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The Last Duel (2021): uomini che parlano di donne (e poi si prendono a spadate)

Ci sono due verità assolute e inconfutabili che terranno banco fino all’ultima parola di questo post, la prima è che Tony è il migliore tra i fratelli Scott, la seconda che Adam Driver è bellissimo. Iniziamo dal più facile ovvero il secondo, non voglio discussioni con le tante e i tanti appassionati di Adamo Guidatore, quindi mi sono convertito alla vostra causa e poi che vuoi dirli ad uno che porta a termine i film impossibili di Terry Gilliam?

Segni particolari: bellissimo (cit.)

Il primo punto invece è il manifesto programmatico di questa Bara, mi sono esposto, ho argomentato, la faccenda è stata chiarita, Tony sarà sempre lo Scott giusto, ma era giusto che io risaltassi in sella, non potrò continuare ad evitare il fratello meno fortunato Ridley per sempre.

Tony, lo Scott giusto, traccia la via nel 1990
… Ridley, il fratello davvero minore copi… Ehm, omaggia nel 2021 (gioco, partita, incontro)

Dopo quella, quella… Dopo Alien Covenant, i miei maroni hanno cominciato a girare così vorticosamente che non ho nemmeno avuto voglia di vedere “Tutti i soldi del mondo” (2017), unico film dello Scott sbagliato che non ho visto, perché a differenza dei tanti su “Infernet” che si professano fanatici del fratello Scott barboso, quello con le mire da filosofo, io i suoi film li guardo tutti, infatti ho voluto affrontare i 152 minuti di “The Last Duel” perché è quando cadi da cavallo che devi risalire in sella, anche se la durata esagerata è figlia di questi anni, in cui tutti fanno a gara a chi ha il film più lungo, che poi è sottilmente anche uno dei temi di “The Last Duel”, ed ora il paragrafo Super Quark, vi metto anche la musica. Cassidy fa la voce impostata scandendo bene le parole.

“The Last Duel” è l’adattamento cinematografico del romanzo storico del 2004 “L’ultimo duello” (“The Last Duel: A True Story of Trial by Combat in Medieval France”) scritto da Eric Jager che narra le vicende dell’ultimo duello di Dio, avvenuto in Francia nel 1386, tra Jean de Carrouges (Matt Damon con i capelli brutti) e Jacques Le Gris (il bellissimo Adam Driver), quest’ultimo accusato di aver violentato la moglie del primo, la nobile Marguerite de Carrouges (la bellissima Jodie Comer, ma non quanto Adamo). Ok ora potete fermare la musica di Johann Sebastian, il paragrafo è finito.

La sceneggiatura del film è scritta da due amiconi Ben Affleck e Matt Damon, che un tempo si facevano le canne insieme a Kevin Smith parlando di fumetti, almeno fino a quando i primi due non hanno nobilitato le loro carriere scrivendo insieme “Will Hunting – Genio ribelle” (1997) portandosi a casa un Oscar.

«Meeeeit Deeeimon» (cit.)

Ma per quello che mi riguarda la sceneggiatrice più importante di “The Last Duel” è il terzo nome, nessuna ragazzina o ragazzino degli anni ’90 avrà mai appeso il poster di Nicole Holofcener nella propria cameretta, ma è anche l’unica donna coinvolta in un film che parla di donne, per due terzi scritto da uomini e diretto da un altro maschietto come Ridley Scott, che periodicamente nella sua carriera cade in piedi, perché trova sempre un film abbastanza buono per stare a galla. Proprio negli anni ’90 ci era riuscito portando via la regia ad una donna e firmando un film femminista, con cui ho sempre avuto un rapporto molto tormentato, ma ne abbiamo già parlato diffusamente no?

“The Last Duel” è diviso in tre capitolo, ognuno con il punto di vista di un personaggio, l’ordine è Damon, Driver e Comer, alla faccia della cavalleria le signore per ultime. Non è difficile capire perché Ridley, lo Scott sbagliato abbia scelto di dirigere questo film che rientra perfettamente nel filone dei film “in costume” della sua carriera, più quel tocco alla Thelma & Louise che fa subito continuità tematica. Fin dal titolo strizza l’occhio a quel gioiellino che era “I duellanti” (1977), ma continua la tradizione di titoli come “1492 – La conquista del paradiso” (1992) anche se lo abbiamo visto in sette, oppure “Il gladiatore” (2000) diciamo più famoso che davvero bello, seguito da quella scoreggia nel vento che era “Le cruciate” (2005) oppure “Robin Hood” (2010) ovvero scoreggia nel vento parte seconda.

Un’immagine della migliore in campo, per farvi dimenticare la porzione triste della filmografia dello Scott sbagliato.

