Continua il piano di espansione dei Marvel Studios sul piccolo schermo, senza perdere troppo tempo il venerdì di DisneyPlus è passato da WandaVision alla nuova miniserie “The Falcon and the Winter Soldier”. Un passaggio non proprio indolore bisogna ammetterlo.
Gli intenti delle due (mini)serie erano differenti, “The Falcon and the Winter Soldier” è un lungo film per la TV di circa sei ore di durata, che non si adatta molto bene allo spezzettamento di un episodio alla settimana che caratterizza la politica di DisneyPlus. WandaVision era una serie perfetta per il piccolo schermo proprio perché ne sfruttava il formato alla perfezione, invece le avventure “Bromance” dell’uomo uccello (eh?) e dell’accigliato soldato d’inverno non funzionano altrettanto bene, almeno non come singoli episodi settimanali, ovvero il formato che ha fatto la fortuna di The Mandalorian, per restare su DisneyPlus ma cambiando “universo” narrativo. Quindi il consiglio è quello di gustarsi tutta la serie insieme o comunque, guardando gli episodi a distanza ravvicinata, anche perché le puntate 1×02 e 1×03 sono decisamente le più soporifere e anche le meno riuscite di tutta la miniserie.
Anche se ormai le regole del gioco dovreste conoscerle dopo un decennio di film di tizi in super calzamaglia, vi avviso lo stesso: [Cassidy ispira forte] The Falcon and the Winter Soldier [Cassidy espira forte] comincia subito dopo gli eventi di Endgame, quindi per comodità vi avviso, da qui in poi SPOILER!
Sam Wilson (Anthony Mackie) è stato scelto da Capitan America (mi rifiuto di chiamarlo “Captain”) in persona per essere il nuovo portatore dello scudo, moderno Excalibur che oltre a ritornare al proprietario dopo ogni lancio, è un simbolo di cui l’America (quindi il mondo occidentale) ha bisogno, solo che Falcon questa responsabilità proprio non la vuole e preferisce continuare le sue missioni in giro per il mondo, come quella in piano sequenza iniziale della prima puntata, che è anche una delle migliori scene movimentate che dovremmo farci bastare per tanti, troppi episodi.
L’aver consegnato lo scudo al museo Smithsonian (quindi al governo americano) non ha messo di buon umore l’ex soldato d’inverno, Bucky Barnes (Sebastian Stan), anche se credo che niente possa mettere di buon umore “l’uomo che fissa la gente”, ex spalla di Cap, ex Lupo Bianco del Wakanda, insomma ha più soprannomi lui di Prince.
Bucky dopo gli eventi di Endgame e il tirocinio nel Wakanda, ora è un uomo (quasi) nuovo, attraverso sedute dalla psicologa (dirette da un regista con una macchina da presa a cui si è bloccato il tasto dello zoom), il nostro ha redatto una lista di persone a cui ha fatto del male nella sua vita, insomma è diventato Earl di “My Name is Earl”.
Parliamoci chiaro, le prime puntate di “L’uomo uccello e l’uomo che fissa la gente” mi ha deluso sotto parecchi punti di vista, uno dei punti di forza della Marvel è quello di avere svariati filoni per i suoi personaggi, questa miniserie si incastra perfettamente in quello più “politico” (virgolette obbligatorie) di film come “Captain America: The Winter Soldier” (2014) o Civil War, ma i due titolari della serie fino a questo momento, erano stati ben poco carismatici, Falcon credo che abbia un problema strutturale che si porta dietro fin dai fumetti (un uomo con le ali che vola, che super potere sarebbe esattamente?), mentre Sebastian Stan si alterna tra una certa capacità di colpire il pubblico femminile con la sua presenza, e la presenza scenica rubata al migliore (o al peggiore, tanto è uguale) Steven Seagal, anche se sapete che non sono un fanatico della famigerata “espressività” come unico metro di giudizio per il talento.
Bisogna dire che nemmeno Wanda aveva avuto chissà quale utilizzo nei film della Marvel, Elizabeth Olsen ha potuto finalmente mostrarci il suo talento solo nella miniserie WandaVision dopo anni passati a tenere le manine tese davanti allo schermo verde, quindi mi auguravo che questa nuova miniserie, avesse il ritmo sincopato del recente fumetto mandato alle stampe dalla Marvel (anticipando l’uscita della serie tv) in cui anche due eterne spalle come Falcon e Bucky, funzionavano grazie ad una buona chimica, che purtroppo è quasi totalmente mancata alle loro controparti in carne, ossa, ali e braccia di Vibranio.
