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The Predator (2018): non ho tempo per Shaneblackare

Ogni tanto è bello poter chiudere un cerchio e dopo un lungo percorso posso concludere la rubrica iniziata molto tempo fa intitolata: Back in Black!

I cattivi sono sempre più forti e più cattivi, gli autori, come i boy scout, sono sempre di meno, non bisogna certo spiegarlo a Shane Black, un po’ perché questa frase che qui ho malamente citato, l’ha scritta lui, un po’ perché proprio il buon Shane è una di quelle rarità umanoidi note come autori. Pare che non ci sia più spazio ad Hollywood per il suo cinema estremamente caratteristico e riconoscibile, non credo sia un caso se The Nice Guys fosse ambientato nel passato della città del cinema, per raggirare il visto della censura e poter far bere e fumare i suoi protagonisti.

Sapete chi è un altro che è stato condotto alla cinta daziaria di Hollywood parecchio tempo fa? Fred Dekker, l’amico d’infanzia di Shane Black. Tra l’altro, è da lui che questa rubrica è iniziata, sì, perché come scrivevo lassù chiudere un cerchio ogni tanto non è male, deve averlo pensato anche Black quando ha accettato di lavorare ad un nuovo film su Predator e per farlo si è riportato dietro il suo amico Fred, riformando la vecchia coppia, con il nome pronto per rendere felici i fanatici di bricolage: Black & Dekker!

«Ehi gente, la sapete quella del trapano elettrico?»

Nel 1987 il produttore Joel Silver si è portato il giovanissimo Shane Black nella giungla messicana, per averlo a portata di mano mentre scribacchiava una cosetta che avrebbe fatto la storia del cinema e, visto che si trovava lì, infilato dietro gli occhialoni e le barzellette di Rick Hawkins, Shane Black è stato la prima vittima sul grande schermo dell’alieno con il look più figo della storia del cinema, in Predator di John McTiernan.

Questo fa di lui l’uomo giusto per rilanciare un personaggio che ha un enorme potenziale inesplorato e una serie di seguiti spesso ignorati, se non proprio schifati dal pubblico? Conciliare uno che ama i romanzacci polizieschi con un cacciatore alieno, con i dreadlock ed un sacco di armi non sembra proprio facilissimo, a volte non basta mettere insieme due cose buone per renderle due volte meglio, altrimenti la mia ricetta degli miei spaghetti con la stracciatella oggi sarebbe un successo!

Shane Black mentre cerca di non fare battute sul bel paraurti di Olivia Munn.

Il nome di Shane Black si porta dietro aspettative grandi, se non addirittura enormi, quindi ve lo dico subito: il film più simile a “The Predator” sfornato fino ad ora dal grande Shane è Iron Man 3, con la difficoltà aggiuntiva che per lo meno Tony Stark già di suo era propenso alla battutaccia come tutti i personaggi di Shane Black, mentre uno Yautja al massimo si esprime a grugniti che magari tradotti dalla lingua madre suonano fighissimi come i dialoghi di Shane Black, ma all’orecchio umano sempre grugniti restano.

Il mio Predator è preoccupante e parla coi rutti: «Ciao, come va?» (Cit.)

Per conciliare il suo cinema con un nuovo film su Predator, l’unico modo è recuperare quella fase giovanile e giocosa della carriera di Black, quella in cui compariva come attore nei film del suo amico e riformare la coppia Black & Dekker. Quindi, ve lo dico subito: se per voi Predator è soltanto quello con Schwarzenegger (a cui Black ha offerto un ruolo nel film, rifiutato dalla quercia austriaca perché considerato troppo piccolo. Storia vera) potreste rimanere delusi. Se, invece, siete tra quelli che ancora lanciano freccette sulla foto di Black, per come ha rappresentato il Mandarino in Iron Man 3beh mettetevi comodi, perché con il canone dei Predatori alieni Yautja, Black & Dekker hanno fatto anche di peggio!

Quello che succederà a Black, se proverà a presentarsi al prossimo Comic-Con di San Diego.

Ma come vi dicevo, i boy scout e gli autori sono sempre meno, Shane Black ha accettato di scrivere e dirigere il film, a patto di avere in cambio una campagna promozionale degna di nota e la possibilità di fare il suo film, motivo per cui la data di uscita è stata rimandata più e più volte. Qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa ulteriormente, voglio sperare perché a qualcuno sia venuto un clamoroso mal di testa per tradurre alcuni dei giochi di parole firmati da Shane… Vuoi vedere che Black è riuscito a mandare in crisi anche il, aperte virgolette, miglior doppiaggio del mondo, chiuse virgolette? Considerando il risultato sì, quindi se ne avete la possibilità recuperatevi il film in originale (che è sempre cosa buona e giusta). D’altra parte, segni di continuità, «Get to the choppa!» è una delle frasi più iconiche di Schwarzenegger e nel doppiaggio italiano è stata piallata, quindi anche il gioco di parole «Get to the chopper!» (che da noi diventa l’anonimo «Andiamo alle moto») non poteva che subire lo stesso trattamento.

