I Creedence ci chiedevano se abbiamo mai visto la pioggia, io invece ora vi chiedo un’altra cosa: avete mai visto la nebbia? Quella vera, non la foschia mattutina. Al cinema un uomo meglio di tutti ci ha mostrato quanto possa essere spaventosa la nebbia… Benvenuti al nuovo appuntamento con John Carpenter’s The Maestro!
Non so se avete avuto la mia stessa sfiga, ma prima di trasferirmi in città, sono nato e cresciuto in un paesello nebbioso di provincia e quando dico nebbioso, parlo della nebbia vera, quella che in alcune giornate sembra eterna, spessa tanto che non basta il proverbiale coltello per tagliarla, bisogna passare direttamente alla motosega! Per darvi un’idea: più di una volta giocando a basket al campetto alle tre del pomeriggio, capitava di arrivare a centro campo palleggiando e non riuscire a vedere il canestro, anzi, nessuno dei due, quello di fronte a te e quello nella tua metà campo difensiva (storia vera).
In una nebbia del genere, si può davvero nascondere di tutto, anche qualcosa di meno inoffensivo di un canestro da Basket, probabilmente John Carpenter, nella sua soleggiata Los Angeles non ha mai avuto problemi di questo tipo, eppure la nebbia è il perfetto esempio dell’orrore che Giovanni ha sempre narrato nei suoi film: l’eterno scontro tra il visibile e l’invisibile.
Come sapete, sono un grande appassionato di film dell’orrore, una delle tipologie più difficili da portare sul grande schermo, a mio avviso, sono le storie di fantasmi: è molto più facile fare paura con una minaccia concreta (tipo un assassino armato di accetta, o il vostro capo che vi chiede di consegnare in tempo) di riuscire a spaventare quando la minaccia è rappresentata da qualcosa di incorporeo. Molti (troppi) considerano “The Fog” quasi un Carpenter minore, io invece sono convinto che questo film sia un esempio su come si possano raccontare le Ghost stories, farcendole di letture di secondo livello, critica sociale, ma, soprattutto facendo paura, facendo davvero paura… Classido! Alla faccia di chi lo vorrebbe film minore.
Dopo il clamoroso successo di Halloween, Carpenter era nella non semplice posizione di dover tener testa alle aspettative, in diretta competizione con se stesso, con tutta questa pressione addosso Giovanni cosa ha fatto? Facile: è andato in vacanza con la sua (allora) fidanzata, nonchè produttrice e fidata collaboratrice: Debra Hill.
Siccome a Los Angeles di nebbia ce n’è pochina, per trovarne un po’ i due sono andati nella vecchia Inghilterra, per la precisione a Stonehenge, durante la visita ai celebri monoliti un nebbione calò di colpo, rendendo improvvisamente invisibile qualunque cosa. Come racconta lo stesso John nei contenuti speciali del DVD del film, nel suo testone iniziò a pensare che dentro una nebbia del genere, poteva nascondersi davvero qualunque cosa.
Di ritorno in patria, insieme a Debra Hill buttò giù la sceneggiatura del film, ma a questo punto il gossip entra a gamba tesa nel nostro racconto. Per motivi che solo Giovanni e Debra conoscono, i due si lasciano e John convola a nozze con Adrienne Barbeau, conosciuta sul set di Pericolo in agguato. Ora, se in passato mi sono già lanciato in odi sperticate per Debra Hill, mi tocca nuovamente spezzare una lancia a favore della sua professionalità. Sul set di “The Fog” Carpenter raduna di nuovo tutti i suoi amici e collaboratori, quella che potremmo tranquillamente definire la sua factory, tra cui proprio Adrienne Barbeau, a lei affida il ruolo della DJ radiofonica Stevie Wayne, protagonista del film. A Debra Hill tocca come da abitudine il compito di dare spessore ai personaggi femminili, si dice che nel passato di Stevie Wayne, arrivata da Chicago ad Antonio Bay in cerca di un nuovo inizio (proprio come succedeva alla Leigh di Pericolo in agguato), Debra ci abbia messo dentro qualcosa della sua delusione amorosa… La prossima volta che l’amore vi da una scoppola a mano aperta sulla nuca, fatevi venire in mente la professionalità di Debra Hill, una di cui purtroppo si è perso lo stampo dopo che è stata forgiata.
