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The Rock (1996): benvenuti ad Alcatraz

Quando la compagnia di blogger cinefili ha deciso di organizzare una giornata dedicata a Nicolas Cage, non ho avuto dubbi, se devo scegliere un titolo che alza il volume della radio, tanto vale puntare tutto sul (the) Rock!

Lo avevo dichiarato anche scrivendo di 12 Soldiers: per tanti anni i film che iniziavano con il fulmine che colpisce l’albero e la scritta “Jerry Bruckheimer Films”, sono stati la mia coperta di Linus, un apostrofo rosso sangue tra le parole “BOOM!” e “BANG!”. Certo, cosa vuoi aspettarti da uno che è cresciuto sotto l’ala protettiva di Don Simpson e con lo storico produttore ha sfornato titoli uno più caciarone dell’altro? Ecco, “The Rock” è dedicato alla memoria di Simpson, un simpaticone in grado di far sembrare il famigerato Harvey Weinstein un’educanda. L’amorevole dedica prima dei titoli di coda, ad uno che è stato ritrovato cadavere nel gennaio del 1996 con in corpo venti tipi diverse di droghe (storia vera) è la cifra stilistica di un film che fa dell’esagerazione una ragione di vita.

John Woo fa volare le colombe, Michael Bay invece preferisce gli elicotteri.

Sono piuttosto sicuro di averlo visto in sala alla sua uscita, da qualche parte devo ancora avere la VHS perché ormai non sono più al mio primo rodeo. Il numero di volte che ho visto questo film? Per darvi l’idea, l’altro giorno che me lo sono rivisto per scriverne (per la serie: ogni scusa è buona) ricordavo ancora tutte le battute del doppiaggio italiano a memoria, comprese quelle più sceme, tipo quando Nicola Gabbia invoca «Per le chiappe di Zeus!», questo giusto per dirvi di quanto io abbia esagerato con l’abuso di questa pellicola.

Lo so che è brutto citarsi, ma oggi va così, quindi mi tocca ricordarvi che io odio la parola “Americanata”, non vuol dire nulla, i motivi li ho già elencati, ma per riassumere, possiamo dire che è il classico dispregiativo che si applica ai film di genere, sta al lato opposto dell’arcobaleno rispetto a parole come “Psicologico” (o ancora peggio “Cervellotico”) che di solito viene utilizzato per le pellicole più complesse di “Dumbo” (1941). Ecco, se non è la prima volta che capitate sulla Bara Volante, dovreste capire che di solito i film qui vengono etichettanti utilizzando un po’ più di una sola parola (SPOILER: se siete alla vostra prima visita, benvenuti, state per scoprirlo!), ma a voler essere precisi, per “The Rock” la parola giusta per descriverlo e farlo entrare a far parte della categoria dei Bruttissimi di Rete Cassidy!

L’intento di questa non-rubrica è sempre lo stesso: parlare di quei film oggettivamente brutti, pieni di difetti, ma con enorme carattere, non è una celebrazione del brutto fine a sé stessa, ma un modo per ricordarci che con attori tosti e il giusto quantitativo di gas VX tutto diventa più cazzuto!
[EDIT]
Ma! Per la prima volta nella storia di questo blog, per via dei suoi effettivi meriti, di un grado di epicità da far esplodere il cranio e per acclamazione popolare da parte dei lettori della Bara Volante, questo film è anche un Classido!

La leggenda narra che la sceneggiatura di “The Rock” sia stata scritta da due che non hanno proprio fatto la storia del cinema, ecco, David Weisberg e Douglas Cook, ma che nel ruolo di “Script doctor”, dei correttori di bozze di gran lusso abbia potuto contare su una leggenda come Robert Towne, sullo specialista Jonathan Hensleigh, su Quentin Tarantino e su Aaron Sorkin (storia vera) e il prossimo che mi cita Sorkin con la spocchia di chi guarda solo film impegnati, lo costringo a rileggere questo mio post cento volte di fila, non conosco punizioni peggiori di questa.

«Io non darò mai quell’ordine e non rileggerò questo post!»

