Se il film di Mainetti non ha potuto contare su tutta la pubblicità che si sarebbe meritato, va detto che “The Monkey” invece ha saputo creare una leggerissima attesa, fin dal suo annuncio ormai l’anno scorso.
Anche perché parliamoci chiaramente, i film tratti dai romanzi e dai racconti di Stephen King sono un sottogenere tutto loro, tanto che alcuni libri di zio Stevie, sono già al secondo adattamento e per molti altri, è previsto lo stesso trattamento, quindi la bibliografia dello scrittore del Maine è stata passato al setaccio minuziosamente, prima o poi qualcuno doveva raccogliere la sfida di adattare il racconto “La scimmia” tratto dalla raccolta “Scheletri”, che nella prima edizione, si giocava proprio la SIMMIA con i suoi malefici piattini in copertina, malgrado quello fosse il libro che conteneva la ben più corposa – per numero di pagine – “La nebbia”, altro racconto adattato due volte, al cinema e sul piccolo schermo.
Ho letto “Scheletri” una vita fa, una delle antologie più gustose di zio Stevie, da Scimmiologo DOC posso dire che quel racconto, lo ricordavo come fottutamente angosciante, proprio così, con il rafforzativo. In vista del film ho ripassato e posso confermare che in realtà, è ancora peggio di come lo ricordassi, quei piattini maledetti non si dimenticano, infatti King scrisse il racconto in una stanza d’albergo a New York, ispirato dalla vista delle scimmiette a molla di un venditore ambulante, fra la Quinta e la Quarantaquattresima strada, quelle SIMMIE posticce fecero pensare al nostro Stevie alla morte e se per caso vi state chiedendo come possa un giocattolo a molla fa pensare alla Nera Signora, leggetevi il racconto, poi magari ne possiamo riparlare.
A ben guardare “La scimmia” riassume bene quanto King abbia imparato tanto della lezione dal Maestro Richard Matheson, lo scrittore del Maine è diventato bravissimo a raccontare storie in cui l’orrore si nasconde dietro una facciata di normalità, come una scimmia di pezza che sbatte insieme i piattini, diventata talmente iconica da essere stata apertamente omaggiata anche dalla Pixar, e per questo… Ironica? Parliamo dell’elefante, anzi meglio, della SIMMIA al centro della stanza.
È stato chiaro fin da subito che “The Monkey” avrebbe avuto un tono grottesco, anche se dovessi fare una lista di registi che non mi vedo bene alla regia di una commedia Horror, penso proprio che Oz Perkins sarebbe tra questi, fatemi snocciolare le istruzioni per l’uso: se conoscete il regista solo per Longlegs e avete giustamente amato il film con Nick Cage, potreste restare delusi da qualcosa di piuttosto diverso. Se non avete amato Longlegs e siete cinefili da curva, forse “The Monkey” è il film giusto per farvi sventolare il bandierone con su scritto “SOPRAVVALUTATO”. Come sempre la verità sta nel mezzo, questa Bara è qui per questo.
Da quanto era trapelato anche a me, che non guardo i trailer dei film, “The Monkey” doveva essere il film con cui Oz Perkins slanciava via le ciabatte, si sbottonava e ci faceva vedere che anche lui poteva essere un compagnone, in parte lo fa, dimostrando un senso dell’umorismo ovviamente nerissimo, ma di essere “leggero” in tutto e per tutto proprio non è la sua materia. A livello tecnico sa anche come gestire bene il montaggio, in modo da sottolineare la trovata tutta matta, ma per assurdo se avesse fatto solo il compitino, e avesse adattato il racconto pagina per pagina, forse avrebbe tirato fuori il film che tutti – prima di “The Monkey” – si sarebbero attesi da lui, oppure avrebbe fatto un disastro, una roba didascalica. Per nostra fortuna Perkins è più astuto di così e “The Monkey”, risulterà anche sbilanciato tra le sue parti, ma è la prova che il buon vecchio Oz resta uno con la testa sulle spalle.
Sì, perché il regista ha saputo smarcarsi dall’estetica e dall’ombra lunga del suo produttore James Wan, ma anche dal nome ancora più ingombrante, quello di Stephen King, decidendo di fare propria la materia, di raccontare la sua versione della storia, che poi è il modo migliore per portare uno scrittore dallo stile già molto cinematografico come zio Stevie al cinema.