«La porta si muove avanti e indietro» (Cit.)

Peccato che “The Predator” si sia presto trasformato nel film con più paletti da schivare della carriera di Shane Black, a confronto, le tante imposizioni della Marvel per Iron Man 3, erano una discesa di media difficoltà, mentre “The Predator”, invece, è la pista nera, ripida e con la neve ghiacciata. Ve lo dico fuori dai denti: mi sono divertito come il cretino che sono guardando il film, in certi momenti si ride forte, in altri ci si esalta, sono piuttosto certo che finirò nel tempo a rivedermi questo film con grande piacere e, a conti fatti, anche se è appena uscito, l’ho già visto più volte di Predators. Eppure, è impossibile non notare i difetti e i tanti compromessi che Black ha dovuto accettare per completare la sua opera, in generale “The Predator” verrà apprezzato da pochi e per lo più criticato per i motivi sbagliati.

Non solo è mancata da parte della Fox tutta la promozione pubblicitaria richiesta da Black, ma oltre ad un cast di attori che sembrano presi in prestito dalle serie tv, Black ha dovuto rinunciare a Steven Wilder, accusato di molestie sessuali e licenziato per direttissima. Insieme al suo personaggio, però, mi chiedo dove siano finite tutte quelle scene d’azione che sono state girare, ma scomparse dal montaggio definitivo del film. Insomma, mi sembra chiaro che la Fox sia disposta a sborsare soldi per lasciare che quel vecchio trombone di Ridley Scott(o) possa sproloquiare nei suoi deliri filosofici, inserendo poi per grazia anche uno Xenomorfo, ma di credere davvero in uno degli ultimi autori di razza rimasti su questo gnocco minerale che ruota attorno al Sole, proprio non se ne parla.

Anche gli Yautja odiano i medici con le mani gelate.

Peccato, perché Black & Dekker avrebbero potuto sfornare tanto di quel cinema bello che piace qui alla Bara Volante, tipo il loro progetto mai realizzato intitolato “Shadow Company”, la storia di un gruppo di soldati rianimati, provenienti da diverse guerre, utilizzati per combattere un’orda di zombie durante la notte di Halloween, una cosina che è arrivata vicinissima ad essere diretta da John Carpenter ed interpretata da Kurt Russell (storia vera) che, in parte, mi è tornata in mente rivedendo “The Predator”.

Una cosina così, però diretta dal Maestro e con Kurt. Brutto?

Penso che di nuovo insieme a scrivere, Black & Dekker si siano tolti lo sfizio di ripescare quella vecchia idea, inserendo un Predator al posto degli zombie, il resto è venuto fuori da sé, facendo buon viso alle tante limitazioni imposte dalla Fox. Ecco perché “The Predator” è ambientato ad Halloween e non nell’amato Natale, la festa preferita di Shane Black ed ecco perché Quinn McKenna (un convincente Boyd Holbrook) si ritrova su un bus per il trasferimento dei prigionieri, una scena vagamente in stile Distretto 13, dove fa la conoscenza di un personaggio dal nome Carpenteriano, non proprio Napoleone Wilson, ma per questa volta ci accontentiamo di Nebraska Williams (Trevante Rhodes), anche solo per riformare la strana coppia (uno nero e l’altro bianco) tanto cara al cinema di Shane Black.

Siamo una banda di bastardi al soldo dell’uomo del Giappone di Shane Black.

S’inizia forte con uno Yautja in fuga che precipita sulla Terra (che poi è l’inizio di Dimensione Terrore di Fred Dekker), qui viene avvistato da McKenna, uno che ha l’aria di averne viste così tante, da non stupirsi nemmeno davanti alla tecnologia aliena su cui mette immediatamente le mani decidendo di spedirne una parte al figliolo Rory (Jacob Tremblay), idea non proprio brillantissima, ma che per lo meno permette a Black di portare in scena l’ennesimo bambino intelligente e non urticante, state tenendo conto degli Shane “Blacksimi”, vero?

Non manca mai un bambino, in un film di Shane Black.