Questo mostro dai tanti padri era destinato a finire nelle mani dello Scott giusto (Tony, sempre sia lodato) che già impegnato sul set di “The Fan”, si è visto sorpassato a destra dal giovane virgulto della coppia Simpson & Bruckheimer, un pazzoide che arrivava dai videoclip che aveva già mostrato tutta la sua follia con “Bad Boys” (1995), quello che ancora oggi è il Babau di tanti cinefili. Volete terrorizzare un appassionato di cinema? Gridategli fortissimo MICHAEL BAY! E poi, se non dovesse bastare, ditegli che questo film è stato scritto da Aaron Sorkin e aspettate di vedere uomini adulti piangere come bebè.

«Mi perdoni padre perché ho peccato”, “Quante cose hai fatto esplodere oggi Michael?»

Michele Baia con questo film ha la possibilità di giocare con tutto quello che preferisce: dialoghi che suonano scemi e fighi in parti uguali urlati dai protagonisti, militari, elicotteri ed esplosioni a strafottere, ma anche la grande occasione per regalare la sua versione di un paio di classici del genere action (lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torniamo) il tutto con un montaggio sincopato, le inquadrature non durano più di due secondi, due secondi e mezzo, con un risultato al limite dell’attacco epilettico, in quella che per Bay diventerà la normalità nel suo continuo cercare di spingersi oltre il limite facendo sfoggio di strabordante talento visivo.

Ecco, poi possiamo anche aggiungere che così tanto talento, non va a braccetto con il buon gusto del regista che, ammettiamolo, è un tamarro con un senso dell’umorismo basato sugli stereotipi raziali, sessuali, nazionali, fate voi, nel suo cinema (purtroppo) li trovate quasi tutti. Bisogna dire che nella sua assoluta esagerazione “The Rock” resta in qualche modo ancora abbastanza equilibrato, se non altro nel portare avanti la storia e con buona pace dei suoi (tanti) detrattori, Michele Baia ci regala anche qualche lezione cinematografica importante.

«Cassidy ha deciso di scrivere di tutti i miei film? Mi è andata proprio male»

La prima arriva nei primi cinque minuti del film, quelli che come ripeto sempre, sono fondamentali perché determinano tutto il passo del film: il generale Francis X. Hummel cammina testa alta e schiena dritta sotto una pioggia, così potente che se fossimo in un fumetto disegnato da John Romita Jr. farebbe la schiuma sulle spalle dei protagonisti per quando cade forte.

Tipo “Ufficiale gentiluomo” Ma disegnato da Romita Jr.

In anni di onorato servizio in Vietnam, Desert Storm e alcune operazioni ombra in Cina che non entreranno mai nei libri di storia, Hummel sotto il suo comando ha visto morire troppi bravi soldati ai quali non è stato riconosciuto nemmeno uno straccio di rimborso alle famiglie per la perdita subita, una grave ingiustizia a cui bisogna porre fine, secondo le parole del militare. A Bay basta mostrare il soldato lasciare il suo “Purple Heart” sulla tomba della moglie impegnato a dire cose tipo «Finché eri in vita, non avrei mai potuto farlo», oppure «Spero che non perderai la stima che hai per me», per descrivere un uomo che per decenni si è distrutto nel tormento tra dovere e (in)giustizia e, bisogna ammetterlo, avere Ed Harris ad interpretarlo con il suo enorme carisma e dosi abbondanti di rabbia sotto pelle (nota anche come “cazzima”) aiuta non poco. Tutto chiaro, no? Questo è l’eroe del film che deve aggiustare i tort… Ehm no, questo è il cattivo, armato di motivazioni e di quindici missili armati di gas VX sottratti al governo degli Stati Uniti. Sì, perché in un film la misura dell’eroe è data dall’efficacia del cattivo, quindi con una nemesi così chi può essere l’eroe?

L’epica entrata in scena dell’eroe del cattivo.

Ta-Daaan! Qui entra in gioco il nostro Nicolas Cage! Già, perché se l’entrata in scena del personaggio di Ed Harris è epica, anche grazie alla notevole colonna sonora composta da Nick Glennie-Smith, Harry Gregson-Williams e Hans Zimmer (anche qui, lasciatemi un’icona aperta, perché due parole sulla musica andranno spese), quella del dottor Stanley Goodspeed mette subito in chiaro il personaggio, parliamo di uno che oltre al nome da nerd (Stan) ha anche i gusti e le abitudini, quando facciamo la sua conoscenza sta sparando freccette di gomma con una pistoletta.