Dopo aver ritrovato in soffitta la scimmietta giocattolo appartenuta a loro padre, i due gemelli Hal e Bill assistono ad una serie di morti tutte attorno a loro e legate alla SIMMIA, il tono mette in chiaro che appena ne ha l’occasione Perkins alza il volume della radio, basta guardare la scena in cui il padre cerca di liberarsi del giocattolo (a colpi di lanciafiamme) perché sia chiaro, ma una parte rilevante di “The Monkey” va cercata proprio qui.
Una volta che i due fratelli pensano di essersi liberati della scimmia, il tempo passa e le loro strade si separano, saranno costretti a riconciliarsi quando la SIMMIA tornerà nelle loro vite. Trovo significativo che Hall e Bill da adulti, siano impersonati dalla buona prova di Theo James, ora non voglio fare il Freud della bassa padana, ma questo mono-fratello deve anche vedersela con un’eredità paterna piuttosto ingombrante, e a questo punto sembra banale, ma è doveroso ricordarvi che Oz di cognome fa Perkins e questo comunque apre degli scenari interessanti, non voglio dire che per il regista “The Monkey” sia autobiografico, ma che per lo meno, il tema dell’orrore in famiglia, è qualcosa che al nostro sta piuttosto a cuore.
Oz Perkins ha preso un racconto molto sinistro, dove l’orrore era generato da qualcosa di grottesco come una scimmia che suona i piattini (Jang-Jang-Jang-Jang… chi sa ha capito), per portarlo al cinema sceglie la via di far emergere l’elemento grottesco e di adattarlo, infatti la scimmia è diventata tamburina nel suo passaggio al cinema e il risultato è a tratti poco omogeneo certo, ma se chiedete a me – e se siete qui, immagino sia per questo – piuttosto divertente, non so se piacerà a tutto ma io ammetto che anche grazie al mio nerissimo umorismo (su gli occhi al nome del sito, giusto per conferma) questo spettacolino messo su da Perkins è stato tutto sommato di mio gradimento, anche perché in quanto Scimmiologo DOC, non posso che apprezzare la scelta di “animare” la prima locandina di “Scheletri” edita da Sperling & Kupfer, poi che vuoi dirli, apparizione di un fanatico di horror come Elijah Wood e piccola parte recitata come al solito alla grande da Tatiana Maslany, che mi fa sempre piacere ritrovare.
Oz Perkins nel suo smarcarsi da Pupazzo UAN e da zio Stevie, porta il film in uno strambo limbo tra il film che dovrebbe sbracare e divertire divertendosi, senza farlo mai totalmente, e quella pura e goduriosa serie B di adattamenti Kinghiani meno in voga ma con la loro nicchia di appassionati, penso a titoli come “I sonnambuli” (1992) oppure “La creatura del cimitero” (1990), facendo emergere quella sensazione un po’ bizzarra dell’essere fatto fuori da qualcosa di fondamentalmente comico come una SIMMIA tamburina, che è qualcosa che farebbe anche ridere se non ci scappasse il morto e qui arriviamo al punto, con “The Monkey” sembra quasi di trovarsi davanti ad un “Final Destination” in odore di Horror elevato, il che mi sta benissimo, visto che sono caldo sull’argomento.
Causa compleanni del 2025, sto lavorando per voi, quindi leggerete degli effetti qui sulla Bara a stretto giro. Il mondo delineato da Oz Perkins sembra davvero quello di “Final Destination”, dominato in tutto e per tutto dalla morte, non esiste un vero modo per sfuggirne, si può solo fare come Hal e Bill e accettare l’orrore nella propria vita, una volta chiarito che la SIMMIA è la morte, inutile sforzarci di provare a distruggerla, gettarla in un pozzo, darle fuoco con il lanciafiamme, farla a pezzi o anche solo rimandarla, l’unico modo è elaborarla, comprenderla e sembra assurdo, ma provare a conviverci, che poi è quello che facciano anche noi ogni giorno, solo che non abbiamo una scimmia che ci fissa inquietante.
Risultato finale, questo capitolo scimmiesco di “Final Destination” mi ha divertito, forse scontenterà tanti e fioccheranno i paragoni con Longlegs come scrivevo lassù, ma io credo che con il tempo questo film si guadagnerà la sua nicchia di pubblico, anche perché per un autore Horror degno di questo nome, l’adattamento kinghiano è ancora una tappa obbligata, Perkins si è giocato le sue carte in maniera molto astuta, per il resto: onore a gloria al cinema delle scimmie!
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