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The Karate Kid – La leggenda continua (2010): Per far vincere Jackie Chan

Quando questo film uscì nel 2010, non avevo nessuna voglia
di vederlo, anche se poi ho finito per farlo. Oggi, malgrado la rubrica di
ripasso su Karate Kid, potete immaginare che voglia avessi di rivederlo, ma
sono vittima del mio personaggio e se inizio qualcosa, cerco di farla al
meglio, quindi eccoci qua, sotto con questo remake!

Un tempo Will Smith era uno tutto sommato simpatico che
popolava i pomeriggi televisivi con il suo principe di Bel-Air. Ci siamo
divertiti con il vecchio Willy, abbiamo abbattuto alieni, dato la caccia ad altri alieni, poi qualcosa si è rotto (il preservativo?) è diventato papà ed è
tutto finito. Da allora una crociata verso il titolo di “MIGLIOR PADRE DELLA
STORIA” in cui ha sacrificato la sua filmografia, i nostri maroni di spettatori
ma anche il figlio.

Non è ben chiaro se sia stato il figliolo Jaden Smith ad
esprimere la volontà di seguire le orme paterne, sta di fatto che non è capace, proprio negato per la recitazione, inoltre si porta dietro l’aurea di chi è protagonista del film solo perché papà è uno molto famoso. Bisogna dire poi che papino ha voluto insistere in tutti i modi, la vittima più illustre resta M. Night
Shyamalan, mamma mia che roba brutta era “After Earth” (2013).

Per prima cosa so leggere il labiale, seconda cosa anche tu mi stai sulle balle figlio di papà.

Quando è nato Jaden, persino il non proprio memorabile Karate Kid 4 era ormai un film datato,
quindi qui collidono varie volontà, quella di papà Smith (anche produttore) di
lanciare il figliolo, ma anche quella della Columbia Pictures di continuare a
spremere il limone della saga di Karate Kid, il tutto, in un periodo storico in cui il
cinema americano ha imparato a dover fare i conti con un nuovo fattore:
l’oriente.

Roba come Star Wars
in quella parte del mondo non attacca più di tanto, specialmente in Cina, dove
con storie di allievi e maestri sono cresciuti più di noi con il palinsesto “di
menare” di Italia 1. L’idea di rifare l’originale Karate Kid, con Jaden Smith
nel ruolo di Ralph Macchio e la Cina nel ruolo della California è una tale
[Cassidy pondera attentamente la prossima parola da usare] stronzata [bravo, si
vede che ti sei impegnato
] che verrebbe voglia di mettere in moto il rullo
compressore e passare sopra tutte le persone coinvolte in questi piano
ridicolo.

“Lo sai che il mio papà ha recitato con Michael Mann?”, “Se per questo anche con Muccino… Due volte! Ora sta zitto”

Come fai a fare Karate Kid in Cina? Il Karate è Giapponese,
al massimo si suddivide con quello di Okinawa, ma resta una roba che appartiene agli
odiati nemici giapponesi e che ai cinesi fa platealmente schifo, non dico
che lo considerino proprio una roba alla stregua del Pilates no. Il Pilates
penso sia tenuto in maggiore considerazione.

Bisogna dire che per il mercato Cinese, questo film è uscito
con il titolo di “Kung Fu Kid” (da non confondere con il Panda) almeno quello per fortuna! In occidente e qui da noi in uno
strambo Paese a forma di Kimono d’oro scarpa invece è rimasto “Karate Kid” (con
l’aggiunta dell’inutile ed immancabile sottotitolo) conferma del fatto che cinesi, coreani, giapponesi, thailandesi, tutto uguale. Nove euro “all you can
eat” finché non ti scoppia la pancia, tanto è tutto uguale.
La pellicola viene affidata ad Harald Zwart, uno che di
solito dirige commedie e non rompe tanto le palle, ad occuparsi della
sceneggiatura è invece Christopher Murphey, che tanto non fa altro che
ricalcare il primo film, inserendo
strizzate d’occhio ironiche (sulla carta) al film originale, come le mosche prese
al volo con le bacchette, oppure il calcio della gru mimato in solitaria
davanti allo specchio.

Il regista che dirige con la maglia della salute, ma di cosa stiamo parlando!?

