Immagino ve ne siate accorti, ma il cinema contemporaneo americano deve qualcosina al mondo del fumetto, tra tutti gli “universi” nati su carta e finiti al cinema, il “Millarworld” di Mark Millar è uno di quelli che è stato saccheggiato da Hollywood molto presto.
In tutta onestà avrei immaginato un futuro più roseo per progetti come “Kick Ass”, malamente arenato dopo un secondo film piuttosto scarso (tratto da un fumetto altrettanto debole), ma zitto zitto, tra i tanti fumetti pubblicati da Millar per la sua etichetta con il suo cognome in bella vista, “Kingsman – Secret Service” nato in collaborazione con il disegnatore Dave Gibbons, è quello che al cinema sta facendo più strada, quasi esclusivamente grazie al lungimirante piano a lungo termine del regista Matthew Vaughn.
Dopo aver studiato il metodo utilizzato dagli altri per portare i fumetti al cinema, Matthew Vaughn è andato dritto per la sua strada, la sua scelta è stata la migliore possibile, ovvero quella di tradire il materiale originale, cogliendone l’essenza ma senza bisogno di ricrearlo sul grande schermo pagina per pagina, anche perché sfido chiunque a venirmi a dire che conosceva il fumetto di Millar e Gibbons prima dell’uscita del primo film e poi tanto lo sappiamo, molti degli spettatori che vanno pazzi per i “cinecomics”, i fumetti non li leggerebbero nemmeno con gli occhi di un altro, una triste verità ma qualcuno doveva pur metterla nero su Bara.
Nel giro di due film Matthew Vaughn ha creato il suo piccolo universo inglese, fatto di gentiluomini e minacce da sventare, con lo 007 di Roger Moore nel cuore e quel tocco di sciovinismo inglese che lo ammetto, mi piace tanto. Ma prima di lanciarsi alla regia di un terzo capitolo delle avventure di Eggsy, Vaughn sottolinea l’esistenza anche del suo “franchise” con un capitolo che è allo stesso tempo Prequel e Spin-off, ora però basta con tutti questi anglicismi, va bene lo sciovinismo inglese ma fino ad un certo punto.
Quindi dimenticatevi Eggsy, “The King’s Man” in 131 minuti si impegna a raccontarti l’origine di tutto, anche del negozio di sartoria di moda maschile che fa da copertura all’agenzia segreta meglio vestita di Albione, il tutto con una storia di ampio respiro, che copre un arco di tempo piuttosto lungo che va dal 1902 fino alla fine della prima guerra mondiale, portando in scena un’operazione di fantastoria che si diverte a spernacchiare anche un po’ di complottisti.
Si inizia appunto nel 1902 con l’aristocratico britannico Orlando, duca di Whisky Oxford (Ralph Fiennes), al lavoro per la Croce Rossa e in visita con la famiglia ad un campo di concentramento in Sud Africa durante le guerre boere, così, tanto per ribadire subito la superiorità britannica che è nel DNA di questa saga. Per farla breve, l’ossessione del figlio del duca Conrad (Harris Dickinson nella sua versione adulta) per le storie del ciclo Arturiano sarà il motivo dei soprannomi di battaglia dei futuri agenti della Kingsman, ma prima bisogna passare attraverso lutti, cammini dell’eroe da affrontare e beh, l’omicidio dell’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, a Sarajevo. Siete andati tutti a scuola, sapete cosa ha comportato la morte del povero Ferdy no? Bene andiamo avanti.
Matthew Vaughn ci racconta tutto questo con un piglio appunto da fantastoria, in cui si scherza e amabilmente si sfottono i personaggi realmente esistiti, qui affiancati da quelli immaginari protagonisti del film. Ecco quindi che il clima da polveriera dell’Europa, prima dell’assassinio dell’Arciduca è un lascito dei bisticci tra bambini dei tre cuginetti, tutti interpretati dal bravissimo Tom Hollander, che riesce a non far sembrare questa scelta una poveracciata solo perché è un attore di livello, in grado di caratterizzare al meglio Re Giorgio V, il kaiser Guglielmo II e lo Zar Nicola II (come Rocky), in cui non credo serva nemmeno sottolinearlo, del trio quello buono pacato e logico è ovviamente il regnante Britannico, lo avete capito il giochino ormai no?
