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The Final Destination 3D (2009): la vita è una bastarda e alla fine muori, qualche domanda?

In attesa dell’uscita del sesto capitolo della saga, intitolato “Bloodline”, continua il ripasso della Bara Volante di tutti i film di Final Destination, questa settimana tocca al più paradossale di tutti, il quarto capitolo.

Si perché “The Final Destination 3D” non è il terzo capitolo, di quello abbiamo già parlato la scorsa settimana, ma essendo uscito nel periodo del revival del cinema 3D riportato in auge da Avatar di James Cameron, fa parte di quella infinita schiera di film inutilmente riconvertiti in 3D non nativo, per poter maggiorare il prezzo del biglietto del cinema, una moda a cui questa saga si è aggrappata creando il primo di tanti paradossi, ovvero un film che è a tutti gli effetti “Final Destination 4” ma si gioca comunque il numero tre nel titolo perché l’onda andava cavalcata, tutto questo non fa che togliere visibilità al vero numero tre della saga, non solo uno dei miei capitoli preferiti, ma di gran lunga superiore a questo sotto tutti i punti di vista.

Sulle scale mobili non bisogna rilassarsi, lo dico sempre!

Nel curioso palleggio alla regia, dietro alla macchina da presa di questo The Final Destination non 4 ma 3D con l’articolo davanti, torna il regista dei capitoli pari, via James Wong e nuovamente in campo David R. Ellis, questo secondo me spiega come mai tutto il film sia una versione ingrandita del finale di Final Destination 2, la spassosa – se siete carichi di umorismo nero fino alle tempie – scena del barbecue, una morte violenta, esplosiva nel risultato, pensata per generare una risata che come abbiamo detto, aiuta a non pensare al tema di fondo di tutti i film di questa saga, ben riassunta nella scritta sulla maglietta di uno dei presenti alla gara di Nascar che apre questo capitolo: Life is a bitch and then you die, any questions? Per la traduzione un po’ edulcorata, vi rimando al titolo del post di oggi.

Le regole restano le stesse, solo che questa volta non abbiamo nemmeno una piccola apparizione di Tony Todd, si vede che si sono spesi fino all’ultimo centesimo per riconvertire il film in 3D. ancora una volta abbiamo della carne da macello, personaggi con cognomi da famosi registi horror, guidati questa volta da un maschietto, novità per la saga, si tratta di Nick O’Bannon (come Dan) impersonato da Bobby Campo, colui che verrà colto dalla “Vedenza” e potrà cogliere il disegno della morte prima di tutti.

Qui la Nera Signora si prende un metallaro razzista, una mamma che fa utilizzo alternativo dei tamponi per preservare l’udito dei suoi figli e tutta un’altra serie di scappati di casa, uccisi in favore di macchina da presa come se fossimo tornati ai tempi di Week-end di terrore.

La scena che porta il terrore nel cuore di tutti coloro che stanno in fissa per avere l’auto sempre pulitissima e scintillante.

Passiamo subito alla parte gustosa di un film che, per quanto io ami questa saga, rivedo solo per abitudine, giusto per non saltare subito al ben più riuscito quinto capitolo, perché questo “Final-Destination-4-ma-non-chiamatelo-4” è la scena del BBQ del secondo capitolo, estesa ad 82 minuti e tutta giocata sulla volontà di provocare risate sguaiate in sala, ci riesce, perché i morti ammazzati nei casi migliori, sono degli idioti, in quelli peggiori dei razzisti o sessisti stronzi che un po’ se la meritano anche, quindi diventa veramente uno di quegli Slasher in 3D da cestone tutto a 99 centesimi, la cui unica peculiarità è essere creativo negli omicidi.

La mamma dei sogni, quella dei tamponi nella scena iniziale, si rivela essere la classica cliente rompi palle, quella che entra in un negozio cinque minuti prima della chiusura e chiede tutto e il contrario di tutto, in questo caso la messa in piega, ripresa da David R. Ellis giocando sulle aspettative del pubblico, ci sono mille e uno occasioni di morire per la donna, ma l’ultima, quella veramente fatale, arriva quando meno te la aspetti, sottolineata da una battutaccia («Non vi perdo d’occhio!»)

Può sembrare una morte pensata per far ridere, ma sta a metà tra un “Darwin award” e la fine del topo.

