Perché i registi si sposano? Probabilmente per lo stesso
motivo per cui lo fanno tutti gli altri, ma intendo dire perché si sposano con
le attrici? Stesso ambiente di lavoro, interessi comuni, lo comprendo però non
parliamo di un affare da poco, specialmente quanto può influenzare la direzione
di una carriera.
Ci sono fior fiori di sodalizi artistici che coincidono con
lunghi matrimoni, senza tornare indietro di troppi anni e restando nel campo
del cinema di genere, Sheri e Rob, Milla e Paul e da qualche tempo anche Charlotte
e Neil, inteso come Marshall, uno dei miei prediletti.
Scordatevi di sentirmi parlar male di uno come Neil Marshall,
quello che più di tanti altri colleghi ha capito e fatto sua la lezione
Carpenteriana, lo ricorderete tutti per quella bomba di “The Descent” (2005), ma personalmente gli voglio molto bene anche per quella tamarrata di “Doomsday”
(2008). A lungo il vecchio Neil ha vagato dirigendo
episodi per tutte le maggiori serie tv, fino al momento in cui ha
avuto l’occasione di tornare al cinema con il rilancio di Hellboy, film di cui
non vedremo nessun seguito, per fortuna o purtroppo.
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Vi presento i Marshall, novelli sposi in viaggio di nozze nel 1665. |
Ho atteso così tanto tempo di vedere tornare Neil Marshall
alla regia di un film, che ogni suo nuovo lavoro non va preso alla leggera, solo
che nel frattempo il vecchio Neil ha trovato anche il tempo di sposarsi con
l’australiana Charlotte Kirk e questo ha influito sul suo nuovo film, “The
Reckoning” che oltre ad essere prodotto, diretto e montato da Marshall (ve l’ho
detto che il ragazzo è di scuola Carpenteriana no?) questa volta è anche
scritto insieme a Edward Evers-Swindell, ma soprattutto alla nuova mogliettina
Charlotte Kirk, che qui interpreta anche il ruolo della protagonista. Ah il cinema
come affare di famiglia! Che bellezza, se non fosse che Charlotte Kirk, il
carisma e il talento per sostenere il ruolo richiesto deve averlo dimenticato nella
casa in cui viveva prima di diventare la signora Marshall, non sto facendo il
geloso è proprio un dato di fatto.
“The Reckoning” dopo la solita frase “Ispirato ad eventi
reali” comincia proprio come Hellboy,
in bianco e nero con la cattura e la morte di una presunta strega, siamo
nell’Inghilterra del 1665 piegata dalla peste, un posto dove ad una donna, basta
davvero poco per beccarsi un’accusa di stregoneria come accade alla bella Grace
(Charlotte Kirk), suo marito si impicca ad un albero dopo aver contratto la
mortale malattia, lei non solo è costretta a piangerlo e a scavargli la fossa,
ma si ritroverà sola e senza denaro a crescere una bimba appena nata, per di più costretta
ad evitare le attenzioni del laido signorotto locale Pendleton (Steven
Waddington alle prese con un personaggio super stereotipato), che dalla bionda
non vorrebbe solo i soldi dell’affitto.
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Tutto tranquillo oggi in zona gialla. |
Schivate a fatica le indesiderate attenzioni, Grace si becca
un’accusa di stregoneria mentre sta indagando sulla sospetta morte del marito
(avrebbe bevuto dalla coppa di un infetto nel più classico scambio di
bicchieri… vedi cosa succede a non rispettare il distanziamento sociale!), ma
il dato più significativo è la recitazione di Charlotte Kirk, tutto il
dramma della povera Grace che vi ho appena raccontato, come decide di
interpretarlo la Kirk? Come ci presenta il personaggio nella prima scena in cui
compare nel film? Con questa faccia.
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Cagna maledetta (cit.) |
Grace, anche nota come “Mai una gioia” non solo viene
catturata, ma viene condotta nelle luride prigioni popolate da personaggi stereotipati,
come la gitana che legge il futuro nei palmi delle mani (con la peste in
circolazione? Bell’idea), oppure il ragazzotto cicciotto ma fondamentalmente
buono. No, Grace non si fa mancare nulla, proprio durante la sua prigionia
arriva in questa cittadina del 1665 che sembra realizzata con i set avanzati da Giocotrono (anche se tutto è stato
girato in Ungheria), il leader maximo
della caccia alle streghe, l’inquisitore numero uno ovvero Moorcroft, interpretato da Sean Pertwee, attore feticcio di Marshall fin dai tempi di “Dog Soldiers” (2002) che
qui si barcamena di puro carisma e talento, con un personaggio anche lui
estremamente stereotipato, ci mancava solo un’entrata in scena al grido di:
«Nessuno si aspetta l’inquisizione» anche se non Spagnola, e poi con il personaggio
siamo più o meno in zona Python.
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“Non mi aspettavo una specie di inquisizione |
Per Grace cominciano cinque giorni di torture nel tentativo
di cavarle di bocca una confessione che la donna, non ha intenzione di
concedere, lei non è una strega e non giurerà il falso, seguono 110 minuti
dichiarati che sembrano 210 percepiti, perché la maestria di Neil Marshall è
tutta da vedere, ma “The Reckoning” sembra tanto un piede appoggiato sulla più
classica buccia di banana.