L’unica differenza è che prima dell’avvento di “300” (2007), “Il gladiatore” era il film machista per eccellenza, quello che ha fatto iscrivere in palestra tutti tranne Russell Crowe, mentre “The Last Duel” ambisce ad essere femminista e ci riesce, nella misura in cui può esserlo un film con un regista e due sceneggiatori su tre maschi, ma a ben guardarlo sembra un classico drammone Hollywoodiano in stile anni ’90, perché ha gli attori di richiamo, i costumi, una ricostruzione del 1386 adeguate (più di quanto non sia mai stata quella di “Il gladiatore”) ma resta un film impanato e fritto nelle tematiche care alla Hollywood e alla società del 2021, se volessi passare per molto intelligente (impresa impossibile), mi metterei gli occhiali, accenderei la mia pipa che fa le bolle di sapone e vi parlerei di film “post Me Too”, dando per scontato che il “cancelletto” abbia davvero cambiato qualcosa laggiù nel bosco di Holly, chiamatemi cinico, ma permettetemi di dubitare.

Spaziamo il campo dai dubbi, “The Last Duel” è un buonissimo film, ad esclusione di Covenant, l’altro Scott quando si parla di regia e composizione dell’immagine, non va mai sotto il PAR, per prendere in prestito un termine dal Golf, quindi malgrado la lunghezza, il film fila via piuttosto bene e anche se il capitolo numero due e tre risultano un po’ ridondanti, “The Last Duel” sarà il titolo che uscirà dal mazzo per un po’ quando nelle discussioni si dirà: «Visto che Ridley ci sa ancora fare?», insomma The Martian è stato scalzato. Ma mi anche è piaciuto? La mia convinta e decisa risposta è un netto e chiaro: abbastanza.

«Beh, questo film vince la freccia d’ ⁣oro, il bacio e tutta la baracca» (quasi-cit.)

Visto che ho ancora gli occhiali e la pipa a portata di mano, mi tocca tirare in ballo l’altro nome (grosso) che deve essere citato parlando di questo film, ovvero Akira Kurosawa, perché Ridley lo Scott minore decide di giocarsela alla “Rashomon” (1950), raccontando i punti di vista sulla violenza carnale dei principali protagonisti, ma sarebbe più corretto definirlo un “Rashomon con l’asterico” perché andando a leggere le parti scritte in piccolo del contratto è chiaro che a differenza del Sensei Kurosawa, la visione del racconto dello Scott meno figo in famiglia è falsata, ma andiamo per gradi.

Il primo capitolo ruota tutto attorno al Jean de Carrouges di Matt Damon, che mi ha fatto sorridere perché il nome mi ricorda il Jean de Baton di Hitman ma con i capelli pensati da qualcuno che ha visto “Vikings”, ma non potendo osare con uno stile alla Ragnarr Loðbrók, ha optato per un Mullet targato 1386 per “Meeeeeit Deeeeimon” (cit.)

Damon conciato come quando si faceva le canne in piazza con i regaz.

Il suo Jean de Baton è un buon soldato fedele al Re, ma con grossi problemi di liquidità che sceglie di sposare Marguerite de Carrouges per la sua ricca dote e perché “per me poi tanto male non è” come cantava il principe di Bel Air. Il primo capitolo è quello che presenta i personaggi, quindi appesantito da questo compito anche quello meno interessante, perché comunque bisogna presentare l’amico Jacques Le Gris e l’ossigenato conte Pierre d’Alençon (Ben “Eminem” Affleck). Il ritratto del personaggio di Damon che emerge è quello del bravo soldato, del marito tutto sommato comprensivo che non esita ad invocare il duello di Dio per vendicare il torto subìto dalla moglie, ma il capitolo numero due è sicuramente più movimentato.

They try to shut me down on MTV / But it feels so empty, without me (cit.)

Qui il protagonista assoluto è il punto di vista di Jacques Le Gris, interpretato da un Adamo Guidatore BELLISSIMO ma a mio avviso abbastanza monocorde, nel senso che ha aperto il gas al minimo, consapevole forse che il ruolo non richiedeva sforzi aggiuntivi. Il punto di vista del violentatore è quello che dovrebbe risultare più torbido, anche se le acque si mescolano solo nel mostrare come Le Gris abbia scalzato Jean de Carrouges, dalle grazie di Pierre d’Alençon, infatti i due protagonisti diventano compagni di sbronze e di orge, mentre il personaggio di Matt Damon viene rappresentano, in questa versione dei fatti, come un mitomane che fa causa a tutti sbraitando spesso come un pazzo.

Sur le pont d’Avignon, ci sta un bel ragazzon (anzi, bellissimo!)

