La vita di Alan Turing era già di suo un film. Non trovo niente di più odioso al cinema, che vedere un Biopic su un personaggio enorme, che riesce ad essere meno interessante, più verbosa, e vi porterà via più tempo, che andare che so, a leggervi su Wikipedia chi era Alan Turing. Vi risparmio la fatica: Brillante carriera accademica, ingaggiato dall’MI6 Inglese per tentare l’impresa impossibile di decodificare i messaggi bellici Nazisti (La macchina Enigma), per farlo, inventa il primo calcolatore, la macchina di Turing, primo computer della storia umana. Processato per omosessualità (è stato reato in Gran Bretagna tipo fino a l’altro ieri…) condannato a castrazione chimica, si è suicidato con una mela avvelenata, Biancaneve-Style.
Ecco, “The Imitation game” è quello che io chiamo una Biopic “Lo sapevate che…??”, molto simile all’ultimo film di Tim Burton, Big Eyes per fare un titolo. Non sai chi era Alan Turing?, guardi il film e mentre lo guardi dici “Ah, non lo sapevo che era omosessuale” ecco, perché il regista Morten Tyldum mette su un drammone bellico, scandito dai flashback e azzoppato dallo Script.
«Devo esserci un modo per giocare a Space Invaders con questo coso» |
Si perché ogni volta che il film dovrebbe mostrare, la stramaledetta voce-off non fa altro che spiegarci quello che sta succedendo, è quando non c’è la voce off, arriva sempre una spiegazione a sottolineare l’ovvio, il che è un gran peccato, perché la messa in scena dal punto di vista tecnico è ben fatta, la fotografia di Oscar Faura, il montaggio di William Goldenberg, funziona tutto bene, però gli manca proprio carne e sangue, praticamente è una sceneggiatura televisiva (Nel senso peggiore del termine, senso che ormai si sta perdendo vista la qualità delle serie tv), a cui sono stati messi a lavorare i migliori tecnici e professionisti a disposizione, è normale che migliora, ma di base resta povera, e visto il personaggio che era Turing, è troppo poco…
Pensate che persino Keira “Clavicole” Knightley, è riuscita a non irritarmi! forse perché concentrandosi a mantenere l’accento British, ha limitato il numero di faccetto, e i vestiti d’epoca, la fanno (Quasi) carina, quasi, adesso non ti montare la testa Clavicole.
Su tutti poi, svetta Benedicto, che fa lo Sheldon Cooper meglio di Sheldon Cooper, anaffettivo, ossessivo, in “The Big bang Theory” gli autori cercano, di canalizzare l’emotività del pubblico, attraverso i pochi gesti “Da umano” di Sheldon, di solito ci riescono poco, e l’emotività è sottolineata dagli “ohhhhhh” registrati, qui invece funziona, a Benedict Cumberbatch/ Alan Turing basta un piccolo gesto umano, a farsi perdonare giorni di comportamenti da odioso scienziato.
Il nostro amico Benedicto tira fuori un curioso accento Scozzese da applicare al suo vocione, e se la storia impone un Turing pieno di tick, mosse e atteggiamenti, lui gli mette l’emotività necessaria, che trapela, si intravede, poco, ma c’è.
Se non fosse un film così didascalico ed eccessivamente dialogato, sarebbe stato anche migliore, ad esempio, l’ultima frase su schermo, che spiega a quei due che ancora non l’avessero capito, che la macchina di Turing, si sarebbe evoluta poi nei nostri computer, ti fa veramente voglia di bestemmiare a film finito e a buoi abbondantemente scappati dalla stalla.