modi altrettanto coloriti, tutti guidati da un
DJ radiofonico che non si vede mai in faccia, ma che oltre ad alternare pezzi
classici, dà anche qualche indicazione su dove scovare vittime, insomma quello
a cui state pensando è un misto tra “I guerrieri della notte” (1979) di Walter
Hill (giù il cappello!) e “Punto Zero” (1971) con la giusta strizzata d’occhio
alle bande di Mad Max ma senza
risultare urticante. Sapete perché ci state pensando? Perché sono anche i
modelli di riferimento di Mike P. Nelson.

“Possibile che questa radio trasmetta solo canzoni di Cocciante, e poi perché tutti dicono che sono un arbitro, io faccio la sentinella!”.

In fuga da tutti questo simpaticoni ci sono Nina (Kate
Bosworth) e suo marito Mark (Tyler Hoechlin), anzi, suo quasi ex marito, perché
se non si fosse messa in mezzo quella cosetta con gli aerei, il fumo nero e la
gente che muore nelle strade, avrebbero finito per divorziare di sicuro. Qui
inizia una storia che i nostri amici Yankee chiamerebbero “On the road” in cui
l’obbiettivo è raggiungere Milwaukee, dove vivono i genitori di Nina, ma più
che altro l’importante è restare vivi.

In 90 minuti (la durata perfetta per un film) Mike P. Nelson
ci porta in questa lunga corsa sulle strade d’America in cui il fuoco è tutto
attorno ad una coppia che sta insieme per esigenza, perché lo scenario attorno
a loro è cambiato, anzi è diventato proprio post-apocalittico! Quindi non hai
troppo tempo per pensare alla tua crisi di coppia quando ogni due minuti
qualcuno vuole farti la pelle.

Mr. Faccia da scolapasta qui, è il mio preferito di tutti.

Difetti? Il ritmo, ondivago perché alterna i momenti “Nascondiamoci
e organizziamoci” a quelli in cui l’azione non manca per fortuna. Ma bisogna
dire che è un ritmo che va in crescendo, grazie anche alle facce che popolano
il film, ad esempio quel gran mito di Lance Reddick, che magari ricorderete per
Lost oppure per (meglio) il capitano Cedric Daniels della più bella
serie tv di tutti i tempi (The Wire), che qui arriva con suo figlio, un mini-me
che gli copre le spalle con una mitragliatrice da posizione, ora io non vorrei
scomodare i figli di Rod Steiger in “Giù la testa” (1971), ma per un altro caso
di bambino in fotta per sparare a qualcuno mi tocca proprio farlo.

“Si lo so, ho recitato nella migliore e nella peggiore serie tv di sempre nella stessa vita”.

Ma in questo coraggioso nuovo mondo, bisogna tenere sempre
gli occhi aperti per sopravvivere, e pure se ti invitano a cena, potresti ritrovarti
con qualche pessima sorpresa, non aggiungo altro per non rovinarvi una delle
scene migliore del film, una di quelle in cui il calo di ritmo serve perché
giustifica il successivo colpo di scena.

Ma i tizi coloriti da cui guardarsi non mancano, da segnalare
Willy, il tipo ossigenato armato di Luger P08 che prima di ammazzarti ti
interroga sui classici del cinema tipo “Occhi senza volto” (1960) anche se poi
se ne va in giro con un tizio enorme (non a caso chiamato “Bill the Big”) che a
sua volta pare una citazione cinematografica, alla scena dello scantinato e
dello storpio di “Pulp Fiction” (1994), insomma un bel calderone anche
piuttosto divertente.

Voto dieci alla cultura cinematografica, ma voto zero per i capelli alla Eminem con la riga.

Per assurdo i due protagonisti sono i più anonimi, non
ricordo di aver mai visto Tyler Hoechlin da nessuna parte, magari l’ho pure
visto in qualche film ma non lo ricordo, qui è azzeccato nella parte di quello
che le tenta tutte per tenere insieme vita e pezzi del suo matrimonio, ma la
più azzeccata è Kate Bosworth. Ok, tempo di chiudere l’icona lasciata aperta lassù.

Puntare, mirare, sparare, Gioca Jouer!

