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The Guilty (2021): se solo gli americani sapessero leggere i sottotitoli

Questo film mi ha lasciato con qualche rimpianto, che tale non è quindi diciamo più una riflessione a caldo: se io non avessi già visto il film danese di Gustav Möller, “Il colpevole – The Guilty” (2018), allora forse mi sarei goduto di più questo remake americano. Ma d’altra parte se gli americani guardassero film sottotitolati questo film non avrebbe avuto nemmeno senso di esistere no?

Per certi versi “The Guilty”, lanciato sul paginone di Netflix pochi giorni fa è un piccolo gioiellino nel mare magnum di titoli proposti dalla casa della grande “N” rossa, teso, molto ben recitato, scovandolo per caso e senza sapere nulla dei suoi trascorsi, risulta essere un thriller drammatico molto bello, peccato che come detto, sia la versione americana di un film danese identico e quando dico identico, intendo anche nelle tipologia di cuffie da “Call center” utilizzate dal protagonista, ma andiamo per gradi.

«Buongiorno mi chiamo Jake come posso aiutarla?»

La storia è quella di Joe Baylor (Jake Gyllenhaal che eredita il ruolo da Jakob Cedergren del film originale), un poliziotto di Los Angeles, in attesa di giudizio per un incidente non ben specificato avvenuto otto mesi prima mentre era in servizio, una cosetta ghiotta per cui un’insistente giornalista continua a martellarlo al cellulare per avere una sua intervista. Aspettando il processo in programma a breve, Joe è stato trasferito dal servizio attivo alla scrivania del 911, da cui risponde schivando i mitomani e cercando di fornire un primo supporto alle persone in difficoltà, il tutto durante un enorme incendio che sta trasformando in cenere le colline attorno ad Hollywood, tanto per complicare il suo lavoro. Poi chiedetevi perché è un tantinello stressato il nostro Joe eh?

La svolta arriverà con la telefonata di Emily (Riley Keough), rapita insieme ai suoi figli piccoli, probabilmente dal compagno violento e da quel poco che Joe riesce a carpire, caricata a bordo di un furgone bianco, da qualche parte per le strade della città degli angeli. Per salvarla Joe avrà solo la linea telefonica, i suoi nervi non proprio saldissimi in una corsa contro il tempo disperata, brutto? Niente affatto, in particolare se come me apprezzate i film con pochissimi attori incastrati in una sola location (se comincio ad assomigliare ad Alessandro Borghese ditemelo ok?), peccato che questo film io lo avessi già visto nel 2018 e mi dispiace non averne scritto allora, perché altrimenti mi sarei limitato a consigliarvi quello di Gustav Möller.

Il film riassunto, un riflesso dell’originale.

Già perché alla fine “The Guilty”, oltre al modo Yankee di evitare i film sottotitolati, mi è sembrato un po’ l’occasione per qualcuno di mettere un film riuscito ed efficace in curriculum, una vittoria facile per qualcuno come Antoine Fuqua e lo sceneggiatore Nic Pizzolatto, che francamente ne avevano parecchio bisogno. Il regista arriva dagli imbarazzanti Southpaw e I Magnifici 7, seguiti dal piattissimo The Equalizer 2, mentre lo sceneggiatore è caduto dal banchetto con la seconda stagione di True Detective e ancora sfoggia i lividi della botta presa in faccia. Quindi ad entrambi un film facile e di sicura riuscita tornava buono, per assurdo poi la pandemia non li ha troppo rallentati, Antoine Fuqua ha potuto dirigere mantenendo il “distanziamento sociale”, seguendo il tutto sui monitori caricati sul retro di un furgone parcheggiato fuori dal set, tipo appostamento della polizia nei film (storia vera), il tutto mentre Jake Gyllenhaal, unico attore in scena per tutto il tempo, si caricava il film sulle spalle.

Jake recita in zona rossa.

Quello che come John Connor, davanti a questa proposta di lavoro così avrà urlato «Soldi facili!» (cit.) deve essere stato Nic Pizzolatto, la sua sceneggiatura cambia i nomi dei personaggi e sposta l’azione a Los Angeles, ma per il resto è la copia carbone di quella del film danese, se non altro Fuqua ha almeno tentato di dare una parvenza di autorialità alla storia, piccoli elementi che aiuteranno in prospettiva futura a ricordare questo film come parte della sua filmografia. Ad esempio il protagonista Jake Gyllenhaal, ritrova il regista dopo quella palla di Southpaw, ma a ben guardare, il tema delle dinamiche all’interno della polizia (e della corruzione), potrebbe farci pensare un minimo a “Training Day” (2001), da cui guarda caso, arriva una delle voci famose al telefono, quella di Ethan Hawke, che in qualche modo chiude il cerchio tra i due film di Fuqua. Fine del mio sforzo di tentare di contestualizzare il film, non si sono sforzati Nic e Antoine stipendiati a farlo, devo farlo io gratis?

“The Guilty” è il film perfetto da girare durante una pandemia globale, inoltre è una di quelle storie che riesce a funzionare in tutte le sue parti, senza bisogno di eliminare dall’equazione la tecnologia contemporanea, ma anzi la abbraccia, quindi mi fa sempre piacere anche se il merito continua ad essere tutto del finale danese del 2018, quindi veniamo al vero motivo per cui questa versione Yankee non è completamente da bollare come semplice fotocopia, ve lo riassumo in due parole, la prima è “Jake” e la seconda è “Gyllenhaal”.

«Mettiamoci al lavoro, qualcuno il professionista qui dovrà farlo»

A mani basse uno dei migliori attori americani in circolazione al momento, in vent’anni Donnie Darko è migliorato esponenzialmente, diventando uno di quegli attori che porta sempre a casa il risultato anche quando il film attorno a lui non è all’altezza. Quindi se avete già visto il film originale del 2018, sarà proprio la sua prova ad evitare l’effetto Déjà vu della visione, se invece non conoscete il film danese, tanto meglio per voi perché vi aspetta un bel thriller recitato da un solo faccione noto, però in grande spolvero.

Beh direi che posso mettere giù le cuffie e andare in pausa caffè, il mio compito di supporto remoto cinematografico anche per oggi è fatto. Ma se volete, l’operatrice Lisa sarà ben felice di rispondere alle vostre domande In central perk.

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