L’appena un po’ meno epica (ma molto più eccentrica) entrata in scena dell’eroe di Nicolas!

Ma lo vediamo anche andare in brodo di giuggiole, quando gli consegnano il suo vinile dei Beatles pagato seicento ex presidenti spirati stampati su carta verde, anche se la sua fidanzata Carla (Vanessa Marcil) gli ha fatto notare che è stupido spendere tutti quei soldi per un vecchio disco, lui lo ha comprato lo stesso. In pratica, nel 1996 Nicolas Cage aveva già anticipato il suo tracollo economico che lo avrebbe portato a recitare in dieci o dodici film l’anno per restare a galla, questo vuol dire immedesimarsi nel ruolo!

Chissà se ha convinto anche il fisco facendo loro gli occhioni dolci.

Stanley è un biochimico che sa il fatto suo, lo vediamo nella scena successiva disinnescare una bomba (ovviamente con un bel display rosso per il cinematografico conto alla rovescia) regalandoci una delle sue tante frasi di culto: “Amo chi mi fa pressione, me lo mangio a colazione”.

Nicolas Cage, fresco fresco del suo Oscar per “Via da Las Vegas” (altra notizia che può mandare in lacrime tanti cinefili) qui è caldo come una stufa, molti non hanno capito che recitare non è fare la fila in posta, oppure andare a comprare il pane, ma qualcosa di meno ordinario che Nicola Gabbia ogni volta esegue alzando il volume a undici come l’amplificatore degli Spinal Tap, ma anche vestendo i suoi personaggi di tick e nevrosi necessari a caratterizzarli. Ad esempio, per stessa ammissione di Michael Bay, metà dei dialoghi sono stati improvvisati sul set (alla faccia di sceneggiatori e “Script doctor”) tra cui quasi tutti quelli di Stanley che su specifica richiesta di Cage per quasi tutto il film non utilizza mai parolacce, ma si esibisce solo in cosette che vanno da “Accipicchia” alle già citate chiappe di Zeus. Una specie di sociopatico monomaniaco innamorato della sua donna e del suo lavoro, in fissa nera con i classici della musica soft rock, tipo “Rocket man” di Elton John, insomma Nicola Gabbia al suo meglio!

Accuse dure, parole forti, toste quasi quanto “Accipuffolina”.

Il piano del generale Hummel è quello di barricarsi con un manipolo di “patrioti” nella rocca del titolo, la prigione più famosa del mondo, il carcere di massima sicurezza di Alcatraz, ormai buono giusto per le visite degli 81 turisti presi come ostaggio e da qui lanciare la sua offensiva contro il governo: “Avete tempo fino a mezzogiorno per consegnare cento milioni di dollari con cui risarcire le famiglie delle vittime di guerra e fuggire all’estero, se non volete vedere la città di San Francisco sciogliersi sotto l’effetto dei quindici missile armati di gas nervino”. Per tutti quelli che non fossero biochimici esperti come Stanley Goodspeed, gli effetti del VX sul corpo umano ci vengono spiegati per filo e per segno: “Un cucchiaino di quella roba è letale in un raggio di trenta metri, se vieni esposto, puoi salvarti solo pugnalandoti al cuore con una siringa di Atrofina” e tutta una serie di altre nozioni che vengono elencate nel corso di una sceneggiatura che definire didascalica ed espositiva sarebbe farle già un gran complimento. Però, alla fine, sappiamo tutto quello che bisogna sapere sul gas nervino, quello sì!

La lavatrice vive di più con Caaaage!