Tra questi aggiungete la quasi ex moglie del protagonista, interpretata dalla bella e brava Yvonne Strahovski che, magari, conoscete per “The Handmaid’s Tale”, ma, in realtà, è l’unica del cast ad aver già lavorato con Shane Black. Dove Black dà il meglio è con la banda di soldati fuori di cervello con cui presto McKenna si ritroverà a capo, per salvare la sua famiglia e il pianeta, una specie di A-Team in cui i dialoghi di Black la fanno da padrone e se sono un po’ sboccacciati tanto meglio!

…Se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il famoso S-Team.

Non tutti i personaggi possono contare su una caratterizzazione decente, qualcuno deve accontentarsi di essere l’Irlandese che fa i trucchetti con le carte, come accade al personaggio di Alfie Allen (ma considerando cosa gli fanno di solito in Giocotrono, gli va grassa!). Quello più caratteristico di tutti resta Baxter interpretato da un Thomas Jane in ottima forma, non potete mancarlo perché è quello con la sindrome di Tourette. Ora, in tante interviste lette su Shane Black, non sapevo che il grande autore ne fosse affetto, ma durante la campagna promozionale (quasi tutta basata sulle sue affermazioni e poco altro) ha fatto questa confessione. Ma io che sono un noto complottista, penso che lo abbia dichiarato solo per avere la possibilità di mandare a fanculo i tipi della Fox impunemente e giustificato dal medico!

«Bastardi della Fox pezzi di me… Medico! Ho la giustifica del medico!»

Il gruppo di protagonisti è abbastanza colorito (specialmente nel linguaggio) da risultare subito simpatico, di fatto sono il gruppo originale di Predator, con più favella e meno bicipiti gonfi, ribadisco che mangiano gli spaghetti (con la stracciatella) in testa alla banda di anonimi di Predators, ma per l’atmosfera pop generale e la violenza senza tirar via la mano, ha parecchio in comune con Predator 2, non è molto lo so, ma penso che potrei anche farmelo bastare.

Quando apre il gas Black ci dà dentro con le citazioni, ad esempio la presenza di Jake Busey (figlio del grande Gary) sembra proprio messa lì per far contenti quei dodici (tra cui il sottoscritto) che apprezzavano anche il secondo capitolo e anche Olivia Munn, oltre ad essere sempre un gran bel vedere, è un personaggio che funziona, la scienziata bona (vi ho detto che è tutta una grande operazione pop, vero?) che sa tenere a bada anche la banda di militari, anche provocando qualche effetto collaterale nella Tourette di Baxter.

Per fare un Predator, ci vuole un Busey. Per fare un Busey, ci vuole un altro Busey (questa andrebbe letta cantando).

La scena del laboratorio è uno spasso, perché qui Black & Dekker menano il loro colpo più duro, non solo per la prima volta si riferiscono all’alieno chiamandolo Predator, ma poi mettono in dubbio la natura del suo nome, in una gag ricorrente che, sono sicuro, farà avere un travaso di bile a tutti i cultori dei Canone del personaggio. Ma dopo aver messo in dubbio anche il nome con cui lo conosciamo, la coppia di compari si diverte a scombinare le sue motivazioni, finalmente qualcuno ci ha spiegato perché gli Yautja sono sempre a caccia, per quanto mi riguarda, solo la scena del laboratorio vale il prezzo del biglietto, perché non solo si gioca il ribaltamento della mitica «You’re One Ugly Motherfucker!» che diventa «You are one beautiful motherfucker» (da noi la comunque azzeccata «Sei un bel mostro schifoso»), ma specialmente perché vediamo uno Yautja scatenarsi, libero dal vincolo del PG-13 può staccare braccia, sparare sangue sulla macchina da presa diventando l’assoluto protagonista di una scena che prevede anche Olivia Munn che si spoglia. Ora, voglio dire, per rendere secondario un dettaglio del genere, bisogna davvero essere bravi a riempire lo schermo!

«Ma io faccio solo le pulizie quiiiiiiiiiii!!»

Sì, perché in un mondo di film timidi, è bello potersi godere un blockbuster dove gli sgherri del cattivo si beccano revolverate in un occhio, dove il sangue viene sparso senza tirar via la mano e dove lo Yautja fa il “Pollice alto” sì, però usando un braccio preso in prestito da uno, almeno su questo Shane Black l’ha avuta vinta e infatti, guarda caso, è proprio uno degli elementi migliori del film, poi purtroppo arrivano i difetti, tenetevi pronti, si ballerà un po’

Il super Predator di cui facciamo la conoscenza in questo film (sono sempre più convinto che NON guardare i trailer dei film, faccia proprio per me) quando entra in scena, ti lascia senza fiato, se uno di altezza standard può fare un massacro, figuriamoci cosa potrà fare uno tre volte più grosso! Ecco, niente, se non per la taglia maggiore, il super Predator sembra pensato solo per vendere un po’ di merchandising in più e non riesce ad espandere l’iconografia degli Yautja come ai tempi aveva fatto la regina aliena di Aliens – Scontro finale.