Nel cast ritorna anche Jamie Lee Curtis, lanciata da Carpenter in Halloween, affiancata da sua madre Janet Leigh (tenetevi l’icona aperta che ripasso…) e dal fidato Tom Atkins, ma direttamente da Distretto 13 anche Darwin “Napoleone Wilson” Joston, nei panni del coroner Dr. Phibes, una delle tante citazioni del film, un chiaro omaggio al personaggio di Vincent Price nel film “L’abominevole Dr. Phibes” (1971).
Al montaggio ritroviamo Tommy Lee Wallace, mentre gli effetti speciali vedono la prima collaborazione tra Giovanni e l’uomo con il nome più bello della storia del cinema: Rob Bottin. Allora 21enne, Rob tornò a lavorare con Carpenter ne “La Cosa” ed è anche il responsabile del design dell’armatura di Robocop, a questo punto vi risparmio la freddura su Robocop e Rob Bottin (consideratevi fortunati…)
L’atmosfera è talmente familiare sul set, che molti personaggi del film hanno il nome di storici amici e collaboratori di Carpenter, quindi non stupitevi se sentirete parlare di Tommy Lee Wallace, Dan O’Bannon o Nick Castle (il personaggio interpretato da Tom Atkins). Ed ora è il momento di parlare della trama!
Nella cittadina di Antonio Bay sono in corso i preparativi per il festeggiamento del centenario della fondazione, quando una serie di strani eventi iniziano a sconvolgere la quiete, una notte orologi e congegni elettrici impazziscono e l’intero equipaggio di un peschereccio viene trucidato, dopo essere stato avvolto da una strana nebbia che viaggia contro vento.
Il prete locale, Padre Malone (Hal Holbrook) ritrova nella sua chiesa il diario di uno dei fondatori della città, suo nonno, in cui confessa di essere stato uno dei sei responsabili dell’affondamento della Elizabeth Dane, il battello capitanato da Blake insieme ad un gruppo di lebbrosi. Il 21 Aprile 1880, per evitare che gli appestati fondassero una loro comunità nei pressi di Antonio Bay, nonno Malone e i suoi compari, hanno attirato la nave di Blake verso gli scogli utilizzando il faro facendola affondare e rubando tutto l’oro contenuto a bordo. Esattamente 100 anni dopo, nascosti nella nebbia, i fantasmi di Blake e dei suoi uomini tornano per reclamare la loro vendetta… Paura? No? Dovreste averne!
John Carpenter manda a segno un gioiellino di suspense che scopre le carte poco a poco, i pirati fantasma mantengono la loro sinistra previsione, un pezzo di legno del relitto della Elizabeth Dane, inizia a grondare acqua e a mostrare la scritta “6 must die”, mentre i cadaveri vengono ritrovati (numerati) uno dopo l’altro…
L’idea di Giovanni era quella di ricreare le atmosfere sinistre dei film di Jacques Tourneur, come “I Walked with a Zombie” (1943) e non manca di farcire questa storia di fantasmi di citazioni, ad esempio la scena della pompa di benzina impazzita è un omaggio di Carpenter ad un film che lo terrorizzò da bambino, ovvero “The Tingler” (“Il mostro di sangue” 1959), sia nella creazione della tensione, il film ci mostra di nuovo un assedio, quello di un’intera cittadina questa volta, minacciata da qualcosa di sovrannaturale e in cerca di vendetta, come detto lasciatemi ancora un po’ l’icona aperta, ma tenete a mente un titolo che ha molto in comune con “The Fog”, ovvero Gli uccelli di Alfred Hitchcock.
Terminato il film, Carpenter non era del tutto convinto del risultato finale, proprio come il suo Maestro Hitchcock, oltre a produrre film con una chiara coerenza artistica, ha sempre tenuto a mente il dettaglio (di certo non secondario) che i film debbano anche incassare, va bene tutto, ma le bollette vanno pagate no?
Dal punto di vista degli incassi dei suoi film, Carpenter non è mai stato molto fortunato, ma temendo la concorrenza di Horror più grondanti sangue come “Scanners” di David Cronenberg e della neonata saga di Venerdì 13, Giovanni richiamò parte del cast per aggiungere alcune scene. Normalmente una mossa del genere non porta quasi mai a nulla di buono, ma John non è mica “The Maestro” per nulla, infatti le sequenze aggiuntive sono tre delle migliori del film: il prologo iniziale con il marinaio, lo scontro tra Stevie Wayne (Adrienne Barbeau) in cima al faro e, forse la mia scena preferita di tutto il film, quella dell’obitorio.