Proprio per questo, con un ulteriore tocco di ironia, si introduce anche l’agenzia concorrente della futura Kingsman, una sorta di neonata “Spectre” che opera da un capanno per le capre sopra una montagna, comandata da una dittatoriale eminenza grigia di cui non sappiamo nulla, se non le origini Scozzesi (proprio come Mark Millar), un cattivone che al pari della nemesi di Spirit o dell’ispettore Gadget non si vede mai in faccia (fino alla rivelazione finale), però afflitto da “spiegone compulsivo”, infatti lo sentiamo tuonare i suoi piani di dominio mondiale ai suoi sottoposti, che siano questi Vladimir Ul’janov Lenin (obladì obladà, cit.) o il viscidissimo Grigorij Rasputin (interpretato da Rhys Ifans) poco importa, quello che conta è destabilizzare, far crollare l’alleanza tra cugini e lasciare l’odiata Inghilterra sola contro il nemico.
In tal senso in questa versione neonata della “Spectre”, la Germania è rappresentata da un largamente sotto utilizzato Daniel Brühl, che è il primo nome dell’elenco telefonico quando Hollywood ha bisogno di un attore per il ruolo di un crucco cattivo da fumetto.
Ecco, se dovessi descrivere un difetto del film, lo spreco di un cast di primo livello proprio non mi va giù, va bene che ormai i caratteristi da Hollywood sono in via di estinzione, ma non capisco che senso abbia affidare a Stanley Tucci il ruolo dell’ambasciatore americano per poi fargli recitare tre righe di dialogo, forse in ottica possibili altri seguiti (alcuni dei quali già annunciati, Vaughn sta pensando in grande) potrebbe avere un senso, così però tocca accontentarsi di vedere Djimon Hounsou in un roccioso ruolo da spalla e la bellissima Gemma Arterton in quello di una tata con il vizietto dei fucili da cecchino, assente quasi ingiustificata per buona parte del film, almeno fino alla lunga sequenza d’azione finale, dove la vediamo offrire provvidenziale fuoco di copertura a tutti i maschietti del film.
Per quello che mi riguarda i difetti potrebbero anche essere terminati qui, perché con lo stesso coraggio con cui Matthew Vaughn ha sempre dimostrato di non avere nessuna paura – oppure voglia di passare la lingua sul deretano dei fan del fumetto, che tanto come tutti i fan, saranno sempre impossibili da accontentare – non solo ha modificato e fatto suoi i personaggi e le trame create da Mark Millar, ma qui dimostra di poter sbalordire ancora anche il pubblico, che forse si sarebbe accontentato di un altro semplice “Kingsman” dalla formula collaudata.
Gli elementi che hanno reso popolare questa saga ci sono tutti, non manca lo sfottò ai potenti come Rasputin che soggioga lo Zar facendogli bere oppio dal suo crocefisso (simbolismi raffinati portatemi via), oppure il presidente americano, che si rifiuta di intervenire finché non verrà risolto quel suo problemino personale, recuperando un filmino con cui una donna lo sta ricattando, non è dato sapersi se la signorina in questione di nome facesse Monica (ante litteram), ma è chiaro su cosa Vaughn stia scherzando. Ecco forse un altro piccolo problema di “The King’s Man” è il suo procedere per micromissioni da svolgere, per portare avanti il piano e la trama generale, ma vi giuro che con questo ho finito con i difetti, giurin giurello!
