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The Night Flier (1997): le nere ali di Icaro

Uno-zero-uno-bravo-lima… rispondi… parla Quinto Moro uno-zero-uno-bravo-lima, perciò vedi di spostare quel Cessna Skymaster nero dalla mia pista, perché abbiamo una bara in decollo.

Quante memorabili pellicole horror uscite a cavallo tra il 1995 e il 1999 vi ricordate? Nessuna? E non ditemi Scream che nel 1996 dimostrava solo come Wes Craven avesse capito la fine degli anni d’oro dell’horror – o almeno di un certo horror – tanto da decidere di scherzarci su.

Le grandi maschere assassine erano in declino, non a caso si cominciava a volgere lo sguardo a oriente, agli orrori nipponici da importare in salsa yankee. Ma una cosa funzionava ancora in quegli anni bui: il nome di Stephen King a garanzia, se non di successo, almeno di interesse. Pur non essendo mai stato un suo accanito lettore ho sempre subìto il fascino di ciò che era tratto dalle sue opere. Senza contare che negli anni ’90 l’etichetta “Stephen King” era diventata una strana garanzia di prodotti soft-horror da guardare in prima serata con bimbi al seguito. Ed è con quell’idea che una notte di tanto tempo fa capitai alla prima tv di “The Night Flier”.

«Promemoria: introduzione troppo lunga, fare dei tagli»

Tratto da un racconto di Stephen King dall’antologia “Incubi e deliri” e bla bla bla, cose da enciclopedia che non volete leggere sulla Bara. Questo è uno dei film “secondari” nel mare nero delle opere kinghiane e forse uno dei più sottovalutati, con pochi cultori – di cui faccio orgogliosamente parte – che hanno goduto dei suoi passaggi televisivi – io l’avevo registrato su cassetta. [segna due, per le persone che avevano puntato il videoregistratore, ci sarà un motivo se scrivi su questa Bara. Nota Cassidiana]

Prodotto con pochi spicci è praticamente un film indipendente, fiutato dalla Paramount che voleva distribuirlo per Halloween nel 1998, ma significava tenere il film in stanby per quasi un anno. Non se ne fece niente, e fu la New Line a farlo uscire a febbraio, in tempo per raccogliere risate al botteghino e spallucce dai soliti critici col monocolo.

Bene coi tagli, e monocoli strappati brutalmente ai critici altezzosi. Così ci piace.

I produttori Mitchel Galin e Richard P. Rubinstein erano già stati nell’orbita di Re Giorgio Romero, per poi passare a film e miniserie a marchio Stephen King (non le migliori). Perciò era pure passato nelle mani giuste, ma forse nel momento sbagliato. Fra i tanti titoli che si sono fregiati della tag “tratto da un racconto/romanzo/starnuto di Stephen King”, questo è uno dei pochi ad avermi procurato qualche sonno tormentato, forse perché ci trovo atmosfere più lovecraftiane che kinghiane: mistero intorno all’orrore che si rivela solo nel finale, dopo un lungo inseguimento. A ricordare la paternità di King il fatto che l’aereo dell’assassino “arriva da Derry”, l’immaginaria cittadina di IT, mentre il “costume” si rifà a quello dei vampiri del cinema, con mantello nero e rosso. [Anche il protagonista Richard Dees, era già comparso in La Zona MortaNota Cassidiana]

Ma il film è poi tutto ‘sto granché? Non ve lo voglio vendere troppo bene, l’ho sempre apprezzato perché al netto dei pochi mezzi sfrutta bene le atmosfere e i personaggi. Tra i suoi peggiori difetti certamente c’è… la locandina! O meglio quella locandina che andava regolarmente sulla guida tv, o sulle vhs e i dvd, che sbatteva il mostro in prima pagina, in barba a tutte le scelte del regista, che fece recitare mascherato l’attore Michael H. Moss anche quando non inquadrava il volto, perché la rivelazione doveva essere il momento clou della pellicola. La “nostra” locandina sulla Bara è l’unica che ho trovato col volto di Miguel Ferrer, e pure modificata per nascondere le fattezze dell’assassino.

Le locandine più belle. Quelle senza spoiler.