«Sei alto, dovresti essere bravo a pallacanestro» (Cit.)

Anche perché nel bene o nel male “The Predator” è una commedia d’azione, oppure un film d’azione vecchia maniera in cui si ride anche parecchio (lascio a voi il giudizio), dove il Predator del titolo è forse l’elemento meno caratterizzato, infatti per la prima volta dopo quattro film, sono i proiettili a fregarlo, il che è abbastanza assurdo visto che è dal 1987 che ci raccontano che le pallottole gli fanno poco o nulla, certo sappiamo che se può essere ferito, può essere ucciso (e che solo Shane Black può fare le citazioni!?), però si perde un po’ la componente della caccia, dello scontro che sia nella giungla o in città tra lo Yautja e la sua preda che ha sempre caratterizzato gli altri film.

Tu nel dubbio, spara!

Per assurdo, anche se Fred Dekker è salito a bordo dopo la firma sul contratto dell’amico Shane, sarebbe stato meglio avere lui dietro la macchina da prese, tra i due il regista migliore è senza ombra di dubbio Dekker che con il suo stile capace di riempire lo schermo, sarebbe stato molto adatto ad un film così, ma credo che nemmeno a ruoli invertiti si sarebbe potuto fare molto con un budget con il fiato corto.

Se la scena con le luci del laboratorio è la migliore del film, per il resto del tempo dobbiamo accontentarci di vedere il Predator sempre al buio, non per la sua capacità di mimetizzarsi, quanto proprio per coprire qualche magagna dalla grafica computerizzata, i segugi che si porta dietro erano brutti in Predators e non sono migliorati, ma nel finale lo scontro sulla nave aliena mostra paurosamente il fianco, se già oggi, nel 2018, mentre sei seduto in sala a guardare un film appena uscito, ti ritrovi a pensare che la CGI sia poca cosa, non oso pensare cosa sarà rivedere questo film tra anche solo cinque anni, il paragone con gli effetti speciali del film originale di Stan Winston a questo punto sarebbe come sparare sulla croce rossa.

La reazione, dopo aver visto la CGI del film.

Il finale si gioca tutti i classici di Shane Black: il protagonista torturato dai cattivi che si libera e torna gagliardo in pista (per altro citato la frase di Joe Hallenbeck), anche il cattivone interpretato da Sterling K. Brown è il classico cattivaccio di Black, odiosissimo, ma carismatico, inoltre il massacro finale è abbastanza coinvolgente, forse perché anche se caratterizzati il giusto, questa sporca (mezza) dozzina si guadagna le simpatia del pubblico, certo è chiaro che con un cast di attori un po’ più motivato questo film sarebbe potuto diventare scintillante come oro, mentre invece è un film molto divertente che finirò per vedere e rivedere molte volte, ma è chiaro che nessuno ci abbia creduto, se non solo Black e Dekker. Certo che non posso fare un discorso serio con due che si chiamano come un trapano elettrico!

«Ne hai ancora per molto Cassidy? Non sei Black non le sai scrivere la battutacce»

Anche l’epilogo del film, ambientato un po’ più avanti rispetto al finale della storia (mi piace pensare a dicembre, magari qualche giorno prima di Natale) è gustoso, ma non da farti cascare la mascella a terra, Il “Predator Killer” è una promessa interessante per un futuro che probabilmente non arriverà visto che il film negli Stati Uniti non ha vinto il primo weekend, quindi è già in automatico un fallimento, almeno ragionando come i capoccioni della Fox.

Una foto a caso della Munn, per rifarci gli occhi.

No, sul serio, viene un po’ la depressione guardando questo film, non tanto per il film in sé, quanto per il fatto che Shane Black e Fred Dekker avrebbero potuto nel corso degli anni regalarci tanti ottimi titoli, invece sono ancora considerati due gatti senza collare da tenere a bada, un giorno il mondo capirà cosa ci siamo persi, nel frattempo mi tengo stretto questo film, diventerà uno mio sfizio già lo so e se trovo un medico facile da corrompere che mi firma il foglio, ci vediamo tutti sotto la sede della Fox, io conosco un sacco di parolacce se serve, al massimo diremmo che abbiamo la Tourette. Per tutti i commenti che volete sui film di Predator vi ricordo lo speciale!

Ed ora, visto che non l’ho ancora fatto, tutti a leggere il post del Zinefilo dedicato a questo film!
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