Certo potrei stare qui a parlarvi del tentativo di omicidio dell’immortale Rasputin, che Rhys Ifans riesce a caratterizzare come laido e viscido quanto basta per stare al passo con la fama del discusso personaggio, anche se vederlo combattere facendo le piroette (con la colonna sonora di Dominic Lewis e Matthew Margeson che accenna un Overture 1812 di Tchaikovsky, così, tanto per gradire), di certo non pareggia con la rissa in chiesa sulle note di Free Bird, però garantisce quel minimo sindacale di divertente caciara a cui Vaughn ci ha abituati.
Dove davvero funziona “The King’s Man” è nelle sue ambizioni, questo “prequel” avrebbe accontentato il suo pubblico già così, con le origini su schermo dell’agenzia di Gentlemen, invece Vaughn dimostra di avere davvero a cuore i suoi personaggi ma anche di essere un autore più intelligente di quello che la sua filmografia piena di “cinecomics” lascerebbe intuire, per lo meno se io fossi uno di quei critici con la pipa e gli occhiali.
Se la saga di Kingsman era tutta raccontata dal punto di vista di un giovanotto che scopriva un mondo nascosto e affrontava il suo cammino dell’eroe, qui Vaughn ci fa una finta di corpo, facendoci credere che in questo prequel assisteremmo allo stesso percorso per Conrad, salvo poi concentrarsi molto di più sul padre, un personaggio meno “puro” ma non per questo meno nobile, portando così avanti la tradizione di questa saga, quella di prendere attori britannici amati dai critici con la pipa e gli occhiali e regala loro ruoli da cazzuti eroi dell’azione, questa volta tocca ad uno dei miei preferiti: Ralph Fiennes.
A lungo ho creduto che Ralph Fiennes potesse interpretate chiunque, magari non un lottatore di Sumo per evidenti caratteristiche fisiche, però ancora sogno di vederlo un giorno nei panni di Sherlock Holmes, banale lo so, ma mi accontento di piccoli sogni a volte.
Qui Vaughn gli fa combattere un veloce assedio in stile “Zulu” (1964) diretto in soggettiva, per poi trasformarlo piano piano in un recalcitrante ma convincente eroe dell’azione, guidato da motivazioni più che solide, che per certi versi sono la prova che a Vaughn, questa sua saga piena di Inglesi letali e ben vestiti sta davvero a cuore e attraverso i suoi personaggi si concede aspirazioni un pochino più alte, non dico proprio da film bellico perché la messa in scena è sempre quella volutamente posticcia del “cinecomics”, ma con la volontà precisa di alzare un pochino la posta in gioco.
Il risultato spiazza, ma in un modo del tutto positivo, perché Vaughn sa gestire la caciara e l’azione grazie ad una regia e un montaggio sempre affilati, nemmeno per un momento le scene d’azione risultano confuse e allo stesso tempo trovo che non sia affatto male giocare con la storia e le aspettative dei personaggi, se poi visto il periodo, trovi anche il modo di spernacchiare un po’ i teorici del complotto, tanto di guadagnato.
Lo dico fuori dai denti, ho problemi a digerire tutti quei registi che pensano, spesso senza esserlo, di essere più intelligenti del proprio pubblico, vi lascio l’onere di fare voi gli esempi e i nomi. Preferisco di gran lunga qualcuno che tratta con parti uguali di intrattenimento e intelligenza una materia “bassa” (come da sempre viene considerato il fumetto) per cercare di alzare un pochino la posta in gioco. Insomma oggi come oggi ci sono pochi autori come Matthew Vaughn che mi mandano a casa quasi sempre contento grazie ai loro film, mentre tutti parlano di lunghe saghe a fumetti che fanno molto più rumore, Vaughn è davvero l’agente segreto che opera nel silenzio, uno che ha davvero fatto sua la massima: i modi definiscono l’uomo, e lo ammetto il suo misto di caciara e stile lo sento molto mio.
Se per caso vi foste persi il film, sappiate che sarà disponibile su Disney+ dal 23 febbraio perché si, siamo tornati in quel periodo in cui i film vengono dirottati sulle piattaforme di streaming, come direbbero gli inglesi: bloody hell!
Sepolto in precedenza martedì 25 gennaio 2022
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