Il protagonista Dre Parker (ovviamente Jaden Smith) con sua
madre fatta a forma di Taraji P. Henson lascia Detroit in favore della Cina per
motivi che possiamo solo intuire – perché tanto non ci vengono spiegati – qui i
problemi di integrazione di Daniel LaRusso vengono amplificati dalla distanza,
dalla nuova lingua e dal fatto che Dre è il più nero nel raggio di chilometri,
anche se al campetto da Basket il meglio che riesce a tirare fuori, è un tiro
alla Patrick Ewing si, ma dopo che i Monstars gli hanno rubato il talento, e per essere sicuro di fare totalmente la figura della pippa, un attimo dopo si fa anche polverizzare da
un vecchio al tavolo da Ping Pong.

Da questo punto di vista Dre Parker è irritante e fuori
luogo tanto quanto LaRusso, inoltre bisogna sopportarlo in una scena dove
sfoggia gli addominali e fa spaccate come se Jaden Smith si fosse messo in
testa di essere il Jean-Claude Van Damme nero (ma anche no!). Ogni volta che
entra in scena, è impossibile dimenticarsi del fatto che lui è il figlio di un
famoso divo di Hollywood, che qui cerca di passare per il povero spiantato
sfigato che potevamo essere noi alla sua età. In tal senso Ralph Macchio vinceva
a mani basse, quando si parla di aria da sfigato, resta il campione indiscusso.

“DING! Intervallo!”

Subentra poi un problema mica da ridere, se l’originale Karate Kid era un film per ragazzi, con
un ragazzo come protagonista, questo remake cosa sarebbe esattamente? Venendo a
mancare qui il rapporto maestro-allievo, che sostituiva quello padre-figlio del
film originale, e con tutta la parte su bulli e bullismo decisamente meno
riuscita, dubito fortemente che questo “Karate Kid 2.0” abbia qualcosa per
affascinare il pubblico giovane, intendo qualcosa in più al semplice rivedersi
il classico originale di John G. Avildsen.

Con il suo protagonista dodicenne, questo film è
completamente fuori target anche per gli ex ragazzi cresciuti con il film
originale, quelli che alla sua uscita improvvisamente si sono ritrovati da coetanei del personaggio principale, a suoi possibili padri e zii. Per questa porzione di pubblico – di cui
casualmente faccio parte anche io – cosa può interessare per davvero di questo
film? L’unica cosa che davvero funziona: Jackie Chan.

“Fermi, fermi tutti! Mi tocca salvare anche questo film”

Parliamoci chiaro, di vedere delle “Supercazzole” su sguardi
che ipnotizzano i serpenti, e delle belle immagini di repertorio che sembrano
patrocinate dall’ufficio per il turismo della Cina, non importa molto a
nessuno. Jackie Chan ormai è l’uomo immagine della Cina bella, brava e buona da
esportare nei film, ecco perché ci tocca sopportare tutta la sotto trama della ragazzina
pucci pucci e la visita guidata alla famosa città proibita di Pechino,
che ormai di proibito ha solo il nome.

Con il Cobra Kai che non si chiama mai così, ed è sostituto
da alunni in kimono rosso facenti-funzione di-Cobra-Kai, Jackie Chan resta l’unico
motivo per dare una possibilità al film, oppure una seconda possibilità come ho
fatto io. La risposta del vecchio Jackie è una prova cinque stelle extra lusso.

“Mi ricorda quando papà si allenava per recitare in Io
sono legg…”, “Completa la frase e ti picchio con un libro di Matheson, sta
zitto”

Il suo Mr. Han non è il vecchio Maestro Miyagi, e già questa
è una buona notizia. Han (Solo?) con la sua aria stropicciata sembra uno con
problemi di alcolismo, cioè io lo so che nel primo film Miyagi si prendeva una ciucca clamorosa sfondandosi di
Sakè, ma tra i due quello alcolizzato sembra comunque Han.

Sta di fatto che a parità di “Ruolo drammatico intimista”
legato a moglie (e qui anche figlio) scomparsi, Jackie Chan tira fuori un
dramma che dal Buster Keaton delle arti marziali non ti aspetteresti mai, e per
il resto del tempo i suoi battibecchi con Dre funzionano («Migliori
combattimenti sono quelli che evitiamo», «E se voglio evitare di farmi fare il
culo?», «Non dire culo») anche se ovviamente mancono della mistica da Maestro
Yoda che a Pat Morita veniva naturale. Inoltre il doppiaggio Italiano del film
fa un lavoro inaspettato, sono riusciti anche ad inventarsi un gioco di parole
decente su L.A.P.D. che qui diventa la lega atletica della polizia.