Inizio da quella che amo di più, nell’obitorio del Dr. Phibes, Darwin Joston è intento a spiegare quanto sia impossibile che il corpo dei marinai uccisi sul peschereccio, siano decomposti in tal maniera, il mitico Napoleone Wilson qui è impegnato a ricoprire il ruolo di un personaggio ricorrente nei film Carpenteriani: lo scettico.
Ovvero colui che risponde con la logica negando con forza l’elemento paranormale, non dovrebbe essere una sorpresa scoprire che Carpenter, titolare di un piglio da generale, nella via sia lui stesso scettico, non crede nel paranormale, negli alieni o tanto meno in Babbo Natale, fate mente locale e scoprirete che “Lo scettico” compare in varie incarnazioni in tutti i film di Carpenter.
La scena dell’obitorio è un gioiellino di suspense, impreziosita dalla prova di Jamie Lee Curtis, personalmente mi ha sempre ricordato un po’ L’aldilà di Lucio Fulci.
Per la scena del faro, invece, Carpenter alza il telefono e spiega a grandi linee a Rob Bottin quello che ha in testa, ovvero mostrare uno dei pirati fantasma in faccia, aumentando il livello di “Schifidume” (termine tecnico) del film, Giovanni la buttà lì: «Rob vedi un po’ te cosa riesci a fare, magari una faccia piena di vermi non so, ci vediamo sul set, ciao-cia!»
Per stessa ammissione di un piacevolmente sorpreso Carpenter, Rob Bottin supera se stesso, arrivando sul set con una testa posticcia ricalcata sulla propria (la parte facile, visto che Bottin nel film interpreta anche il “ripieno” del pirata Blake), un modello ben fatto con la possibilità di essere retro illuminato dell’interno. Il mamozzone, che sul set è stato simpaticamente soprannominato “Wormface”, prende il suo nome proprio dai vermi che gli strisciano sulla faccia, da dove arrivavano? Rob Bottin se li era portati da casa (storia vera).
L’ultima scena aggiuntiva è il prologo del film, l’ennesima pietra preziosa incastonata in questo gioiellino di nome “The Fog”: “Le 11 e 55… Tra poco sarà mezzanotte… C’è ancora tempo per un’altra storia…” dice il marinaio Machen, interpretato da John Houseman, personaggio che deve il suo nome dallo scrittore inglese Arthur Machen.
Ed è proprio la storia di come la Elizabeth Dane si è schiantata sugli scogli quella che ci racconta il signor Machen, impiegando proprio i cinque minuti iniziali di “The Fog” per farlo, regalandoci tutto il background della cittadina di Antonio Bay e preparandoci alla storia di fantasmi di cui saremo testimoni nel corso del film.
La tradizione (più americana che nostra) vuole che le storie di fantasmi vadano raccontate intorno ad un fuoco, infatti è proprio qui che incontriamo Machen, davanti ad un fuoco insieme ad un gruppo di bambini intenti ad ascoltarlo, la cosa divertente è che John Houseman, dall’aria burbera e molto concentrato sul suo monologo, era riuscito con la sola presenza a intimorire i bambini presenti sul set. La situazione si è molto (ma parecchio proprio) rilassata, quando Houseman sbagliando un passaggio del monologo, scoppiò in una sequela di parolacce senza fine, una roba tipo “Porca di quella zozza ladre infame incastrata nana e butterata” che fece scoppiare a ridere tutti gli infanti sul set (storia vera).
Con “The Fog” Carpenter fa fare un salto di qualità alle sue capacità di narratore, di fatto il film è composto da tre ideali voci narranti, quella di Machen che accoglie gli spettatori e li fa idealmente sedere attorno al fuoco. Il secondo narratore è padre Malone, che leggendo il libro di suo nonna, spiega allo spettatore il passato della storia.
Infatti, il ritrovamento del diario nella chiesa avviene quasi per caso ad inizio film, in una scena in cui fa anche un piccolo cameo lo stesso John Carpenter, nei panni di Bennet, una specie di sacrestano/tutto fare di Padre Malone. Giovanni ha sempre ammirato molto Hal Holbrook, fin da quando lo vide in Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan e avrebbe voluto che il suo personaggio scambiasse molte più battute con quello di Holbrook, ma rendendosi conto di essere un attore così così, ha preferito ridurre al minimo gli scambi… Certo non deve aver aiutato avere tutto il resto della troupe che lo prendeva per il culo per la sua prova attoriale! (Storia vera). Questo è quello che succede se ti porti tutti i tuoi amici sul set per girare il film.