Per mia somma sofferenza, la scena dello stupro viene mostrata due volte nel film (grazie Ridley, a buon rendere eh!), ma è già abbastanza chiaro che il film sia schierato, perché Jacques Le Gris è il classico personaggio che se riceve un no da una donna, nella sua testa suona come un sì, è piuttosto chiaro che sia davvero innamorato e a suo modo pentito (nella scena della confessione) per il gesto che lui non considera poi così orrido, ma è altrettanto chiaro che non ci sia ombra di dubbio sulle sue azioni. Come spettatori è impossibile scambiare quel momento per vero amore, quando è chiaramente raccontato dalla storia e dalla regia dell’altro Scott come uno stupro, in questo senso “The Last Duel” cerca di evitare la polemica, invece di mandare a segno un secondo capitolo davvero dal punto di vista del colpevole, raccontando una versione davvero controversa, schiva i casini con abile mossa e si schiera già a favore di Marguerite de Carrouges. Dal mio punto di vista umano e personale giusto, anzi sacrosanto, da quello cinematografico invece storco il naso, perché lo Scott sbagliato aveva la possibilità di affrontare la questione “mascolinità tossica” (nel 1386, ma identica a quella del 2021) da vero uomo di cinema, invece ha preferito pararsi il culo e fare un bel compitino, fatto bene, fotografato alla grande, ma con indosso le mutande di ferro anti polemica.

L’ultimo capitolo è quello che ribadisce la sacrosanta (lo ribadisco, sacrosanta) posizione del film, mettendo in chiaro che 1386? 2021? Per una donna che subisce violenze sessuali non è cambiato un accidente, non solo il più delle volte si troverà davanti un sistema pronto a sminuirla, ma anche una serie di personaggi conniventi pronti a ricordarle ma dai! Lascia stare, non denunciare perché potresti passare i guai. Insomma questa porzione di film è quella che ci fa patteggiare totalmente per Marguerite de Carrouges, anche perché Jodie Comer buca lo schermo ed è talmente brava da distrarci dal fatto che il film, non ha mai fatto davvero nulla per instillarci il dubbio, ma ha passato 152 minuti a fare quello che i personaggi nel film non vogliono fare, dare ragione a Marguerite de Carrouges.

«Aiutami Obi Wan Kenobi sei la mia unica speran… Vabbè faccio da sola, che se aspetto ‘sti quattro Boomer divento vecchia»

Infatti il duello finale, alla fine diventa quasi una pura formalità, Ridley Scott lo dirige alla grande, crudo, senza musiche, anti eroico ma emotivamente inutile, perché il film si è sforzato così tanto nel togliere ogni dubbio, che il combattimento alla fine serve quasi solo per giustificare il titolo. Per questo il film è un “Rashomon con l’asterico”, fin dal secondo capitolo sappiamo che Le Gris è colpevole, e poi senti Ridley bello, se tu aggiungi al terzo capitolo il sottotitolo “LA VERITA’”, mi sa che la lezione di Kurosawa non l’hai capita poi troppo eh?

Qual è la parte del terzo capitolo che ho apprezzato di più? Il ribaltamento di fronte per lo meno qui funziona, l’ultimo atto è davvero raccontato dal punto di vista femminile (essere stato scritto da una donna ha aiutato), perché è qui che vediamo che Jean de Baton era più interessato alla dote e ai terreni che ad altro, qui ci viene ribadito che la comprensione del marito, somiglia più ad una maschile gara di possesso, infatti la reazione dell’uomo davanti alla sofferta confessione di Marguerite de Carrouges, sembra quasi un comportamento dettato dall’orgoglio maschile ferito. Al maritino frega poco del dolore sofferto dalla moglie, più che altro gli urta che qualcuno abbia messo le mani sulla sua “roba” e che a farlo, sia stato proprio l’odiato Le Gris. Ecco perché dico che “The Last Duel” è un film che mi è piaciuto abbastanza, ha dentro anche degli argomenti realistici (e controversi), ma sceglie di sacrificare il cinema per evitare le polemiche.

Vabbè dai, sbrighiamo ‘sta formalità e diamo un titolo al film.

Poi io non ho dubbi sul fatto che Ridley Scott abbia avuto sincero interessa nel raccontare questa storia, non metto nemmeno in dubbio che Matt Damon e Ben Affleck abbiano il cuore puro e abbiano davvero voluto manifestare lo schifo che si prova davanti al (mal)trattamento che le donne sono ancora costrette a subire, però io voglio essere più controverso di questi tre illustri signori ricordando il passato, perché è innegabile che Damon e Affleck siano stati i prediletti di Weinstein, forse questo film è il loro modo per ribadire la loro posizione e la distanza presa, ma resta il fatto che è un altro film di uomini che parlano di donne, con poi qualche spadata nel finale. Risultato finale? Io sono risalito a cavallo ed ora potrei decidermi a recuperare “Tutti i soldi del mondo”, ma è giusto ribadirlo: Tony sarà sempre lo Scott giusto.

Sepolto in precedenza martedì 2 novembre 2021

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