Senza che abbia una vera etichetta, esiste un filone di film sulla fuga dalle case di riposo, a partire da uno dei pochi titoli scritti da John Carpenter che ancora mi mancano, l’ormai leggendario “Il giorno in cui le allodole voleranno” (1979) che prima o poi riuscirò a trovare.
Fanno parte di questa categoria titoli come “Cocoon” (1985) di Ron Howard, oppure il mitico Bubba Ho-Tep e volendo potremmo infilarci “Non è mai troppo tardi” (2007) di Rob Reiner anche se un po’ al limite della definizione. Sta di fatto che ad esibirsi nella specialità questa volta tocca a James Ashcroft, regista neozelandese che ha esordito nel 2021 con il thriller “Viaggio nell’incubo” che questa volta pesca a piene mani dal racconto breve omonimo di Owen Marshall del 1995, per la sua ultima fatica “The rule of Jenny Pen”, che purtroppo mi sono perso all’ultimo Torino Film Festival, ma che grazie al solito Shudder ho potuto recuperare.
La storia inizia in un’aula di tribunale dove il giudice Stefan Mortensen (Geoffrey Rush) viene colpito da un ictus nel bel mezzo di una sentenza, purtroppo la sua assicurazione medica più che mediocre gli permette solo di diventare ospite della Royal Pine Mews, una casa di cura ancora più mediocre. Qui l’uomo si ritrova a dividere la stanza con l’ex rugbista Tony Garfield (George Henare) uno che da una vita conosce un solo modo di interfacciarsi con gli altri, metodi da spogliatoio, della peggior specie per altro.
Il problema più grosso però è alto quasi due metri, malgrado l’età lo abbia reso un po’ più curvo, mi riferisco allo storico ospite della struttura di nome Dave Crealy (John “Più grande attore del mondo” Lithgow), un paziente di lunghissima data considerato innocuo da tutto il personale, che in realtà ha instaurato un regno di terrore in tutta Royal Pine Mews.
Nottetempo, imbracciando come se fosse un ventriloquo una bambola presa in prestito dalla terapia della demenza, Crealy trasforma ogni notte in un incubo per gli altri pazienti, costringendoli a giocare – volenti o nolenti – a “La regola di Jenny Pen”, così abbiamo spiegato anche il titolo del film. Mortensen e Garfield non si piacciono e non potrebbero esserci due uomini più diversi per passato e trascorsi di loro due, ma decidono comunque di allearsi contro il regno di terrore di Crealy.
Ora qui le cose sono due, “The Rule of Jenny Pen” potrebbe diventare un’esilarante commedia oppure svoltare verso una sorta di Buddy-Movie con rivincita finale, ecco, scordatevelo, l’atmosfera messa su da James Ashcroft è maniacale, un antipasto dell’inferno, anche grazie al paludoso e sinistro sound designer firmato da Matthew Lambourn.
“The Rule of Jenny Pen” diventa una riflessione sul potere, su come chiunque ne abbia un minimo, in quanto rappresentante dell’umana razza, si senta in dovere di sovrastare e dominare il prossimo, il ribaltamento di fronte è chiaro, da una parte abbiamo un rugbista, quindi la quinta essenza dell’uomo fisicamente forte che lavora di squadra, dall’altra un giudice, uno che dall’alto è sempre stato abituato ad amministrare e a decidere, con il fine ultimo di proteggere gli altri, che qui si ritrovano entrambi vulnerabili, in particolare il giudice impersonato da Geoffrey Rush non è più in grado di proteggere nessuno dal male, né tantomeno di proteggere sé stesso.
Il male qui chi lo rappresenta? Un ometto nello spirito, ma un omone nel corpo, che nessuno, o per lo meno, chi nell’ecosistema di Royal Pine Mews detiene l’autorità considera una vera minaccia, che però ti rende la vita un inferno, cantilenando filastrocche, costringendoti ad umiliazioni costanti, una non-minaccia per il mondo, ma una minaccia molto più che concreta nei fatti. Ad impersonare il male, uno dei più grandi attori del pianeta che anche andando metri sopra le righe, continua a sfoggiare una classe invidiabile.
Lo sapete tutti che in quanto vice-presidente del John Lithgow Fans Club qui su questa Bara troverete solo lodi per lui, ma il mio lavoro è reso facilissimo dal suo, cioè lo sapete benissimo che può interpretare il bravo padre di famiglia oppure impersonare uno spaventoso assassino con una scioltezza invidiabile, inoltre io vi ricordo che molti dei cattivi di Batman si ritrovano rinchiusi per la maggior parte del tempo in un manicomio criminale, non sono andato fuori tema, a lungo Lithgow è stato in lizza per un ruolo da cattivo dell’Uomo pipistrello, tanto che qui con la bambola sembra il Ventriloquo.
Un dettaglio emerso dal Graham Norton Show di qualche anno fa è che Lithgow ha prestato la voce al Maestro Yoda (STORIA VERA!), perché vi aggiungo quest’altro dettaglio da Nerd? Perché la sua prova vocale qui in “The Rule of Jenny Pen” è superlativa, tanto da risultare sinistro nelle vocine con cui canticchia e con cui “doppia” quella bamboletta già spaventosa di suo.
Va anche detto che la prova di Geoffrey Rush e quella ancora migliore di John Lithgow riescono a nobilitare un film che trova in loro i migliori interpreti e nell’atmosfera malsana in cui si protagonisti sono precipitati qualcosa capace di andarti sottopelle, viene voglia guardandolo di assicurarsi di avere un piano di finanziamento abbastanza robusto, per evitarsi in futuro di fare la fine del povero giudice, costretto a farsi umiliare da uno psicopatico che danza e fa le vocine.
Insomma, dopo “Viaggio nell’incubo” James Ashcroft trova il modo di farci fare un altro viaggetto negli anfratti dell’animo umano, questa volta senza nemmeno muoversi, bloccati a Royal Pine Mews in una specie di ripetizione dell’inferno, tanto per parafrasare Stephen King.
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