L’ultimo narratore è, ovviamente, Adrienne Barbeau, la sua DJ radiofonica Stevie Wayne è il personaggio che non solo deve cercare di svelare il mistero della profezia “6 must die”, ma ha anche il compito di narrare il presente, è proprio lei che fa la “telecronaca” degli spostamenti della nebbia cercando di avvisare gli abitanti di Antonio Bay.
Proprio questo ruolo di Stevie giustifica anche la presenza della citazione di Edgar Allan Poe, fortemente voluta da Debra Hill, che vediamo all’inizio di “The Fog”, ovvero la celebre: “È tutto ciò che vediamo o sembriamo null’altro che un sogno dentro a un sogno?”.
Giunti alla fine del film, è proprio il personaggio di Adrienne Barbeau a provare a rispondere a questa ideale domanda posta a tutti gli abitanti di Antonio Bay, con una frase che ha lanciato direttamente la Barbeau nella storia del cinema: “Non so cosa sia successo stanotte ad Antonio Bay. Dalla nebbia è uscito qualcosa che ha cercato di distruggerci e improvvisamente è svanito. Ma se tutto questo non è stato solo un incubo, da questo momento nessuno andando a letto sarà più sicuro di risvegliarsi vivo. A tutte le barche al largo che ricevono la mia voce io dico: “Tenete d’occhio il mare, scrutate l’oscurità: la nebbia è in agguato”.
Oltre ad espandere le capacita di narratore di Carpenter, “The Fog” amplia il discorso sulla rappresentazione del male nel nostro mondo iniziata già con Halloween, qui per la prima volta Carpenter fa trapelare le chiare influenze Lovecraftiane del suo cinema, che diventeranno palesi nei film successivi.
Antonio Bay somiglia alle cittadine della provincia americana tanto care ad H.P. Lovecraft, così come il male assoluto venuto dal mare, non può che rievocare il lavori del “Solitario di Providence”, ancora una volta i nomi dei personaggi del film sottolineano gli intenti di Giovanni, Malone e Blake sono i nomi dei protagonisti di due celeberrimi racconti di Lovecraft, “Orrore a Red Hook” e il paurosissimo “L’abitatore del buio”.
Visto che ho scoperchiato il vaso di Pandora dei nomi, Elizabeth Solley, il personaggio interpretato da Jamie Lee Curtis, deve il suo nome ad una vecchia fiamma di Carpenter dei tempi della scuola… Sarà per via del baffo, non so, un rubacuori il Maestro, non ne ha lasciata scappare nessuna!
Parlando del personaggio di Jamie Lee, posso finalmente riprendere quell’icona lasciata aperta lassù da qualche parte, come di certo sapete, Jamie Lee è la seconda figlia (dopo Kelly) nata dal matrimonio tra Tony Curtis eJanet Leigh, per la prima volta in questo film madre e figlia recitano insieme ed è stato proprio Carpenter a volere la Leigh in questo film a tutti i costi, dopo averla ammirata ne “I vichinghi” di Richard Fleischer (1958), ma soprattutto in “Psyco”.
Il personaggio di Elizabeth Solley può sembrare accessorio, ma in realtà è il più Hitchcockiano mai comparso in un film di Carpenter, entra in scena scroccando un passaggio a Nick Castle e appena parla delle sue (alterne) fortune, il vetro dell’auto si rompe misteriosamente, dando il via al primo degli strani eventi che sconvolgeranno Antonio Bay.
Viene quasi naturale per lo spettatore, sospettare immediatamente di lei, la straniera arrivata in città, esattamente quello succedeva al personaggio di Tippi Hedren, quando arrivava a Bodega Bay ne “Gli uccelli” di Hitchcock. Da qui in poi la storia procede incrementando la suspense e man mano che il male fa capolino nella storia, il personaggio di Jamie Lee Curtis esce dalla lista dei possibili colpevoli… Ovviamente, il male è rappresentato dalla nebbia, il membro extra del cast di questo film.
Oltre alla classica macchina per il fumo, sul set è stato sperimentato di tutto, soprattutto un abbondante utilizzo del ghiaccio secco immerso in acqua, pur di ottenere l’effetto desiderato, ovvero: una spessa nebbia molto dinamica nel movimento, un vero e proprio personaggio aggiuntivo della storia in grado di muoversi indipendentemente. Ditemi cosa volete, ma secondo me metà della nebbia che vediamo nel film è il frutto dello spipacchiare costante di Giovanni, tanto nebbia per nebbia tanto vale che me ne fumo un paio mentre sono al lavoro.