Io Kate Bosworth non l’ho mai capita, caruccia e slavata in
parti uguale, una di quelle che quando compare nella selezione degli attori di
un film, ti ritrovi a pensare ah! Kate Bosworth! Poi ti ricordi che il ruolo
più significativo della sua carriera era la Lois Lane moscia di “Superman
Returns” (2006) quindi bene ma non benissimo. Ultimo avvistamento? Somnia di Mike Flanagan, che ho trovato
una palla, quindi vedete? La faccenda non migliora.

Qui però bisogna dire che la Bosworth è davvero azzeccata, perché
è una di quelle attrici che ti aspetteresti di trovare in quei drammone sulla
fine di un rapporto di coppia, una di quelle robe a cui non mi avvicinerei
nemmeno per pungolarlo con un bastone e assicurarmi che sia morto, giusto per
capirci. Anche se poi di fatto “The Domestics” è proprio questo, una coppia che
si ritrova letteralmente alla fine del mondo, e trova il modo di vivere e
sopravvivere insieme, però tutto succede senza ammorbarti, drammi o lacrimoni, un trionfo del mostrato sulla chiacchiera caramellosa, in cui quando
arriva un “I love you”, ormai hai visto così tanti morti ammazzati, e ti sei
affezionato alla resilienza dei due protagonisti, che quasi ci sta come finale.

“Ordiniamo cinese e guardiamo un film stasera?” , “Si ma basta roba romantica, troppa violenza”.

Si perché Kate Bosworth funziona proprio perché non ha l’aria
di una che potrebbe sopravvivere ammazzando a destra e a manca per portare a
casa la pelle, è una che impara ad essere dura in corso d’opera come può
capitare a voi e a me quando la vita decide di prenderti a schiaffoni. Il tipo
di personaggio che quando molla il marito, invece di mettersi a piangere si
attacca alla bottiglia e se la balla (pure un po’ impacciata del suo
rockeggiare) sulle note della tipica canzone da cuori infranti, “Slippin’ the
stealth” dei Goatsnake.

Quando poi Mike P. Nelson mette i suoi personaggi spalle al
muro, Nina riemerge forte in acqua quattro, quante scene di “Roulette Russa”
abbiamo visto al cinema? Da “Il cacciatore” (1978) in giù tantine lo so, quella
di “The Domestics” oltre ad essere uno dei momenti più sanguinolenti del film,
è anche quello dove finisci per fare definitivamente il tifo per i
protagonisti, veder per credere.

Punti simpatia per uno che dirige con la maglietta de
L’Impero.

Il finale poi è in crescendo, Mike P. Nelson dimostra di
aver ben chiaro in testa come dirigere una sparatoria, anche con tanti
personaggi coinvolti, tra mitragliatrici e fucili di precisione, da spettatore
capisci sempre dove si trovano i personaggi, e chi sta sparando addosso a chi,
il che è molto importante in una scena d’azione. Questa specie di assedio
cittadino, è un crescendo, in cui anche quando arriva una versione minore della
Blindocisterna, la scena che la vede
protagonista non sembra affatto minore!

Inoltre i personaggi si sparano addosso come in un western, anche
chi ti sembrava abbastanza duro da poter arrivare fino ai titoli di coda, bang!
Potrebbe finire con il cranio spappolato. Un finale che oltre a farmi pensare
alla prima scena di “I vendicatori” di Stephen King Richard Bachman, mi
ha fatto pensare che se le sparatorie al cinema avessero sempre questo gusto
per il sangue e questo ritmo, ci sarebbe da divertirsi.

Ecco come hanno fatto a pianificare la scena, questa sì che è preparazione!

Il sotto testo politico di “The Domestics” serpeggia, dall’ascia
a stelle e strisce fino all’idea di fondo, in un Paese dove tutti hanno
accesso alle armi, sarebbe più facile organizzarsi in bande armate, ma più che
questo sarebbe davvero andare a cercare significati dove non ci sono, già
essere riusciti a mandare a segno la storia di un matrimonio che si rinsalda,
con gli ammazzamenti al posto degli smaronamenti, per Mike P. Nelson è un gran
risultato, bravo ragazzo!

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