Il thriller è un genere che si presta a contaminazioni, una delle sue più gustose varianti è quella del thriller stradale, “On the road” se pensate che suoni più figo, non parlo di storie di inseguimenti su lunghissime strade polverose, parlo proprio di film dove l’automobile è un elemento fondamentale, ma la tensione, quella che ti incolla allo schermo e ti fa diventare bianche le nocche della mani lo è ancora di più.
Per festeggiare i trent’anni dell’uscita in Italia del film, ecco a voi tanti bei pulsantini da premere per completare il resto del Blogtour, ma solo dopo il solito Banner firmato da Lucius!
Date un passaggio alla recensione del Zinefilo.
IPMP con la locandina dell’epoca.
Quando persino uno privo di sintesi come me, può riassumervi la trama di un film in poche righe, vuol dire la è davvero ridotta all’osso, penso non si possa essere più stringati della storia di un ragazzo di nome Jim Halsey (C. Thomas Howell), in viaggio sulla route 66, per portare una Cadillac Seville del ’75 dalla sua città natale Chicago giù in California fino a San Diego, per riconsegnarla al suo proprietario. Il viaggio è lungo, per evitare il colpo di sonno che lo ha quasi mandato fuori strada, decide di offrire un passaggio ad un autostoppista fermo a bordo strada sotto una pioggia battente, “Mia madre mi dice sempre di non farlo” dice il ragazzo, che avrà modo di scoprire che il consiglio materno è più che azzeccato, visto che lo sconosciuto che si presenta come John Ryder (un gigantesco Rutger Hauer) si rivela essere uno psicopatico.
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«Ciao, mi chiamo John, e sono fuori di testa» |
L’autostoppista assassino era una figura ricorrente nelle poesie di Jim Morrison ed è anche al centro della canzone dei Doors “Riders on the storm” che, a detta dello sceneggiatore Eric Red, è stata l’ispirazione per la storia. Mica male il nostro Enrico il Rosso, uno che ha scritto e diretto un altro thriller automobilistico “Le strade della paura” (1988), ma soprattutto un’altra bomba “on the road” ovvero Il buio si avvicina capolavoro diretto da Kathryn Bigelow nel 1987.
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Ora so che canzone avrete in testa per il resto della giornata. |
Per la parte di John Ryder, il nostro Eric aveva in mente alcuni nomi uno più grosso dell’altro: David Bowie, Sting, Harry Dean Stanton e Terence Stamp, ognuno avrebbe regalato prove magnifiche, ne sono certo, ma quando Stamp rifiuta la parte, a bordo sale Rutger Hauer e la sua prova è da storia del cinema, no sul serio, un gigante.
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«Mi ripeti quella frase divertente che dici sempre sulle porte di Tannhauser?» |
C. Thomas Howell ha candidamente ammesso di avere avuto una paura fottuta di Rutger Hauer per tutto il tempo passato a lavorare su questo film, intimidito dalla sua presenza fuori e dentro il set ed, in effetti, viene da credere che quel tizio inquietante sia psicopatico sul serio, la sua entrata in scena è talmente efficace, che nel resto del film gli basta apparire brevemente per gelare il sangue a Jim (e agli spettatori), aggiungete poi che Rutger Hauer è sempre stato interessato al lato fisico del cinema, al suo movimento. Proprio come per “Blade Runner”, Hauer ha fatto quasi tutti gli stunt di questo film, compreso quello finale, il salto dal camion per il trasporto prigionieri, al cofano dell’auto di Jim, tanto che se guardate bene, è possibile vedere il dente che il buon Ruggero si è scheggiato, sbattendo contro il calcio del fucile a pompa tenuto in mano durante il salto (storia vera).
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Bambini, non provateci a casa, lasciate fare a Rutger. |
Per altro, sul set Ruggero ritrova anche Jennifer Jason Leigh, nei panni della cameriera Nash, i due aveva già lavorato insieme in L’amore e il sangue e “Doppia J” è davvero brava malgrado abbia poco spazio e allora avesse solo 24 anni, ma il mondo periodicamente si dimentica del talento della Leigh.
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«Ah ecco dove ti avevo già visto!» |
A proposito di esordienti di talento, la sceneggiatura finisce nella mani del regista Robert Harmon, probabilmente lo ricordate per “Accerchiato” (Nowhere To Run, 1993) con Van Damme e per (purtroppo) poco altro di significativo, perché Harmon qui gira come un uomo posseduto, uno che sa di stare facendo il film della vita, cosa che a ben guardare è davvero successo.
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L’insalata va servita condita, non le patatine! |
Potrebbe essere un suicidio per un film etichettato come Horror/Thriller far sparire scene grondanti sangue, in realtà è una manna, il massacro della famiglia non mostrato, ma solo suggerito dalla reazione sgomenta di Jim ha il doppio dell’efficacia e il ditino birichino nelle patatine è ancora oggi una vigliaccata che prende alla sprovvista lo spettatore, diventando una delle immagini più iconiche del film.
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«Prossima volta giuro che prendo il treno» |
Il male come concetto non può essere sconfitto, quando entra nella tua vita le uniche cose che puoi fare è cercare di seminarlo, oppure affrontarlo a viso aperto, cosa che Jim fa sfruttando i canoni del cinema americano: gli inseguimenti e le fughe sono duelli stradali e lo scontro finale è un duello all’ultimo sangue dal sapore western e, non solo per la location del film, nel finale la metafora del male da sconfiggere diventa palese.
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Il “Final boy” pronto al duello finale con il cattivo. |
Ma se fissi a lungo lo sguardo in Rutger Hauer, sappiate che torna buona la celebre citazione a Nietzsche fin troppo utilizzata, il protagonista arriva a fine film provato fisicamente, ma soprattutto minato nella mente, uscito vivo da un esperienza che lo ha segnato e cambiato per sempre, il tutto mostrato in 96 minuti dal ritmo ineccepibile, in cui i (pochi) momenti di tregua, sono solo un modo per tirare brevemente il fiato prima della prossima sventura, in un perfetto equilibrio tra film di genere (quindi d’intrattenimento cinematografico al suo meglio) e un’autorialità non gettata in faccia allo spettatore.
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Ecco cosa intendo quando parlo di “Film culturali” |
Ma la vera forza di “The Hitcher – La lunga strada della paura” è di essere un film nero, nerissimo, che non cede un millimetro alle classiche soluzioni Hollywoodiane e di conseguenza allo spettatore. Non vi rivelo nulla per non rovinare la visione a quei (due) che non avessero mai visto questo filmone, pensate solo alla scena della bella in pericolo: non c’è niente di più lontano da Hollywood di quello che accade qui e a distanza di trent’anni dalla sua uscita, devo ancora vedere un film con il coraggio di portare in scena la stessa soluzione.
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Un bello schiaffone dato a mano aperta in faccia ad Hollywood. |
Proprio per questo, alla faccia della mia preoccupazione, “The Hitcher” è un film invecchiato alla grande, se uscisse in sala oggi, basterebbe una scena in cui Rutger Hauer spacca il cellulare di Jim e poi sarebbe ancora attualissimo, cavolo! Persino la camicia a quadri neri e rossi del protagonista è tornata di moda!
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«… Ti ho anche portato un souvenir» |
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Ecco però ogni tanto, i consigli materni, ascoltali! |
Riders on the storm, riders on the storm
Into this house, we’re born, into this world, we’re thrown
Like a dog without a bone, an actor out on loan
Riders on the storm.