La trama in soldoni: c’è un assassino che si sposta con un aeroplano tra i piccoli e isolati aeroporti della Costa Est. Atterra, dissangua le sue vittime e riparte. La rivista scandalistica “Inside View” è uno di quei giornalacci da supermercato dove l’agente K andrebbe a cercare trovare le sue notizie: servizi truculenti, storie dal sottobosco del sogno incubo americano, pane per i denti del reporter veterano Richard Dees, uno per cui l’unica cosa che conta è “arrivare in prima pagina”.

«Senti Merton, non vorrai tagliarmi le palle soltanto perché tu non ce le hai», Una tipica entrata in scena alla Miguel Ferrer. Ci manchi vecchio.

Dees ha il volto ruvido di uno che ci mette poco a indossare la faccia da bastardo, e ancora meno a far grondare quel liquido rosso sul suo personaggio, che non è sangue ma carisma: chi gioca in prima base è Miguel Ferrer, un nome, un volto, una garanzia. E per una volta un protagonista. Miguel si mangia il ruolo a colazione, pranzo e cena, lavorando con le sue smorfie sardoniche che ci restituiscono un giornalista aspro e ostinato. Ma Dees non è una macchietta, non è stronzo perché sì, né le sue azioni sono guidate dall’avidità. Dees è consumato dal suo lavoro, così impregnato dall’orrore che ha visto da non poterne più fare a meno. Perciò ha senso che lo sfuggente Night Flier sia per lui un’ossessione, la nemesi di chi l’orrore vuole mostrarlo.

Il reporter di razza si riconosce da come fiuta le cose. Tutte quante.

Il film si apre con una scena dall’atmosfera niente male, con un tema musicale malinconico che accompagnerà tutto il film. Nei primi 5 minuti facciamo conoscenza di tutti i personaggi caratterizzati da subito molto chiaramente. L’aspro Dees, il suo viscido direttore e la novellina Katherine Blair, a cui Dees affibbia il soprannome “Jimmy” – il reporter sfigato dei fumetti di Superman – e poi la umilia in una scena rubata a Il silenzio degli innocenti, con un Miguel Ferrer stile Hannibal che affonda i denti nel cliché della ragazzotta di belle speranze che sogna la carriera. I personaggi sono ben caratterizzati, sguazzano nei rispettivi cliché risultando vivi grazie alla voglia degli attori di metterci qualcosa.

ALLERTA SPOILER

L’unico personaggio veramente umano resta la novellina “Jimmy”, almeno finché non si piega alle logiche di Dees, al suo “mai credere a quello che scrivi, mai scrivere quello in cui credi” che le regalerà la prima pagina, ma spegnerà il suo sguardo in una triste disillusione. Mi è sempre piaciuta quell’ultima inquadratura sul volto di “Jimmy” in prima pagina, non raggiante come lei sperava d’arrivare al traguardo, e invece spenta in una tristezza inespressiva, come a raccogliere la grigia eredità di Dees. E Dees fa un po’ la fine di Icaro, nella sua eterna caccia all’orrore, precipita dopo essersi avvicinato troppo.

FINE SPOILER

 

Non serve conoscere le altre trasformazioni di Jimmy per sapere che quella a destra è la migliore

“The Night Flier” porta con sé la storia di due esordi nel cinema ingiustamente caduti nell’oblio. Uno della protagonista femminile, Julie Entwisle sconosciuta prima e dopo questo film, acerba ma volenterosa, si vede quanto credesse nel personaggio – che è sempre la cosa più importante, al netto di qualche eccesso di smorfie e almeno una scena pessima. E se non ha trovato la fama, sul set ha trovato almeno il futuro marito, che risponde al nome dell’esordiente dimenticato numero due, il regista Mark Pavia.

Pavia ha anche adattato la sceneggiatura dal racconto di King, e si vede quanto pure lui abbia creduto nel progetto, perché senza far gridare al miracolo il film racconta la storia in modo molto efficace. Peccato per un finale non all’altezza, che doveva essere l’apice ma rivela tutti i limiti di esperienza e budget, o forse l’incapacità di Pavia con l’elemento horror in sé. Il finale poteva essere una festa degli schizzi di sangue, ma gli ammazzamenti restano fuori scena e si resta sullo splatter statico, limitandosi al sangue già versato e alle mutilazioni viste sui cadaveri. Ma non è neanche questo il problema.