Era lecito aspettarsi una sorta di “Buddy Movie” sul filo della gloriosa tradizione iniziata da Walter Hill? Magari anche meno, ma invece i due protagonisti sono due discreti pali anche piuttosto impacciati tra di loro, caratterizzati con quintali di “Bromance” sì, ma di quella che viene fuori quando agli sceneggiatori scappa la mano. In più di un momento, più che Roger e Martin, mi sembravano più Turk e J.D. di Scrubs ma senza tutte le parti comiche divertenti. Specialmente nei sonnolenti episodi 1×02 e 1×03 ho sperato di sentirli finalmente duettare sulle note di Guy love. Sarebbe stato fantastico, la prima coppia dell’universo Marvel, avete presente a che livello di decibel sarebbero arrivate le urla di tutti quei nerdacci (rappresento la categoria, quindi posso dirlo) che strepitano sempre perché la Marvel utilizza personaggi “inclusivi” solo perché sono degli ipocriti? Ci sarebbe stato da divertirsi.
Per somma gioia dei nerd che non hanno capito come funziona la Marvel da più di settant’anni, i personaggi appartenenti a tutte le categorie non mancano, si perché “The Falcon and the Winter Soldier” si gioca anche la carta di Isaiah Bradley, il primo esperimento con il siero del super soldato, fatto su soldati di colore. Un personaggio che nei fumetti Marvel ha esordito nel 2003, quindi ben prima di quella che alcuni (che ancora non hanno capito in che direzione gira il mondo) pensano sia solo una moda passeggera.
Isaiah Bradley, sfruttato e dimenticato dal suo Paese, rappresenta quell’America nera, giustamente arrabbiata a cui Sam sente di appartenere. Il nostro potente uomo-uccello (ok, non lo dico più giuro!) sente che accettando il potere e la responsabilità di uno scudo, appartenuto ad un ragazzone bianco, biondo e con gli occhi azzurri, non solo potrebbe non essere all’altezza, ma potrebbe tradire i suoi fratelli. Infatti “The Falcon and the Winter Soldier” nelle prime puntate, in maniera un po’ impacciata cerca di seguire questo filone, con Sam fermato dalla polizia lungo le strade di Baltimora solo perché nero, ma lasciato andare una volta riconosciuta la sua identità di Vendicatore, o Avengers se preferite.
Si perché l’ansia di mettere un nome Yankee a tutto, colpisce anche l’adattamento televisivo di un vecchio avversario di Cap dei fumetti, che abbiamo sempre chiamato lo Spezzabandiera, ma che qui diventa il gruppo rivoluzionario dei “Flag-Smasher”, che come gli amici al bar di Gino Paoli vorrebbero cambiare il mondo utilizzando il siero del super soldato, ma sembrano più che altro una banda di volenterosi imbranati. Considerando il loro logo, mi è venuto istintivo ribattezzarli “Movimento cinque dita”.
Una volta stabilita la minaccia, bisogna alzare la posta in gioco, quindi nei primi episodi della miniserie, mentre i due titolari vivono nella loro indecisione (ho detto basta battutacce a doppio senso!) a prende il palcoscenico è il barone Zemo, cattivone coinvolto nella vicenda per sfruttare i suoi contatti e portare la serie in uno dei (non) luoghi Marvel che da lettore ho sempre amato di più, la pericolosa isola di Madripoor. Avete presente i peggiori bar di Caracas? Sono luoghi da educande rispetto alla fumettistica Madripoor, un’isolaccia piena di tagliagole e pendagli da forca che meriterebbe una serie tutta sua, sarebbe l’equivalente Marveliana di ValVerde, anche se qui viene rappresentata in un posto tutto discoteche e luci al neon, che nelle intenzioni dovrebbe fare tanto John Wick ma purtroppo solo in quelle.
Si perché Zemo risulta per interventismo e carisma, il personaggio in grado di rubare la scena, diventando la famigerata linea comica (sento le urla di Renè Ferretti in sottofondo), anche se ammettiamolo, Daniel Brühl tutto mi sembra tranne che un attore a suo agio nei panni dell’alleggerimento comico. Se buca lo schermo è solo per vuoto pneumatico di carisma da parte dei due titolari, inoltre le scene d’azione non ci vengono certo incontro.
Devo ammettere che il campione di MMA Georges St-Pierre è stato utilizzato meglio nei cinque minuti in cui compare qui, piuttosto che dai fratelli Russo (ci vuole anche poco), ma specialmente nell’episodio 1×03 le scene di lotta violano la sacra trinità (regia, coreografia, atleti capaci), portando in scena belle coreografie ma montante malissimo, quindi diventa normale vedere Sharon Carter (Emily VanCamp), sparare a bruciapelo in faccia ad uno sgherro, senza che si intraveda nemmeno l’effetto del colpo. Ovvio, non mi aspetto da una serie targata Disney le fratture esposte e i fori di uscita (sono Cassidy, non sono nato ieri), ma mi aspetto per lo meno scene d’azione montante come si deve, considerando anche che sia Falcon che Bucky, non si fanno troppi problemi ad eliminare, in maniera definitiva, un ragguardevole numero di sgherri, più di quanto mi sarei aspettato, questo devo ammetterlo.