Oltre ad essere un efficace storia di fantasmi è impossibile non notare che “The Fog” ha una lettura di secondo livello caratterizzata da una grossa critica sociale, attraverso il personaggio di Padre Malone (e si suo nonno) Giovanni inizia a piazzare la prima stoccata alla Chiesa e al ruolo della religione, argomento che avrebbe approfondito in altri suoi film come “Il signore del Male” e “Vampires”.
Ma “The Fog” non alza mai il piede dal pedale della critica, la cittadina di Antonio Bay è stata fondata sulla prevaricazione, i fondatori non volendo dividere il loro territorio con la comunità di lebbrosi (una minoranza), hanno fatto di tutto per distruggerli e sfruttarne le ricchezze, rappresentate dall’oro fuso nella croce di Padre Malone. Con il suo piglio ribelle e un “Fottesega” dentro il cuore, Giovanni porta in scena una versione oscura del sogno americano ed è impossibile non notare che Antonio Bay, dietro la sua facciata di perbenismo, non sia che un’altra Haddonfield in grado di generare ancora mostri, ma in senso più ampio, una versione in piccolo della storia degli Stati Uniti d’America.
In questo senso, i Blake e la sua ciurma di pirati fantasma, hanno molto in comune con il Michael Myers di Halloween: assassini silenziosi armati di lame (un coltello Mike, un uncino Blake) entrambi tornati per vendicarsi e riprendersi qualcosa che gli appartiene, in un giorno specifico dell’anno, dopo la festa di Halloween del 31 Ottobre, anche il 21 Aprile diventa un’altra data di morte… Siete nati il 21 Aprile? Allora sappiate che siete nati in una data di morte, di moooooorteeeeeeeeeeee!!! Moooooorrtteeeee, ah scusate, mi sono fatto prendere dalla storia.
Detto questo, la scena finale del film guadagna di spessore, non si tratta del solito finale in cui il mostro, creduto erroneamente sconfitto, torna a colpire come succede in circa quei due, tre, quattro miliardi di film Horror no, una volta scoperti i peccati degli abitanti di Antonio Bay, siete ancora sicuri di voler fare il tifo per loro? Mentre ci pensate, compare Blake, che rivolto verso la macchina da presa, piazza il suo colpo migliore. Visto finali appena appena peggiori in vita mia!
Non si può parlare di Giovanni Carpentiere senza citare la musica, anche per questo film John compone la colonna sonora, il tema musicale di “The Fog” non è uno dei più celebri mai composti da Carpenter, nel senso che non è riconoscibile immediatamente alle orecchie di chiunque come il famigerato cinque/quarti di Halloween, ma resta una delle colonne sonore più striscianti e serpeggianti mai composte da Carpenter, procede lenta e inarrestabile proprio come la nebbia maligna che avvolge Antonio Bay, forse non sarà famoso come altri temi musicali Carpenteriani, però siete mai tornati a casa la sera con la colonna sonora di “The Fog” in cuffia? No? Provateci, poi ne riparliamo…
A proposito di musica, tra i vari pezzi Jazz suggeriti da Stevie Wayne, ad un certo punto del film, Adrienne Barbeau ne mette uno dei “Coupe DeVilles”, per chi non li conoscesse sono un trio musicale composto da Nick Castle, Tommy Lee Wallce e… John Carpenter!
Di questo film esiste anche un remake, dico esiste perché di più in merito non so, non ho mai avuto davvero voglia di vederlo, anzi, un paio di cose in merito al film le conosco, uscito nel 2005 per la regia di Rupert Wainwright, pare che abbia volutamente rinunciato al caratteristico uncino con cui Blake falcia le sue vittime, poiché i produttori non volevano che il remake ricordasse troppo il film del 1997 “So cosa hai fatto” (I Know What You Did Last Summer), in cui l’assassino uccideva utilizzano proprio un uncino e sapete perché? Per omaggiare “The Fog” di John Carpenter! Detto questo, capirete da soli come mai non ho mai avuto voglia di vedere il remake…
Invece, state certi che non mi stancherò mai di rivedere questo capolavoro di John Carpenter, un titolo fondamentale per la crescita artistica di Giovanni, ma soprattutto una storia di fantasmi con uno spessore che spesso le ghost stories non hanno ed ora vi rinnovo la mia domanda iniziale: avete mai visto la nebbia? Quella vera. Se sì, saprete che non va sottovalutata, specialmente dopo che John Carpenter ci ha mostrato cosa può nascondersi al suo interno…
«There’s something in the fog!»
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Sepolto in precedenza venerdì 18 marzo 2016
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