«Chi è inciampato nei barattoli di sangue finto? Quello era tutto il nostro budget!», «I didn’t do it» (cit.)

“The Night Flier” sembra uno di quei film girati per la tv con pochi mezzi e tanta voglia di fare. Pavia si gioca tutto sulle atmosfere, tiene il mostro nascosto e non cade mai nella tentazione dello spiegone: il Night Flier resterà un’entità misteriosa e affascinante, che attinge a piene mani dall’immaginario vampiresco. Dracula a parte, il cinema le ha provate tutte: da Kathryn Bigelow a Tony Scott, dalla saga di Blade a quella di Twilight. Eppure quella del Night Flier è l’interpretazione portata nel nostro presente che preferisco, realistica perché è realistico il mondo in cui si muovono i personaggi, con orrori in abbondanza a riempire le pagine dei giornali.

Mi è sempre piaciuto come i ruoli del cattivo e del buono si confondano. Il reporter e l’assassino sono personaggi speculari, entrambi mostri e a loro modo tragici. Uno vola di notte, l’altro di giorno. Uno va a caccia di sangue vivo, l’altro del sangue rappreso su scene del crimine. Entrambi orribili senza autentica colpa, abbruttiti, invecchiati, incapaci di fermarsi.

Mai andare dietro a un mostro troppo a lungo. Potrebbe lasciarti passare avanti.

Ho lasciato il peggio alla fine perché anche nel film è così. Dopo tante cose buone, un uso intelligente delle musiche e una fotografia interessante (c’è un costante uso di tonalità spente e colori freddi). Dopo un Miguel Ferrer d’annata che ci ha coinvolto nella caccia all’uomo. Dopo aver ben seminato per 79 minuti e illuso per un gran finale, arrivano quei 6 minuti di follia che danno un calcio al secchio.

Il problema è che “quella” scena, da quando il Night Flier mostra il suo volto a quando “Jimmy” arriva sul posto, è stata concepita male e girata peggio. La parte in bianco e nero poteva essere interessante se non fosse girata così male. Evidente la scarsità di ciak, con poche inquadrature statiche e in generale c’è la sensazione di un “buona la prima” a tutto quel che si vede a schermo. Il tutto tagliato – letteralmente – con l’accetta. Pure la Entwisle offre il punto più basso della sua prova d’attrice, fin lì dignitosa.

Un vero peccato sia perché la trama si poteva risolvere con un espediente magari banale, ma che lasciava intatta la dignità del finale. Sia perché quei 6 minuti, girati prendendosi tutto il tempo di costruire la scena gestendo a dovere i dettagli più morbosi, potevano diventare un gran bel delirio. Ma ci volevano un regista visionario con un po’ di esperienza, di milioni e di settimane di lavoro in più. Diversamente, tanto valeva rinunciare in toto a quell’obbrobrio.

[Tra l’altro non ho nemmeno avuto soddisfazione nella mia personale teoria su Dotty Walsh, che immaginavo uccisa da Dees pur di fare una prima pagina in più!]

«Non m’importa quello che dice questo stronzo. Se non guardate il film vi vengo a fotografare. E io fotografo solo cadaveri»

Il film si salva comunque perché il danno non viene fatto alla storia né ai personaggi, che trovano ciascuno la chiusura del proprio arco narrativo. Né si rovina il finale in sé che risulta amaro e ben riuscito, motivo per cui continuo ad apprezzare e consigliare The Night Flier, e ad incazzarmi per quei 6 minuti di follia.

Nota di servizio: nel momento alla pubblicazione di questo commento il film si trova gratis su youtube la versione integrale (almeno per quanto ho potuto notare) perciò non avete scuse! In Italia usciva il 2 maggio del 1997. Un quarto di secolo dopo vale la pena di riscoprirlo o rivederlo. E la prossima volta che prendete un aereo, se riuscite a vedere le piste prima dell’imbarco, accertatevi che non ci sia uno Skymaster nero parcheggiato.

P.S. Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film, come al solito potete trovarlo QUI, con un sacco di racconti nuovi fighissimi.

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