La musica cambia nell’episodio 1×05, dove i tanti spunti seminati vengono finalmente raccolti e la puntata comincia con uno scontro a tre tra super tizi, che finalmente tiene conto nella coreografia di combattimento, delle singole capacità personali, perché se hai un lottatore fortissimo ad utilizzare i pugni, è giusto esaltarlo in una coreografia di combattimento orientata in questa direzione, ma se hai un tizio che vola e uno con un braccio indistruttibile, sarebbe logico fare lo stesso e finalmente questo accade all’inizio della quinta puntata.
Perché alla fine “The Falcon and the Winter Soldier” è una miniserie che funziona più di testa che di pancia, per quattro episodi a tenere banco sono gli spunti davvero interessanti disseminati nella storia. Ci sono tante Americhe in questa miniserie, quella nera e radicale di Isaiah Bradley, quella che sta prendendo coscienza di sé e del suo potere (e responsabilità) rappresentata da Sam Wilson, ma anche l’America bianca convinta di poter aggiustare il mondo e che proprio non vuole guardare in faccia i suoi errori, quella rappresentata da John Walker.
Bisogna dirlo, Wyatt Russell con la maschera è un nasone a patata (ereditato da mamma) quasi tenero nella sua illusione, un ragazzone senza poteri, eroe di guerra convinto che le sue tre medaglie al valore, possano bastare a diventare il nuovo Capitan America. Scoprirà presto che pesante è il braccio di chi porta lo scudo, era così il detto? Magari ricordo male. Le responsabilità possono esistere senza i poteri? John Walker è l’America pronta a ricorrere a tutto (anche al siero del super soldato, una sorta di steroidi per supereroi) pur di raggiungere un fine, ecco perché il figlio del vecchio Kurt tira fuori il meglio (o il peggio) del suo personaggio quando fa sprofondare John Walker nel lato QAnon della Forza, perché l’America del 2021 è anche questo e questa miniserie da questo punto di vista è davvero molto riuscita nel rappresentare tutte le sfaccettature di un Paese controverso e spezzato, alla ricerca di un Capitan America in grado di guidarla, si spera nella direzione giusta.
L’episodio 1×05 resta il migliore del lotto, non solo perché comincia e si gioca scene di lotta finalmente dirette e coreografate come si deve, ma anche perché completa il passaggio al “lato oscuro” di Walker, peccato che il gran finale apparecchiato risulti riuscito ma con parecchi difetti.
Girare tutte le scene d’azione dell’episodio 1×06 di notte, resta un ottimo modo per mascherare alcune magagne di regia, inoltre, possibile che Walker dopo un veloce processo farsa, che si risolve più o meno: «Riportaci il costumeeeeeeeee!», possa davvero concludere l’arco narrativo del personaggio con John con la barba lunga di tre giorni, un veloce (velocissimo!) pentimento e poi pacche sulle spalle con tutti, come se non fosse accaduto niente. Sul serio? Ormai mi sembra che la narrazione orizzontale, il portare avanti la lunga trama dell’universo Marvel, abbia la meglio (e sia più importante per i fan) sullo sviluppo dei singoli personaggi. Certo ora la Marvel può giocarsi il nuovo US Agent e Valentina Allegra de Fontaine (interpretata splendidamente da Julia Louis-Dreyfus), ma sei episodi per questa miniserie in certi momenti sono sembrati troppi (per le lungaggini della trama) a volte troppo pochi (per sviluppare per bene i personaggi).
Il discorso alla nazione del nuovo Cap in carica corre in pericoloso equilibrio tra il qualunquismo e frasi mandate a segno, il risultato finale per “The Falcon and the Winter Soldier” è una trama che azzecca molti punti davvero interessanti ma non ha la forza e il tempo per svilupparli a dovere. Anche se è ammirevole il fatto che nella settimana della sentenza del processo che l’America stava aspettando, la Marvel sia stata in grado di giocarsi un finale davvero al passo con i tempi. Lo hanno fatto perché hanno pianificato bene i tempi? Sono stati fortunati o hanno saputo interpretare la cronaca di un Paese in fermento? Sono ipocriti? Sono “troppo politici” come si usa dire in uno strambo Paese a forma di scarpa? Sono dittatori che benpensano? Oppure come diceva un tale di nome Stan, la Marvel è il mondo che vedi quando guardi fuori dalla finestra? Io credo che l’ultima sia la risposta giusta.
Anzi trovo anche molto azzeccato il fatto che la Marvel utilizzi le sue super tutine per parlare di problemi concreti, certo in una miniserie dove tutti lanciano lo scudo con così tanta precisione, la trama risulta sbilenca e spesso zoppicante, il bersaglio è stato mancato ma il lancio, era decisamente nella direzione giusta.
Ora sotto con “Loki”, che spero risulterà meno canonica e più frizzante nell’utilizzare il formato televisivo, abbiamo ancora bisogno della finestra Marvel aperta sul mondo.
Sepolto in precedenza sabato 1 maggio 2021
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