Il film si gioca momenti onirici in cui Grace riceve la
visita del marito morto che le ricorda di non mollare, alternatiti a momenti
“ormonali” (tutti piuttosto casti, Neil Marshall concede solo un’inquadratura a
posteriori sulla moglie, vorrà imitare Rob Zombie anche in questo? Chissà) in cui Grace sogna il marito quando era
ancora vivo e in forze, ma lo fa spesso nei momenti meno indicati, vado a
spiegare.
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“Solo modo è che pianta un cavicchio puntuto” (cit.) |
Tra le varie torture inflitte alla donna dal suo
persecutore, la più dolorosa è umiliate consiste in un terrificante strumento
di tortura sessuale (non del signor Walsh) che Sean Pertwee l’inquisitore ci descrive con dovizia di dettagli, prima
di passare ad utilizzarlo su Grace. Neil Marshall non mostra ma lascia
intendere (scelta saggia), ma permettetemi di dubitare che dopo una tortura del
genere, in grado di lasciare il corpo sanguinante e devastato, Grace abbia
ancora voglia di fare sogni porcelloni nella sua cella pensando al marito, a
questo poi, bisogna aggiungerci il diavolone.
Si perché dopo Hellboy,
Marshall deve averci preso gusto, quindi condisce gli incubi della sua
protagonista con apparizioni demoniache di un mostro cornuto arrapato
(realizzato con ottimi effetti di trucco, quello bisogna dirlo) che cerca di
tentare la protagonista. Comprendo perfettamente il valore simbolico
dell’apparizione, una soluzione visiva (quindi cinematografica) per rendere
sullo schermo i tormenti interiori della protagonista, ma se penso ad un altro
regista che in carriera, ha sempre diretto le sue moglii come Luc Besson, il
paragone immediato che ho fatto guardando “The Reckoning” è stato “Giovanna
d’Arco” (1999) in cui Besson per lo meno, aveva affidato il ruolo della
coscienza della protagonista a Dustin Hoffman, non ad un coso cornuto affetto
da priapismo, che ricorda fin troppo Dave Grohl nei panni di Satana, quando
minacciava sessualmente Jack Black e Kyle Gass.
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“Vi prenderò Tenacious D!” , “Ed ora chi sono questi!?” |
Non aiutano alla credibilità della storia nemmeno i
dialoghi, Sean Pertwee e Charlotte Kirk sono impegnati in una partita a Tennis
verbale che consiste più o meno in: «Tu cederai!», «No non cederò!», «Si tu lo
farai!» da spettatore qui invece, la mente vola ai dialoghi tra lo Sceriffo
di Ruttingham e Lady Marian di Batman in “Robin Hood – Un uomo in calzamaglia”
(1993), si però quello era un film di Mel Brooks!
Non aiuta nemmeno che la direzione del film sia piuttosto
indecisa, per essere un dramma storico ci sono un po’ troppe imprecisioni e
licenze poetiche, per essere una metafora sulla condizione della donna, comprendo
e condivido il nobile obbiettivo, ma il risultato è spesso al limite del
tragicomico per via dei troppi passaggi poco credibili che trascinano lo
spettatore fuori dalla storia, ma anche per via della recitazione di Charlotte
Kirk, una che evidentemente non ha tutta l’esperienza necessaria per sostenere
110 minuti (dichiarati) di un film con tutti questi cambi di registro.
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Ho il sospetto che non sia una mascherina ffp2. |
Nel finale poi, Neil Marshall non rinuncia a quei momenti
d’azione che sa girare così bene, quindi Grace prendendosi la sua meritata
vendetta si trasforma di colpo (incurante di un corpo martoriato da cinque
giorni di torture) in una tipa tosta, la “Final Girl” con gonna e archibugio
che maneggia con facilità irrisoria, anche se a turbarmi più di tutto è il
fatto che Charlotte Kirk faccia tutto questo con trucco e messa in piega,
perché non giurare il falso davanti all’Onnipotente è importante, ma l’aspetto
ancora di più.
Disastro totale quindi? A livello di trama abbastanza, ma a
tenere su il film ci pensa comunque il mestiere di Neil Marshall, sorvolando (o
provando a farlo) sui momenti al limite del tragicomico, ci sono singole scene
estremamente riuscite, come Grace trascinata per i piedi via nella nebbia dai
suoi demoni interiori oppure il finale, con la protagonista con la spada in
pugno.
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Qui ha anche il cappello da D’Artagnan. |
Insomma l’idea di raccontare una storia di emancipazione
femminile, nel periodo più oscuro dell’umanità (che guarda caso ha visto sempre le
donne in condizione minoritaria) è un tema estremamente coerente con la
filmografia di Neil Marshall, però questa volta non solo un minutaggio più breve e una sceneggiatura più solida avrebbero aiutato, ma i dubbi sono tutti sul
talento della nuova signora Marshall.
Per quanto riguarda il loro matrimonio, mille anni di
felicità ai coniugi Marshall, ma sul continuare a fare film
insieme però, pensateci bene, già è così raro vedere il vecchio Neil al cinema,
cerchiamo di non bruciarci tutte le occasioni ok? La prossima volta, fate un
bel viaggio di nozze piuttosto.