Allo stesso modo lo stronzetto sessista, muore malissimo risucchiato da dove fa più male, sul fondo della piscina, non è chiaro se sia peggio morire per affogamento o rivoltato come un calzino dall’interno delle proprie budella, sta di fatto che forse l’unico vero merito di quella scena (e di tutto il film), resta aver mostrato un minuto prima, una scena di sesso con primo piano sulle poppe in 3D, tutta roba che forse avrebbe fatto la felicità del Maestro Russ Meyer, più per intenzioni che per taglia di reggiseno, lo dico da cultore del Maestro.

“The Final Destination 3D” è un film a cui non importa molto dei suoi personaggi, ho trovato quasi metanarrativa – nel suo essere comunque molto grossolana – la trovata di replicare la grande abbuffata di morte iniziale in un cinema, giusto per aumentare il livello di immedesimazione degli spettatori, però è chiaro, anche nei titoli di coda con scheletrini, che si soffermano a mostrare la morte di tutti anche mentre scorrono i nomi di chi ha lavorato al film, che questo capitolo è più interessato a morti spettacolari che ai personaggi, anche per questo lo trovo il più sciatto, avere quei dialoghi che fanno sanguinare le orecchie poi, non aiuta proprio per niente.

«Questo 3D è veramente realist…»

Potrei anche chiuderla qui, al massimo potrei sottolineare l’altro grande paradosso di questo capitolo, il peggiore della saga che però, si è anche rivelato il maggiore incasso, forse per aver saputo cogliere l’ondata del cinema 3D, il film ha portato a casa nel mondo la bellezza di centottantasei milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti che hanno fatto proprio il concetto di “Final destination”. Nel senso che sono morti.

Eppure l’elemento che trovo più interessante da sviscerare di questa saga, me lo gioco come annunciato qui, nel capitolo che ha meno cose da dire e per questo, ben si presta alla mia riflessione, statemi vicini, sarà un viaggio un po’ tortuoso nella mia mente malata.

Tutta la saga di “Final Destination” si basa sul disegno della morte e sulla sfida impossibile con colei che ha sempre l’ultima parola, ma ogni capitolo si gioca un dettaglio rimasto sul fondo, più del bellone nella piscina, ovvero il potere della “Vedenza” che colpisce casualmente un personaggio ad ogni capitolo. Cosa hanno in comune Alex Browning, Kimberly Corman, Wendy Christensen e Nick O’Bannon, a parte essere giovani, di bell’aspetto e con un cognome citazionista? Sono stati tutti scelti come elementi anticipatori viventi, novelle e novelli Cassandre, con la capacità di cogliere il disegno, gli eventi, un attimo prima di tutti, ma da dove arriva questo potere?

«Sto avendo un…» «Déjà vu?», «No», «Ictus?», «No», «Cosa allora?», «La Vedenza!»

La saga di “Final Destination” sta cercando di dirci che esiste una forza, equivalente ma opposta alla Morte in grado di intervenire sporadicamente per mettere i bastoni tra le ruote al lavoro di raccolta anime della sua, diciamo diretta concorrente? Qui si va sul filosofico, se non proprio sul religioso a seconda del vostro punto di vista. Ma se così fosse, perché questa forza non fa altro che donare visioni per poi sparire? Vi avevo avvisate e avvisati che sarebbe stato un viaggetto tortuoso nella mia mente.

Nessuno in quattro film (SPOILER: non lo farà nemmeno il quinto la settimana prossima) ha mai esplorato questo dettaglio, ma forse la risposta alla domanda è intrinseca e per questo ancora più in linea con una saga che ci fa (anche) ridere con morti eclatanti, ma in modo sottile ci ricorda che non c’è un bel niente da ridere.

Titoli di coda che sembrano radiografie, ma gli scheletri rendono sempre tutto più bello.

Se fosse proprio la Morte stessa a concedere una sbirciata sul suo piano a qualcuno? Un po’ come un giocatore molto forte e consapevole di esserlo, che concede venti, trenta e quaranta punti di vantaggio ad un avversario così, giusto per dare un po’ di brio ad una partita che nasce beh, morta.

Capite perché trovo bellissima e paradossale la saga di “Final Destination”? Nessun’altra saga nella storia dell’Horror si porta dietro questa etichetta di leggerezza, di cinema d’intrattenimento, ma appena sotto la facciata, riesce cosi bene a ricordarci di quello a cui noi viventi, ogni giorno che passiamo sulla Terra, non vogliamo pensare, quella che Caparezza chiama La Certa.

Prossima settimana, ci troveremo tutti un passo più vicini a “Bloodline”, a breve su queste Bare, un altro capitolo dispari della saga di “Final Destination”, non mancate e come sempre, ci vediamo presto (cit.)

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