Dopo Danny e Arnold, anche a Jackie tocca il R.D.I. (Ruolo
drammatico intimista)

Poi ci sarebbe la questione arti marziali, tappandosi naso,
bocca, occhi, orecchie (e mi fermo qui!) sul titolo “Karate Kid”, Jackie Chan ha
tutto il vissuto artistico e l’esperienza marziale che a Morita mancava. Se conoscete
Chan solo per le repliche di Italia 1 di “Terremoto nel Bronx” (1995) di sicuro
vedendolo qui avrete una percezione di lui, se lo conoscete per “Drunken Master”
(1978), “Project A – Operazione pirati” (1983) e “Police Story” (1985) ne avrete di certo un’altra. Vogliamo dire che questi titoli non solo erano più divertenti, ma avevano giusto un paio di scene d’azione in più, di tutti gli episodi di “Happy Days” in cui è comparso Pat Morita prima di
diventare Miyagi? Si dai, diciamolo.

“Lo sai che il mio pap…”, “Di un po’ ragazzì, devo fare al tuo braccio quello che tu hai fatto alle mie balle?”

Diventa quasi automatico pensare che forse tutta la faccenda
del appendi giacchetto, prendilo, mettilo a terra e via così, probabilmente è
quello che hanno fatto fare a Jackie Chan la prima volta che si è avvicinato al
Kung Fu, e se anche così non fosse, più sorprendente della buona prova drammatica dell’attore, resta il fatto che questo passaggio del film riesca a sorprendere.

Si perché quando Jackie Chan aiuta Dre contro i bulli del Cobra-Kai-che-non-è-il-Cobra-Kai,
e letteralmente li fa picchiare tra di loro (anche perché non è bello vedere un
adulto picchiare dei bambini) dentro ci sono gli echi delle coreografie tutte
matte delle sue vecchie pellicole. Anche se questo film ricalca con la carta carbone l’originale
del 1984, dopo ore di appendi giacchetto, prendilo, mettilo a terra, raccoglilo
e via così, quando Dre si ritrova davvero a fare qualcosa che sembra del Kung
Fu, la sorpresa è la stessa del «Dai la cera, togli la cera» di allora, solo che
qui ad allenarti è Jackie Chan, brutto?

“Conosco il Kung Fu” (Cit.)

Ecco, se solo poi a tutto questo, si fosse aggiunto anche un
film, e non una sbiadita copia carbone, le cose sarebbero andate meglio. Tutto
il romanzo di formazione, la ricerca di un padre assente, la rivincita contro i
bulli che rendevano il film originale un’adorabile puttanata impossibile da
prendere sul serio, ma con un sacco di cose per arrivare ai ragazzi, qui resta una puttanata, adorabile a tratti
grazie ad un Jackie Chan con il cuore lanciato oltre l’ostacolo – e le musiche di
James Horner davvero bellissime – ma con dentro davvero poco altro. Attenuante generica: nemmeno
i seguiti ufficiali di Karate Kid sono mai riusciti a replicare la mistica di
quel primo film di culto, questo bisogna dirlo.

Resta il fatto che al torneo finale si arriva sulle note
prima di “Back in Black” degli AC/DC, con i ragazzini che si atteggiano e fanno
le pose come se fossero al Torneo Tenkaichi di “Dragon Ball” (passatemi il
paragone, anche se è un fumetto giapponese), ma quando Dre inizia a carburare,
a sorpresa parte “Higher ground”, non l’originale di Stevie Wonder, ma la
versione dei Red Hot Chili Peppers di quanto erano al meglio e facevano ancora
sentire il Funkie nella loro musica.

Avevo un compagno di squadra a basket che faceva lo stesso gesto, lo chiamavamo massima estensione (storia vera)

Ora, se voi utilizzerete ogni momento della pellicola in cui compare la ragazzina puccettina che piace a Dre, per concedervi fisiologiche pause (pipì, popò, acqua, sigaretta), e i momenti dedicati alle panoramiche sulle bellezze della Cina per mettervi a giocare con il cane (o il gatto, la fidanzata, l’amante oppure il vostro ombelico), una volta arrivati al momento del torneo, vi ritroverete a pensare: «fatto trenta, facciamo trentuno!» sappiate che da lì i titoli di coda sono dietro l’angolo, anche perché le parti «Spezzagli la gamba» e la vittoria finale, sono state filmate su carta carbone.

Anche meno Jaden, tiratela anche meno.

Insomma, questo nuovo “The Karate Kid – La leggenda continua”
non ha fatto continuare nessuna leggenda, sicuramente non quella di Jaden Smith,
al massimo quella di Jackie Chan che emerge come un signore. Quindi per quello che può
valere, questo film potrebbe convincere qualcuno ad approfondire la conoscenza
delle sue vecchie pellicole, quello è l’unico modo che questo film ha per
continuare qualche leggenda.

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