Per comodità cinematografica, Michael Bay rappresenta il gas contenuto nei missili come delle capsule di gel verdastro che sembrano quelle che s’infilano nella lavastoviglie, ma è chiaro che non basterà un nerd fanatico di Elton John a fermare una leggenda della scena militare, affiancato da una serie di militari con facce di tutto rispetto, tipo il suo secondo è David Morse, ma non è difficile riconoscere anche John C. McGinley (il dottor Cox di “Scrubs”) e quel gran mito di Tony Todd, quello che si becca in pieno l’idea di “Frase maschia” da eroe d’azione che solo un Nerd come Stanely potrebbe avere: «Ti piace quel pezzo di Elton John Rocket man? Te ne ho parlato perché sei tu il Rocket man!» BOOM! Prima di spararlo in mezzo alla baia (non Michele) di San Francisco a cavallo di un missile.

Prima di poter permettere al recalcitrante Stanley di entrare in azione e disarmare i pericolosi missile, bisogna trovare il modo di entrare dentro Alcatraz, avremmo bisogno dell’unico uomo al mondo ad essere mai evaso da “The Rock” e qui entra in scena l’altro grande personaggio del film, un agente dei servizi segreti inglesi ingiustamente dimenticato nelle galere Yankee per aver rubato un microfilm pieno di informazioni segrete (tipo l’identità dell’assassino di JFK e altre cosette così), si chiama John Mason, ma avrebbero anche potuto chiamarlo James Bond, visto che i riferimenti al personaggio si sprecano e ad interpretarlo, è proprio lui Sir Sean Connery!

«Cassidy, trovi sempre il modo per interrompere le mie partite a golf e farmi tornare su questa Bara Volante»

Per portare in scena il personaggio di Bond Mason il film relega temporaneamente in panchina quello di Ed Harris, facendoti (quasi) dimenticare tutta la trama principale del ricatto e dei missili, perché Connery si mangia ogni momento del film in cui compare, nonostante entri in scena con una parrucca in stile chitarrista ventenne di Seattle («È una cosa Grunge») e anche se non ne fa uso qui, mi rendo conto che tra Connery e Cage, abbiamo i due massimi esperti di parrucche al cinema!

«Utilizzavo toupet e parrucche quando Francis Ford accompagnava ancora a scuola suo nipote Nicolas»

La coppia funziona così bene perché tanto è flemmatico e carismatico Connery, quanto riesce ad esserlo anche Cage pur andando tantissimo sopra le righe, i due diventano la classica coppia mal assortita tipica dei film d’azione, ma per cementare il loro rapporto, dimostrando che entrambi i personaggi hanno le stesse motivazioni (rispettivamente una figlia e una fidanzata a San Francisco da salvare) ci vuole qualcosa di davvero efficace. Si parte con un faccia a faccia tra i due nella sala degli interrogatori con Stanley che finge sicurezza («Si può avere una tazza di caffè qui per favore?»), ma trattandosi di un film d’azione, i due personaggi hanno bisogno anche d’altro, tipo di un gran inseguimento!

Vi ero debitore di un’icona lasciata aperta. Vi dicevo lassù che Michael Bay qui ha l’occasione per dire la sua su un paio di classici del genere, il primo è “Bullit” (1968), per rifare la corsa sfrenata della Mustang di Steve McQueen tra le strade di San Francisco, Bay utilizza il suo classico stile visivo fatto di montaggio frenetico e azione senza tirar via la mano, ma anche il suo enorme buon gusto, fateci caso: il vecchio e solido Connery guida un Hummer corazzato nero abbastanza sobrio (l’idea di eleganza di Bay), mentre Nicolas Cage sfreccia su una Ferrari gialla, ben più adatta allo stile eccentrico del nipote di Francis Ford Coppola.

Le strade di San Francisco in versione Bay (e Michael Douglas… MUTO!).

Quando Mason si convince ad unirsi alla compagine guidata dal comandante dei Navy Seals interpretato dal grande Michael Biehn (è un ritrovo di miti cinematografici questo film!) e da Stanely biochimico nominato agente operativo suo malgrado, Bay ha due grandi occasioni, la prima regalare una scena cazzuta a Michael Biehn («Non darò mai quell’ordine!!») e la seconda è dare la sua interpretazione di un altro classico del cinema d’azione: ostaggi? Terroristi? Protagonisti che mettono i bastoni tra le ruote ai cattivi? “The Rock” è una classica situazione alla Trappola di cristallo in versione Michael Bay!

«Ma come cacchio fa Bruce Wills?», «Guarda il lato positivo, noi almeno abbiamo le scarpe»

L’unica cosa che non ho mai capito del film, anche dopo un milione di visioni è sempre la stessa: avete presente quando Cage e soci arrivano finalmente su Alcatraz? Ecco, Connery indica loro la direzione per entrare nella prigione dall’esterno, dichiarando di aver memorizzato il ritmo e la frequenza di un complicatissimo intreccio di ingranaggi e fiamme da cui bisogna per forza passare per avere accesso. Connery passa rotolando indenne tra le fiammate letali evitando di fare la fine del granchio servito nel piatto, sgrocchiante sotto gli enormi ingranaggi, dopodiché apre una porta e figo come la neve a Natale dice: «Benvenuti ad Alcatraz». Tutti bello, tutto chiaro, per entrare da fuori bisogna fare tutto questo casino tipo giochi senza frontiere, ma perché da dentro la prigione per scappare, Connery non ha semplicemente aperto la porta senza infilarsi tra fiamme ed ingranaggi?

Ma non poteva uscire direttamente dalla porta? No vero?

Detto questo, la coppia composta da Nicolas Cage e Sean Connery è talmente assurda (fuori e dentro lo schermo) da funzionare alla grande, il finale è quasi tutto per Cage che disarma missili, si spara l’Atrofina nel cuore e lancia i razzi verdi con tanto di posa tipo sergente Elias in Platoon in un finale che è ben oltre arrivare all’ultimo secondo, un’idea di salvataggio con l’acqua alla gola che può funzionare solo nei giochi di un bambino che fa la guerra con i soldatini o al massimo al cinema, a patto di andare tantissimo sopra le righe, più o meno dove vivono i personaggi e il regista di questo film.

Voi la chiamate “americanata”, io la chiamo epica.

Questo film è una pietra miliare per gli appassionati di film d’azione, per i fanatici come me delle prove da attore di Nicola Gabbia, ma anche un titolo di culto, in grado ogni volta di esaltarmi. Perché Michael Bay ha tanti difetti, ma credo che per non esaltarsi con un film così, l’unica scusa sia essere già stati colpiti dal gas VX. Sul serio, ogni sua parte è mitica a partire della musica, su cui vi ero debitore di un’icona da chiudere: pare che le tracce composte da Nick Glennie-Smith non piacessero per nulla a Michael Bay, questo spiega perché siano stati chiamati prima Hans Zimmer e poi il suo collaboratore Harry Gregson-Williams a contribuire, ma riconosco la farina del sacco di Nick Glennie-Smith in questa colonna sonora, perché quella base così orchestrale che fa da colonna vertebrale a tutta la partitura, ci regala anche quel tema principale, declinato in varie versioni, che può risultare epico, oppure drammatico in parti uguali, senza contare che ad ogni visione del film si finisce tutti a cantare: “Para pa paaaaaaa! Para paaaa! Paraaaa para paaaa”. Almeno, io lo faccio sempre (storia vera).

«Sean dove vai? Torna presto! Non lasciarmi qui con Cassidy che canta!»

“The Rock” ha una serie di frasi di culto che si sprecano, dovete solo scegliere la vostra preferita, io ho una predilezione per «Vetro o plastica!» urlato da Cage, ma davvero c’è solo l’imbarazzo della scelta in un film in cui Sir Sean Connery presta talento e carisma al cinema degli anni ’90, mentre Nicolas Cage regala il primo vertice della sacra trilogia di film che lo hanno consacrato a mio personale mito nello stesso decennio. Per gli altri due vertici del triangolo, magari torneremo a parlarle in futuro, per oggi vi ricordo tutti gli altri appuntamenti con Nick Cage sparsi in giro per la blogosfera, come i momenti di culto di questo film, avete solo l’imbarazzo della scelta!

The hero of the day!

Qui sotto trovate tutto il palinsesto del giorno mondiale di Nicolas Cage 2019!

Lazyfish – Mandy
Director’s cult – Drive Angry
Non c’è paragone – L’ultimo dei templari
La fabbrica dei sogni – Stress da vampiro
Cuore di celluloide – USS Indianapolis
La stanza di Gordie – The Family Man
Pietro Saba’s World – Mom and Dad

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